domenica 25 dicembre 2016

... E C'E' ANCORA CHI OSA NEGARE!

Abbiamo ricevuto una segnalazione da parte del Dr. Antonio Ballarin – nella Sua qualità di Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati - attraverso la quale si percepisce tutto lo sconcerto per un articolo apparso il 20 Dicembre 2016 sul sito del giornale 'Internazionale' e sottoscritto da ben 19 persone - intellettuali? Storici? Politici? Esperti tuttotologi di una qualche disciplina? Mah! Difficile rispondere -.                                                                               Questi Egregi Signori, per qualche strana combinazione, si sono trovati solidali nel condividere un vero e proprio attacco frontale al 'GIORNO DEL RICORDO', esponendo - ovvero riesumando - tesi giustificazioniste e riduzioniste per quanti si macchiarono del sangue dei tanti Italiani barbaramente uccisi e precipitati nelle Foibe, e per quanti determinarono l'imponente esodo (e la storica ingiustizia) dei giuliano-dalmati.                                                                                             Ricordiamolo: le tesi negazioniste ad avviso di chi scrive valgono tanto quanto la commissione di quei crimini che pur tentano di minimizzare, occultare ovvero travisare.                                                                           Costoro, tentano, con studiata ciclicità, di sondare le reazioni ai loro scritti: confidando che la soglia di attenzione e quella di vigilanza possano essersi ridotte o stemperate nel tempo.                       Confidano, codesti, sulla memoria corta (ma anche sul 'menefreghismo') di chi si è ormai non solo disaffezionato alla politica, ma se ne è allontanato persino come Cittadino membro del Corpo Elettorale Attivo d'Italia.                                                                     Confidano, costoro, sulla rete omertosa di silenzi e complicità che - anno dopo anno - fa sparire dai testi di Storia pagine importanti del nostro passato della nostra Storia Patria.                                         Confidano, costoro, sul fiancheggiamento di quelle parti politiche che - all'epoca, fecero una sorta di 'patto di sangue' con gli assassini di allora: traendone benefici rilevanti, circa i quali ancora non è stato sollevato il velo dei silenzi, delle omissioni, dei tentennamenti e dei veti (o ricatti) incrociati.
Negare la Shoah, negare le Foibe, negare la strage dei Cristiani, negare la strage di questa o quella minoranza, etnia o parte religiosa, nel mondo, è diventato un esercizio scellerato e squallido, esercitato da molti che spesso guadagnano per quel (di aberrante) che scrivono.
Negare l'innegabile... Che bell'esercizio, vero?
Chi scrive offre la propria solidarietà personale di Italiano, ancor prima che di uomo di cultura,  e quella dell'Associazione da lui presieduta, ponendosi a fianco dei profughi di allora, delle loro Famiglie, delle Vittime.
Di questi nostri Fratelli Italiani uccisi da altri loro Fratelli, coon una barbarie con una disumanità che è rimasta nel tempo e che, oggi, ricorda quella che si consuma sui campi insanguinati della guerra alla civiltà intrapresa dai seguaci del terrore.
Di seguito, il testo della ferma e indignata replica proposta all'articolo:
   
Risposta alla “Lettera aperta sul Giorno del ricordo”
Egregio Direttore,
Spettabile Redazione,

con riferimento alla “Lettera aperta sul Giorno del ricordo” pubblicata sul sito www.internazionale.it in data 20 dicembre 2016, chiediamo cortesemente la possibilità di replicare e di effettuare alcune precisazioni a nome delle molteplici associazioni di esuli istriani, fiumani e dalmati e loro discendenti, nonché degli storici e dei ricercatori che aiutano l’associazionismo giuliano-dalmata nello svolgimento della ricerca scientifica e della divulgazione riguardo la “complessa vicenda del confine orientale”.

La lettera che avete pubblicato, infatti, con un repertorio di citazioni in gran parte capziose, obsolete e superate dalla più recente storiografia, si insinua nel filone del cosiddetto “giustificazionismo”, con accenni di “riduzionismo” che stridono con la sintesi tutto sommato corretta ed efficace da voi realizzata lo scorso 10 febbraio 2016: in quanto diretti interessati dalle vicende cui è dedicato il Giorno del Ricordo, riteniamo di poterlo affermare con maggiore autorevolezza di chi su questa storia interviene con finalità strumentali e senza mascherare il proprio livore ideologico.

Ciascuna delle affermazioni contenute nella Lettera aperta è facilmente confutabile ed è un esercizio retorico al quale ci siamo purtroppo abituati, in quanto costoro da più anni vanno ripetendo le medesime argomentazioni, che poi vengono rovesciate dalla testimonianza diretta di chi quella storia la visse per esperienza diretta ovvero dal lavoro sine ira ac studio di storici obiettivi.

