lunedì 8 maggio 2017

TRA IERI E DOMANI

Molti dei nostri Lettori hanno conosciuto la Scrittrice e Poetessa Gabriella Nardacci attraverso la nostra presentazione in esclusiva per i nostri Lettori del suo scritto 'Un'analisi del mito', gradito per il suo spessore e per lo stile dell'Autrice: tale da condurre per mano il Lettore tra i suoi pensieri.
Oggi Gabriella ci propone in esclusiva, l'altrettanto per noi inedito "TRA IERI E DOMANI"; una sorta di riflessione a voce alta dove i pensieri si rincorrono seguendo comunque un unico fil rouge
Tra qualche giorno, dell'Autrice, pubblicheremo un altro inedito di questo medesimo segmento di pensiero, di queste riflessioni di tipo intimistico che inevitabilmente ci contagiano, e quindi ci appassionano.
Grazie a Gabriella Nardacci per l'attenzione e la preferenza accordataci.

Roma, 8 Maggio 2017       
Giuseppe Bellantonio

TRA IERI E DOMANI

  Mi è capitato di ascoltare un discorso di un Sacerdote Agostiniano. Sono rimasta, letteralmente, incantata dalla sua cultura e ancor più catturata dal fascino del suo comunicare. Nonostante esprimesse, a volte, dei concetti sui quali era importante soffermarsi per rifletterci un po’ sopra, aveva però un modo di parlare che mi ha fatto pensare alla leggerezza e al desiderio di ascoltarlo ancora. Ha raccontato un po’ della sua storia e sul perché avesse scelto l’Ordine di S. Agostino. Per meglio aiutarci a comprendere, ha citato un’opera di S. Agostino: ’L’istruzione cristiana’.

Né il futuro né il passato esistono.
Forse sarebbe meglio dire che i tempi sono:
il presente del passato
il presente del presente
il presente del futuro.
Il presente del passato è la memoria
Il presente del presente è l’intuito
Il presente del futuro è l’attesa.

(S. Agostino - libro XI, 20, 28).