Prima di tutto l’italianità delle terre contese fra Italia e nascente Jugoslavia al termine della Seconda guerra mondiale risulta fuor di discussione: il diritto internazionale ed il diritto di guerra sanciscono che annessioni unilaterali (la provincia di Lubiana all’Italia nell’aprile 1941, l’Istria alla Jugoslavia a metà settembre 1943 e la Zona di Operazioni Litorale Adriatico alla Germania nell’ottobre 1943) non sono da tenere in considerazione fino alla ratifica di un trattato di pace (il ché sarebbe avvenuto solamente nel 1947)  che sancisca la conclusione dello stato di guerra e stabilisca confini internazionalmente riconosciuti. Con riferimento alla materia in esame, confini internazionalmente riconosciuti furono quelli stabiliti dal Trattato di Saint-Germain (1919), dal Trattato di Rapallo (1920) e dal Trattato di Roma (1924), in base ai quali Trieste, Gorizia, Istria, Fiume e Zara risultavano appartenenti all’allora Regno d’Italia e tali andavano considerate dal punto di vista del diritto fino al Trattato di Parigi del fatidico 10 febbraio 1947, entrato in vigore il successivo 15 settembre.

Negli anni Venti e Trenta il regime mussoliniano, in continuità con quanto impostato dallo Stato liberale sabaudo al suo arrivo in queste terre, tentò un’opera di bonifica etnica, ma i suoi risultati furono meno catastrofici per le comunità slovene e croate autoctone di quanto denunciato, nella misura in cui la resistenza jugoslava ebbe modo di radicarsi fra la popolazione “alloglotta”, le componenti slave rimasero sul territorio e resistettero all’assimilazione dando anzi vita a reazioni armate (gruppi terroristici TIGR e Borba, attentati a simboli di italianità e non solo a rappresentanti del regime fascista), laddove dopo il conflitto la politica di fratellanza italo-slava sbandierata dal regime di Tito portò, come se non fossero bastate le vittime delle due ondate di foibe, alla sparizione di altri italiani ed all’esodo del 90% della comunità autoctona italofona. Siccome più avanti si cerca di sminuire il peso delle morti perpetrate dall’esercito di liberazione jugoslavo e dalle sue quinte colonne locali contestualizzando il tutto in una prospettiva più ampia, sarebbe invece maggiormente opportuno ricordare che contemporaneamente a questo tentativo di snazionalizzazione il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni colpiva altrettanto pesantemente la comunità austriaca della Slovenia settentrionale (Domenica di sangue di Marburg/Maribor), gli italiani di Dalmazia (2.000 persone in fuga da Spalato, Ragusa, Sebenico e Traù costituirono il cosiddetto “Esodo dimenticato”) e gli albanesi del Kosovo (progetto di trasferimento coatto di migliaia di albanesi in Turchia).

Di certo non tutte le 1700 foibe istriane sono state usate per scaraventarvi, spesso ancora vivi, i prigionieri torturati e sommariamente processati da parte delle milizie facenti capo a Tito, ma non si ritiene di “aumentare l’enfasi sensazionalistica della propaganda irredentista” se si puntualizza che invece già nel 1941 il terreno carsico del Montenegro consentì ai partigiani jugoslavi di gettare in alcune foibe soldati italiani (in spregio alle convenzioni di guerra che tutelavano i prigionieri), che nel litorale dalmata esponenti di spicco della comunità italiana furono annegati in mare e che molte operazioni di recupero delle salme dalle foibe furono rese impossibili dalla carenza di materiale speleologico adeguato, dall’andamento accidentato di questi inghiottitoi e dall’avanzato stato di decomposizione dei resti umani che rendeva irrespirabile l’aria per chi scendeva decine di metri in profondità allo scopo di effettuare ricognizioni e recuperi. 2.500 persone forse non sono state gettate tutte quante nella vecchia miniera di Basovizza (sicuramente un centinaio di militi della Guardia di Finanza di Trieste che, dopo aver combattuto il 30 aprile 1945 contro gli occupanti tedeschi nel corso dell’insurrezione cittadina, sarebbero poi stati trucidati in quanto rappresentanti di uno Stato italiano che si voleva cancellare dalla Venezia Giulia), ma sicuramente fra Basovizza, Monrupino, Abisso Plutone, Corgnale ed altri abissi della zona il quantitativo dei morti può raggiungere tale cifra. Siffatti esercizi di contabilità mortuaria, tuttavia, sono degni dei negazionisti dell’Olocausto che argomentano sulle cifre dei morti nelle camere gas e nei forni crematori; a prescindere dal numero delle vittime, l’efferatezza delle tecniche di uccisione condanna questi crimini (avvenuti a guerra finita): persone cadute nel vuoto legate col fil di ferro ai polsi di prigionieri precedentemente uccisi e rimaste agonizzanti in fondo alla foiba per giorni interi prima di morire, fucilazioni e sventagliate di mitra a colonne di prigionieri sul ciglio della foiba, cani neri buttati nella foiba al termine di queste esecuzioni di massa in ossequio ad agghiaccianti rituali scaramantici.