   Ora, nella maturità, mi trattengo talvolta dal pensare al futuro: ma la parola attesa è meravigliosa, specie per tutto ciò che essa sottende.                          Quando ero bambina, il periodo dell’attesa del Natale era gioioso così come, in seguito, è stata emozionante l’attesa per un appuntamento d’amore… l’attesa di un figlio… l’attesa di un ritorno. L’attesa in tutte le sue mille e mille sfumature.                                                                                        In questo senso - dove il presente è attesa del futuro e dove non si ha data di scadenza - il momento può anche apparire infinito: e ciò mi regala un’illusione che mi rimane difficile definire tale.                                                                             Così, penso… rifletto…                                                                                    Il Sacerdote dice che noi viviamo come se il passato fosse stato il periodo migliore che abbiamo vissuto.   Non posso che assentire…                         Chi di noi non ha mai detto: “…che bei tempi erano quelli…”!     Mia Madre, spesso l’ho sentita dire ”…prima nun tenemme gnente ma se steva megli…”; a chi non è successo di ascoltare vecchie canzoni e ricordare antichi amori… o aver conservato lettere d’amore… o semplici oggetti che ricordano paesi ed eventi?                                                                                                      Non è forse un breve perdere il contatto con la realtà e con noi stessi anche il semplice leggere libri e vedere film?   “Siamo un po’ tutti degli accumulatori seriali“, penso mentre il Sacerdote sembra distogliermi da questi pensieri chiudendoli  con “…storie di memoria cristallizzatefantasia che alleggerisce…”: riportandomi così alla mente la risposta di un amico al quale avevo chiesto perché corresse sempre… ”Corro per non cadere!” mi rispose.                                                                                                             Qualcuno ringraziò il Sacerdote per quel discorso così interessante, dicendogli che, anche se il suo eloquio conteneva concetti certamente di peso, non ci si era stancati nell’ascoltarlo.  Il Sacerdote, a sua volta,  rispose che era necessario impartire gli insegnamenti con suadente modalità oratoria - come diceva S. Agostino -.                                                                                                        Solo così la comunicazione sarebbe stata efficace.                                   La leggerezza del linguaggio contro la pesantezza dello stesso.           Ricordo bene che nel ritornarmene a casa, camminai evitando altri pensieri che non fossero quelli sulla leggerezza da cui mi ero staccata poco prima.                                                                                                                    Ho pensato a certe storie d’amore che a volte terminano senza un motivo apparente, ma che forse, in realtà, finiscono perché siamo noi stessi che uccidiamo l’amore misurandolo, confrontandolo, interrogandolo, quantificandolo….                                                                                                     L’amore è libero... arriva quando vuole e imprigionandolo non facciamo altro che trasformarlo in un invisibile stratega che cercherà rapidamente una via di fuga.                                                                                                                  Concetto che mi riporta a “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, dove l’amore vuole essere disinteressato e finisce nel momento in cui ciò non avviene; in Shakespeare, quando in “Romeo e Giulietta” – allorché Marcuzio dice “…tu sei innamorato…fatti prestare le ali da Cupido e levati più in alto d’un salto… - Romeo risponde “…io sprofondo sotto un peso d’amore…”.  Concetto che ritroviamo puntualmente in alcuni film, dove gli amanti cercano leggerezza contro le zavorre dell’abitudine; in alcune poesie “...leggera e piana dritt’a la donna mia…” di Cavalcanti, famoso anche per quel salto cui forse lo stesso Shakespeare fece inespresso riferimento, quando, volendo fuggire da quei baldi giovani che volevano introdurlo nelle loro goliardie, spicca un salto così in alto che lo porta oltre salvandolo da loro.                           In poche parole: l’insostenibile leggerezza dell’essere contro l’ineluttabile pesantezza del vivere!                                                                    E nel mezzo ,cosa c’è?                                                                                    E’ tutto bianco o è tutto nero?                                                                     Anche il mio pensare sta diventando pesante…  facendomi balenare improvviso il ricordo sulla “leggerezza della pensosità” con Italo Calvino e le sue “Lezioni americane” (1985, Cambridge, Massachusetts) in sei bozze. La prima, è quella in cui affronta proprio il tema della leggerezza…esiste la leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza: anzi la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca….                                                              Occorre togliere peso… dare leggerezza… volare. Cita Lucrezio ne il “De rerum natura” come “…Il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi…”.   Penso al pulviscolo nell’aria, che così mi appare come una concretezza polverizzata.  Penso al salto che può, anche per un solo momento, farci librare nell’aria come farfalle… ma che inevitabilmente ci riporta a terra.    Penso alla mia tristezza quando si fa malinconia costruttiva… Tutte queste riflessioni, coniugate al pensiero espresso dai grandi uomini menzionati, mi hanno fatto volare tra le zavorre della vita, sostenendomi anche negli atterraggi bruschi della vita stessa… Comunque, sempre inducendomi a guardare con animo benevolo e costruttivo dinanzi a me.                                          E’ così che ritorno sul pensiero mirabilmente espresso da S. Agostino, soffermandomi a pensare proprio a quel “…il presente del presente è l’intuito…” che non ho molto considerato intercorrere tra il passato e il futuro o che forse ho lasciato per ultimo proprio perché sento che voglio viverlo: tutto.         Sperando di aver reso leggeri questi miei pensieri pesanti, e nel considerare ancora l’amore racchiuso in quel salto o nel pulviscolo dentro un chiaro raggio di sole, mi torna in mente una piccola lirica che scrissi qualche tempo fa e che scrivo come chiusa di questo mio pezzo: che altro non è se non una riflessione a voce alta.

DI QUELL’ANTICO AMOR

Oggi è un nuovo giorno
annuso la primavera scalpitante
che fa lo sberleffo ad un inverno pavido
che fugge altrove.
Da sotto le coperte un desiderio fervido
m’inumidisce il cuore
di quell’antico amor.
Vivo è il ricordo che mi sveglia
col pensiero di pensarlo.
Il tempo passa
e il mio amato dimentica…
Son nuvola e vino
son ventre e cuscino
ma il mio amato dimentica.

Gabriella Nardacci 

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