Ricondurre poi la prima ondata di uccisioni nelle Foibe istriane (avvenute contemporaneamente alle fucilazioni di italiani consumatesi a Spalato e in altre località della Dalmazia) ad un episodio di “jacquerie” è una tesi ormai superata: l’opera postuma di Elio Apih “Le Foibe giuliane” (Leg, Gorizia 2010, a cura di Roberto Spazzali) ha corroborato la chiave di lettura fornita a suo tempo dal prof. Arnaldo Mauri e cioè che si è trattato dell’applicazione di una metodologia repressiva sovietica già sperimentata a Katyn a danno degli ufficiali polacchi fatti prigionieri nella campagna di settembre 1939 ed in altri ambiti dell’Europa orientale, consistente nell’eliminazione delle figure di riferimento di una comunità nazionale e nell’azzeramento della sua classe dirigente, in maniera tale da lasciare i popoli in balia dei nuovi regimi comunisti, sovente privi di un vasto consenso. Inoltre nella Venezia Giulia gli opposti nazionalismi italiano e slavo erano stati fomentati dalle autorità asburgiche nella fase finale dell’impero Austro-Ungarico secondo una subdola logica del divide et impera. Le mire espansionistiche slovene e croate nei confronti di quelle località della costa adriatica orientale in cui la maggioranza della popolazione era italiana affondavano perciò le radici nella seconda metà dell’Ottocento e trovarono realizzazione non con il progetto di riforma trialista della compagine austro-ungarica a beneficio della componente slava, bensì dietro la bandiera rossa che l’esercito di Tito ostentava. Gli italiani che furono partecipi delle violenze a danno dei propri connazionali confermano il carattere di guerra civile che la Resistenza assunse ed in tale contesto avevano anteposto l’adesione ideologica al comunismo all’appartenenza nazionale (esempio più eclatante il massacro a Porzus da parte di gappisti delle Brigate Garibaldi – Natisone dei partigiani “bianchi” contrari all’espansionismo jugoslavo in territori abitati a maggioranza da italiani), laddove i loro “compagni” jugoslavi strumentalizzarono il comunismo con finalità nazionaliste.

Il nazionalcomunismo titoista incarnò, infatti, un progettò imperialista degli slavi del sud latente da tempo e che rivendicava territori in cui vi erano presenze slave (Carinzia austriaca e Friuli Venezia Giulia italiano) nonché la trasformazione degli Stati confinanti balcanici (Albania, Bulgaria e Grecia) in satelliti di Belgrado, andando così a ledere la supremazia sovietica nell’Europa orientale sancita dagli accordi di Yalta fra le grandi potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. In questo progetto espansionista affondano le radici della rottura Tito-Stalin del 1948, ma le mire egemoniche titine così come gran parte delle epurazioni compiute a guerra finita rimasero sconosciute grazie alla spregiudicata politica estera del dittatore croato che di fatto, pur militando nelle logiche della Guerra Fredda fra i cosiddetti “Paesi Non allineati”, si rivelò un prezioso interlocutore per il blocco occidentale che quindi silenziò qualunque ricerca e denuncia inerente le sue vessazioni.

Che poi a guerra finita anche nel resto d’Italia vi siano stati episodi di giustizia sommaria e rese dei conti, non sminuisce certo l’impatto della tragedia rappresentata da foibe, deportazioni e campi di concentramento jugoslavi, anzi, dimostra la necessità di approfondimento, analisi e raccolta di testimonianze rilasciate da superstiti o loro congiunti. Il giustificazionismo che interpreta le foibe come risposta a violenze italiane (gran parte delle quali, per quanto odiose, attuate in tempo di conflitto ed applicando le leggi di guerra all’epoca vigenti ed alle quali si attenevano tutte le potenze belligeranti nelle forme di rappresaglie, campi di internamento e uso di ostaggi) non ha ragion d’essere in una comunità internazionale che si vorrebbe regolamentata dal diritto e dal senso di giustizia come quella che i vincitori della Seconda guerra mondiale intendevano istituire sulle macerie delle dittature sconfitte. Il carattere eccezionale delle stragi di italiani e di oppositori slavi del progetto totalitario di Tito risiede proprio nella coltre di silenzio che le ha avvolte per decenni, tanto da rendere necessaria l’istituzione di una Giornata del Ricordo dedicata a queste vittime.

I partigiani che “entrarono a Trieste nel maggio 1945” rappresentano altresì un’invasione e annichilirono i partigiani del Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste, i quali nel capoluogo giuliano non sono dovuti entrare, in quanto già c’erano, avendo realizzato l’insurrezione cittadina il 30 aprile 1945 per effetto  della quale la guarnigione tedesca era stata già costretta ad asserragliarsi in alcuni presidi e la città era stata liberata. Nei successivi Quaranta giorni la violenza nei confronti degli italiani aumentò indubbiamente e a questo si riferiva l’articolo del 10 febbraio scorso, senza nulla togliere a quanto sofferto da partigiani, ebrei ed antifascisti ad opera dei tedeschi e dei loro collaborazionisti. Le efferatezze consumatesi nel campo di internamento della Risiera di San Sabba rientrano nelle commemorazioni del Giorno della Memoria dedicate allo sterminio perpetrato nell’arcipelago concentrazionista nazista, i crimini del fascismo hanno la loro sanzione nella Festa della Liberazione, il Giorno del Ricordo è il momento in cui l’italianità giuliano-dalmata chiede di ricordare le proprie vittime ed un momento di raccoglimento per commemorare le violenze che ha subito: negare, giustificare e ridimensionare quanto patito costituisce una nuova forma di violenza.

Nella pluralità di voci e di firme che dovrebbero dar vita allo speciale de L’Internazionale che i firmatari della lettera aperta auspicano, chiediamo che vi sia spazio anche per la testimonianza degli esuli che in prima persona vissero la tragedia dell’esodo, in maniera tale da confutare le ciniche e disumane interpretazioni che sono state qui date alla scelta di esodare. In questa maniera si potrebbe capire quanto doloroso sia stato quel distacco, quanto nessuno si immaginasse di abbandonare la miseria per andare nel paese di Bengodi, quanto la sotterranea finalità di nuocere all’economia jugoslava (dietrologia pura!) fosse assente nelle famiglie intere che abbandonavano una terra in cui erano radicati da generazioni. Il Presidente del Consiglio De Gasperi ed il CLN dell’Istria cercarono in tutti i modi di frenare questa emorragia, l’uno perché confidava in successivi aggiustamenti confinari e per non trovarsi a gestire l’emergenza umanitaria di decine di migliaia di profughi nella disastrata Italia dell’immediato dopoguerra (i 109 Centri Raccolta Profughi furono la improvvisata e dolorosa risposta a questa crisi), l’altro perché auspicava un plebiscito che consentisse alla popolazione di esprimere liberamente la propria appartenenza statuale coerentemente al principio di autodeterminazione dei popoli. È addirittura oltraggioso sostenere che 350.000 persone di ogni estrazione politica e sociale abbiano abbandonato le proprie case lusingati da fantomatiche rosee prospettive economiche, laddove con i loro beni abbandonati e poi nazionalizzati dal regime di Belgrado lo Stato italiano saldò, contravvenendo alle disposizioni del trattato di pace, parte delle riparazioni dovute alla Jugoslavia ed ancora non ha corrisposto un equo indennizzo agli esuli ed ai loro discendenti. La verità è che in Istria e a Fiume il governo militare jugoslavo, in attesa delle decisioni della conferenza di pace, aveva diffuso un clima intimidatorio, perseguitava le manifestazioni di italianità, continuava a far sparire nel nulla i punti di riferimento della comunità italiana e procedeva ad un’annessione strisciante di queste terre, travalicando le caratteristiche di provvisorietà che un Governo Militare dovrebbe avere (garantire l’ordine pubblico e la sicurezza in attesa di una sistemazione definitiva),. I gerarchi di Tito e l’OZNA, la sua polizia segreta, avevano invece operato dal maggio 1945 all’inverno 1946-’47 per diffondere un clima di terrore nella popolazione italiana (episodi più eclatanti furono il martirio in odium fidei del beatificato Don Bonifacio e l’attentato dinamitardo di Vergarolla, compiuto in zona di pertinenza angloamericana, con oltre 100 morti e decine di feriti) con il dichiarato intento di farla allontanare: « […] Ricordo che nel 1946 io [Milovan Ðilas, ndr] ed Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Gli italiani erano la maggioranza solo nei centri abitati e non nei villaggi. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni d’ogni tipo. Così fu fatto» (intervista al periodico Panorama del luglio 1991).

Coerentemente allo spirito della legge istitutiva del Giorno del Ricordo, le associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati si impegnano oggi affinché questi drammi vengano portati alla conoscenza di tutti senza discriminazioni e distinguo e per il riconoscimento di questa tragedia al pari delle altre grandi catastrofi del Secolo breve. D’altro canto hanno avviato da sette anni un proficuo tavolo di lavoro con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca che ha portato alla realizzazione di concorsi scolastici e di seminari di aggiornamento per i docenti tenuti da insegnanti universitari e storici qualificati. In concomitanza con il Giorno del ricordo 2016 la rivista Storia In Rete ha dedicato un numero monografico alla storia del confine orientale italiano, coinvolgendo storici che da tempo collaborano con le associazioni dell’esodo giuliano-dalmata e la trasmissione televisiva Terra ha realizzato uno speciale, sicché altrettanto interessante potrebbe essere un approfondimento de L’Internazionale, ma, come sopravvissuti e testimoni della Shoah vengono interpellati in occasione del Giorno della Memoria ed i tentativi revisionisti o negazionisti vengono silenziati, così anche la comunità degli esuli chiede rispetto per i propri lutti, empatia per le proprie sofferenze e assenza di livore e di velleità giustificazioniste nelle ricerche storiche che li riguardano da vicino.

Lorenzo Salimbeni – ricercatore storico
Davide Rossi – Università degli Studi di Trieste
Antonio Ballarin – Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati
Lucia Bellaspiga – giornalista inviata speciale de “Avvenire”
Jan Bernas – giornalista e scrittore
Manuele Braico – Associazione delle Comunità Istriane
Guido Cace – Associazione Nazionale Dalmata
Renzo Codarin – Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
Giuseppe de Vergottini – Coordinamento Adriatico
Viviana Facchinetti – giornalista e scrittrice
Fabio Lo Bono – giornalista e scrittore
Michele Pigliucci – Comitato 10 Febbraio
Alessandro Quadretti – regista
Paolo Radivo – direttore de “L’Arena di Pola”
Paolo Sardos Albertini – Presidente della Lega Nazionale e del Comitato Onoranze ai Martiri delle Foibe
Giorgio Federico Siboni – Università degli Studi di Milano
Tito Lucio Sidari – Libero Comune di Pola in Esilio 

sabato 17 dicembre 2016

GEMELLAGGIO ARTISTICO TRA SPOLETO E CASTIGLION FIORENTINO

Spoleto Art Festival abbraccia Castiglion Fiorentino

Sarà presentato il 17 dicembre alle ore 16 presso la Chiesa di Sant'Angelo al Cassero il progetto culturale ed artistico
Spoleto meeting Art castiglion Fiorentino con la presentazione del presidente dello Spoleto Art Festival Luca Filipponi,
del direttore artistico dello Spoleto meeting Art e curatrice della mostra Paola Biadetti, del Sindaco Di castiglion Fiorentino
Mario Agnelli che ha fortemente voluto questo progetto insieme ai vari assessori ed amministratori tra i quali Massimiliano Lachi.
L'evento sarà video ripreso e promosso da Toscana Tv e dal critico e giornalista Fabrizio Borghini grande amico dello Spoleto art Festival
dal quale riceverà a febbraio del 2017 il prestigioso riconoscimento Comunicare l'Europa 2017.
L'evento in oggetto rapppresenta un qualcosa di più rispetto ad una sola mostra di arte contemporanea, ma una vera e propria vetrina di sperimentazione
culturale a livello nazionale nella quale gli artisti saranno gli attori protagonisti. Molto soddisfasto, di ritorno dell'esperienza bruxellese il presidente
Luca Filipponi:" il brand dello Spoleto meeting art è oramai una conferma della quale non dobbiamo più stupirci per gli eccezionali
risultati, quindi sono molto felice di partire il nostro viaggio culturale del 2016-2017 da castiglion Fiorentino per rafforzare anche i già forti legami 
culturali tra la regione Umbria e la Toscana".
La mostra d'arte contemporanea resterà aperta fino al 10 gennaio 2017 e sono previste visite alla mostra ed alla città di castiglion Fiorentino di numerosi
critici, giornalisti ed operatori culturali di settore che daranno ampio spazio a questo progetto culturale.
Ecco gli artisti che hanno aderito al progetto Spoleto meeting Art Castiglion Fiorentino e che espongono delle opere di arte contemporanea: 
Craia Silvio,Collazzoni Marco,Cruciani Luca,De Carolis Loreta,Diana Teresa,Gatteschi Lucio ,Gregorio Luigi,Iallussi Sevasti,Jaccheo Rossana,LiGotti Annamaria ,Maglio Maurizio,Maiorini Piergiorgio, 

Maurizi Francesca Silvia,Puccio Pucci,Rocchi Fabiola,Sernesi Gabriella,Zavoli Massimo

sabato 10 dicembre 2016

L'AMBASCIATA DI SVEZIA PER SANTA LUCIA

Anche quest'anno l’Ambasciata di Svezia porta in Italia una delle tradizioni più amate e suggestive del calendario svedese: 
la festa di Santa Lucia.
I festeggiamenti si svolgeranno a Roma, Milano e Torino in collaborazione con VisitSweden e Assosvezia e con il patrocinio di Roma Capitale

13 dicembre ore 19.30 Corteo di Santa Lucia in Piazza di Pietra, Roma

14 dicembre ore 17.00 Corteo di Santa Lucia nella Biblioteca Centrale Ragazzi - Via San Paolo alla Regola 15/18, Roma

15 dicembre ore 15.30 Corteo di Santa Lucia nel negozio di IKEA Porta di Roma

16 dicembre alle ore 17.00 Chiesa di San Fedele - Piazza San Fedele, Milano



17 dicembre alle ore 10.30 Spazio Barrito - Via Tepice 23/C, Torino


PAPA PIO XII: LA MEMORIA TRA AMORE E VITUPERIO

Domani, a Roma, si terrà un importante incontro cui - con grande piacere e interesse - anche chi scrive presenzierà, certo che si potranno ascoltare nuove ovvero rinnovate considerazioni sul percorso amministrativo-politico di Papa Pio XII°. Avendo vissuto una parte considerevole di quel Pontificato, e avendo raccolto 'notizie' reali e di prima mano su molti eventi, e aspetti di essi, il mio interesse di studioso è ancora maggiore.
Ecco, di seguito, il Comunicato Stampa diramato dal Movimento Salvemini, per segnalare l'incontro tematico e la presentazione di un nuovo e interessante libro su una delle più importanti Figure storiche del XX° secolo.

Comunicato Stampa

Il 12 dicembre 2016 dalle ore 16.00 alle ore 20.00, presso la Nuova Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati in Via di Campo Marzio, 74, a Roma, avrà luogo la presentazione del libro: 

"Eugenio Pacelli, Pio XII, il Pontefice più amato e vituperato nella storia della Chiesa" 

di Alberto De Marco e di Duilio Paoluzzi, Edizioni Movimento Salvemini.          Il ricavato del libro sarà integralmente devoluto all'Ordine Religioso in India delle "Missionarie della Carità" di S. Madre Teresa di Calcutta, in particolare per aiutare i bambini abbandonati e per sostenere le famiglie delle donne lasciate dai mariti nella desolazione, costrette a prostituirsi per sopperire alle esigenze alimentari dei propri figli.

Relazioneranno: il Dott.  Ernesto Lupo, Primo Presidente Emerito della Suprema Corte di Cassazione; il Dott. Loris Facchinetti, Vice Presidente Vicario del Tribunale Dreyfus e Presidente del Comitato Scientifico della Federazione di volontari MODANI ONLUS (Movimento delle Associazioni di volontariato Italiane); il Dott. Piero Schiavazzi, Docente di "Geopolitica Vaticana" all'Università di "Tor Vergata", Direttore eventi culturali presso Elea, giornalista della rivista "Limes" e dell'Huffington Post; il Dott. Raffaele Cavaliere, psicologo e scrittore; il Senatore Francesco Aracri; il Prof. Cosmo Sallustio Salvemini, Editore, Presidente del Movimento Salvemini e dell'UN.I.A.C. (Unione Italiana Associazioni Culturali) e l'autore del libro, il poeta, scrittore e giornalista, Alberto De Marco.

Al termine della presentazione del libro ci sarà la Premiazione della XIX° Edizione del Concorso Internazionale Artistico Letterario Antonio de Curtis (Totò), Principe, Maschera, Poeta.
28/11/2016                            
Il Consiglio Direttivo del Movimento Salvemini




venerdì 9 dicembre 2016

'ART FOR PEACE' : THE SYMPOSIUM

MI.A.M.I. 
Milan Art Mobile Museum International
Milano Lounge Museum - Via Procaccini, 37
                 
versissage 13 Dicembre 2016 dalle h. 17,30 alle 23,30
finissage 26 Dicembre 2016

THE SYMPOSIUM : "ART for PEACE"

con il Patronato di
REGIONE LOMBARDIA

                             International Contemporary Art Contest - Milan                           direct by

M° Michell Campanal

                  9° simposio internazionale di arti culture e tradizioni dal mondo 


ARTI VISIVE:pittori scultori fotografi videoartists digital artists cineasti registi cine-teatrali
LETTERARIE:poeti scrittori sceneggiatori prosatori
MUSICALI:musicisti e cantanti lirici classici e moderni(pop,rock,ecc.)
MOVIMENTO:attori pieces teatrali performer corpi di ballo
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H. 17,30
CONGRESSO MULTICULTURALE
prof.ssa NADIA ROGNONI scultrice docente di plastiche ornamentali presso l'Accademia di belle arti di Brera Milano
prof. MASSIMILIANO PORRO
critico d'arte docente di storia dell'arte presso l'accademia di Belle Arti di Como
"Arte e Sacro, dal Mondo antico al moderno - il "Bloody Painting"di Luca Puglia: reminiscenze di antiche ritualita'.
M^ MARIA LUISA FINIZIO
pittrice studiosa in fenomeni angelici
"I GIGANTI SONO TRA NOI" saggio esotherico
M°Rodolfo Viola pittore maesro d'arte emerito di Milano
atteso
prof.ALFREDO MAZZOTTA
scultore, gia docente in discipline plastiche presso il Liceo di Brera Milano, socio artista emerito del Museo della Permanente di Milano
JUETAND
(Davide Luigi Longo)
presenta il suo nuovo album
" F.E.D.I.: Notes of Light "
https://www.facebook.com/events/1824169327831073/
"musica e crescita spirituale e sociale"
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atteso l'intervento di:

AVV. DOTT.Giulio Gallera, Consigliere Regionale per la Sanita' presso la Regione Lombardia
ex PRESIDENTE DEL MUSEO DELLA SOCIETA' DI BELLE ARTI ED ESPOSIZIONE PERMANENTE DI MILANO,
https://www.facebook.com/giulio.gallera.9?fref=ts


Ospite d'onore al SYMPOSIUM 2016:
 
LUCA PUGLIA
the famous blood painter

Accademico per l'Arte dell'Accademia di Alta Cultura . Roma

THE ARTISTS
arti visive - direz.artistica M°Michell Campanal, pittore scultore

m° michell campanale
(museo della permanente di milano)
m° teresa santinelli
(museo della permanente di milano)
m° edy persichelli
(museo della permanente di milano)
m° loredana marinelli
(museo della permanente di milano)
m° carlo roccazzella
(museo della permanente di milano)
cristian beolchi
elena issaeva
cristina pedica
lina vinazzani
luca puglia
tina ambrosca
emanuele moretti
franca scagnol
angiolo giornelli
giorgia crudele
claudio cavallini
elios ferrante
annunziata urgese
silvana emanuele
marco modula
alberto riganti
piera sartor
maria prina
fiorella strazza
antonio lanzetta
Frantz Gauviniere
Federica Rallo
Daniela Dente
Mor Talla Seick
Madame Touchè


- designer

Saporiti Fabio

- scultura e arti plastiche
francesco schiavo
guido falcone
elisabetta piccirillo
alan sandei (con la scultura 'Lo Spirito della Foresta')


- fotografia
franca alleva
massimo meloni
ermanno campalani

- musicisti - direz.artistica Giampaolo Tirale
giampaolo tirale
davide longo

- letteratura - direz. artistica Maria Tereza Audino
mara teresa audino
maurizio vecchi
asmodeo
berenice d'este
nathalia zancon

francesco 'Paco' palmariggi
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con i patrocini di
CITTA' METROPOLITANA DI MILANO
CONSOLATI GENERALI A MILANO DI:
cina, peru', ecuador, costa rica, romania, polonia, santodomingo, brasile, ecc.

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giovedì 1 dicembre 2016

IL CAVALIERE DELLA LUCE












            Il Cavaliere 
della Luce

C'era una volta una bella ed allegra famiglia formata da mamma, papà e quattro bimbi, essi vivevano nella Roma storica densa di arte, storia ed architettura. I quattro piccoli fratellini, due maschietti e due femminucce crebbero ammirando tutte le bellezze che li circondavano consapevoli della grandiosità dei loro avi. Il piccolo Luca le viveva però in modo completamente differente dai suoi fratellini...poteva restare anche ore a sognare passeggiando per le strade di Roma fino a perdersi in esse con il nasino all'insù osservando le grandi statue romane, i bei palazzi antichi, le sfarzose fontane nelle cui acque allungava le manine disegnando piccoli giri concentrici nei quali si specchiava immaginando di cavalcare i cavalli della fontana vestito come un prode cavaliere senza macchia e senza paura. Passavano così ore senza che lui se ne accorgesse, ed una sera d'inverno particolarmente fredda e buia, il piccolo Luca perse la strada di casa. Aveva tanto freddo e fame e si fermò in un cantuccio riparato dal vento mentre lacrime calde scendevano sul suo volto. In quel momento passò di lì un vecchio clown che udendolo si fermò, arretrò fino a scorgere il piccolo Luca nel cantuccio piangente. Con modi affabili e gentili gli chiese perché piangesse e quando seppe che Luca si era allontanato da casa fino a perdere l'orientamento gli propose di andare a passare la notte con lui al circo poco distante e che il giorno successivo lo avrebbe accompagnato a cercare i suoi genitori. Il piccolo Luca non si fidava del clown ma aveva tanto freddo e fame e così si decise ad andare con lui che gli porse la mano...c'era qualcosa di così freddo e duro in quella mano che la neve che intanto aveva preso a scendere così innaturalmente sui tetti di Roma pareva calda e soffice al confronto.
Seguì timoroso il vecchio pagliaccio che gli sorrideva con quel trucco stampato sul viso ma che gli stringeva la mano come un artiglio.
Arrivarono al circo tutto illuminato da cui fuoriuscivano voci festanti e suoni e versi di animali che il piccolo Luca non aveva mai udito. Il vecchio clown portò Luca nella sua roulotte dove si trovava un bimbo molto più piccolo di lui vestito da folletto che guardò Luca con gli occhi sbarrati ed il pagliaccio terrorizzato. Quest'ultimo gli ordinò di prendersi cura di Luca mentre lui doveva recarsi allo spettacolo e di dargli un po’ della sua zuppa e che se Luca gli fosse sfuggito ne avrebbe pagato amare conseguenze...uscì sbattendo la porta e lasciando i due bambini soli ed attoniti e girando rumorosamente la chiave nella serratura.
Condivisero la zuppa e caddero addormentati svegliandosi solo l'indomani mattina quando sentirono il carrozzone muoversi sotto di loro.
Luca capì subito che il clown non lo stava portando da mamma e papà ma molto lontano da loro...attraversarono così montagne, città, laghi e pianure ed in ogni luogo dove si fermavano Luca e gli altri bambini oltre al suo amico Folletto erano costretti a lavorare duramente, ad accudire gli animali, a pulire, a montare e smontare il grande telone del circo e non appena uno di loro piangeva e chiamava mamma e papà veniva frustato dal clown con la frusta dei cavalli. Folletto era quello che prendeva più frustate, era così piccolo e gracile e stava col clown da così tanto tempo che non ricordava più nemmeno il volto dei suoi genitori. Luca si era affezionato a Folletto e lo aiutava là dove lui
non arrivava per impedire che il vecchio pagliaccio potesse percuoterlo e sussurrandogli che lo avrebbe portato con sé quando fosse riuscito a scappare.
Luca non voleva arrendersi, il suo animo nobile, che lui riconosceva in tutte le statue con i cavalieri della sua città, lo invitava a prendersi cura di Folletto ed a cercare di capire quale fosse il momento giusto per la fuga.
Venne una sera in cui tutti gli animali erano particolarmente nervosi malgrado le cure dei bimbi ed il clown inveiva ed urlava contro ognuno di loro, ad un certo punto la terra tremò ed i cavalli e gli elefanti si imbizzarrirono con gli occhi terrorizzati, il vecchio clown prese Folletto per il braccio gettandolo fra le zampe dei cavalli ed ordinandogli di calmarli immediatamente. Tutte le luci si spensero ed un grande boato risuonò nell'aria, Folletto scivolò velocemente in un angolo urlando il nome di Luca a gran voce mentre la terra tremava sempre più forte. Luca aveva tanta paura del buio e degli zoccoli dei cavalli che scalpitavano ma sentendo il terrore nella voce di Folletto, scivolò sul terreno verso di lui lo prese e lo attirò a sé trascinandolo lontano dai cavalli verso il bosco alle spalle del circo. Folletto era stranamente silenzioso e quando arrivarono abbastanza distante dal circo Luca depose dolcemente a terra Folletto che ebbe un lungo gemito di dolore. 
La luna rischiarava la radura nel bosco e Luca vide il sangue di Folletto scivolargli lungo il collo mentre lui gli sorrideva dolcemente. Folletto gli sussurrava impercettibilmente che Luca era stata l'unica persona che si fosse mai preso cura di lui e che lui lo amava tanto e sarebbe stato sempre con lui, in ogni tempo ed in ogni luogo. Luca lo strinse a sé cercando di fermare tutto il sangue che usciva dal suo amico ripromettendosi che non avrebbe mai più voluto vedere del sangue uscire, insieme alla vita, da nessun altro essere umano.
Urlò così forte la sua rabbia e la sua disperazione alla luna abbracciando così forte Folletto che neanche si accorse della grande luce che si avvicinava planando fino a loro finché non sentì una voce gentile apostrofarli dolcemente: "piccolo Luca dal grande cuore, tu sarai il liberatore degli oppressi, tu indicherai la via della salvezza ai disperati ed alle anime dannate, unirai le menti ed i cuori nel nome della tua passione ed il tuo sangue non verrà mai versato invano come quello di Folletto ma segnerà il tuo passaggio su questa terra non con dolore ma con gioia, sarai uno spirito libero ma prima dovrai affrontare molte prove, solo quando sarai consapevole della tua strada e di come raggiungerla potrai definirti "Il Cavaliere della Luce"!
Luca restò a guardare quel magnifico volto che rispecchiava la sua luce su di lui e su Folletto che ormai aveva il volto esangue ed il respiro sempre più flebile. implorò la fata di salvare Folletto, in cambio di questo lui avrebbe dedicato la sua vita alla ricerca dei clown, dei sopraffattori e dei venditori di sogni. La fata prese dolcemente Folletto fra le braccia e si alzò in volo dicendo a Luca di non dimenticare mai la sua promessa e di condurre una vita adatta ad un cavaliere. Dopodiché volò via.
Dopo molto cammino Luca riuscì a ritrovare i suoi genitori ed i suoi fratelli ma ormai molti anni erano passati e Luca non riusciva più a vivere con loro malgrado i loro sforzi ed il loro amore. Luca aveva conosciuto le brutture del mondo. Quindi salutò i genitori ed i fratelli e partì a vivere la sua vita con l'obiettivo che aveva promesso alla fata. Era consapevole che per fare ciò doveva studiare, leggere ed istruirsi, aveva sete di conoscenza e le arti lo affascinavano sempre più, quindi decise di entrare nella Sacra Università
Teologica per accrescere il suo sapere sulle arti, sulla filosofia e sulla teologia. Studiava tanto ma quello che nel frattempo vedeva non gli piaceva. Il contrasto fra la sacralità del luogo e le bassezze umane era fortissimo e lui pensava di non avere gli strumenti per combattere tutta quella depravazione e lordura che accompagnava tanti esseri che indossavano la veste dei cavalieri di Dio. Solo quando fu chiamato in Terra Santa capì quello che poteva essere il suo più grande gesto di generosità. Si offerse. Offrì il suo corpo per salvaguardare quello di molti e sentì forte il desiderio postumo di "detersione" scivolò allora piano fra le acque del Mar Morto pregando che, come un battesimo, si potessero detergere i suoi peccati e quelli del mondo affinché potesse finalmente comparire la "luce". Chiuse gli occhi e si donò alle acque dove molti anni prima piedi e mani sacre si erano bagnati e si lasciò scivolare in un gesto di grande sacrificio. Venne allora la fata che sussurrandogli parole dolci lo prese fra le sue braccia strappandolo alle acque e depositandolo sulla terra. Uomini buoni accorsero e si presero cura di lui. Un'altra battaglia del Cavaliere della Luce era stata vinta. Ma non c'erano più spade da usare e battaglie da combattere...quanto erano più semplici i tempi dei cavalieri della tavola rotonda. Luca doveva ora trovare il suo percorso di luce e sapeva che ci avrebbe messo anni ma lo doveva alla fata, lo doveva a Folletto e lo doveva a sé stesso. Tornò nella sua città e Roma lo accolse a braccia aperte. Creò un luogo d'amore che non implicasse pregiudizi e discriminazioni dove tutti potessero incontrarsi, conoscersi e perché no? amarsi; indipendentemente da sesso, credo, politica e denaro elementi che imperavano nella capitale di quegli anni e finalmente dare spazio alla sua passione. La pittura. Non spade ma pennelli non asce ma spatole, non scudi ma colori, colori per rallegrare il mondo...però lui voleva dare di più. Ma non sapeva ancora una volta come.
Una sera mentre dipingeva si tagliò con una spatola e passando il dito sulla tela bianca per detergerlo gli venne in mente la radura nel bosco rischiarato dalla luna… "Luca lo strinse a sé cercando di fermare tutto qual sangue che usciva dal suo amico ripromettendosi che non avrebbe mai più voluto vedere del sangue uscire insieme alla vita da nessun altro essere umano..." 
Ma quello era il suo, di sangue... e allora capì. 
"E il tuo sangue non verrà mai versato invano come quello di Folletto ma segnerà il tuo passaggio su questa terra non con dolore ma con gioia"
Era ora di cambiare, di muoversi, di seguire il proprio istinto e la promessa da cavaliere fatta alla fata, era l’ora della luce. Non poteva più attendere.
Il suo sangue era il percorso, lo avrebbe aiutato a trovare altre anime pure. Un piccolo drappello prima ed un grande esercito poi.
Ed il sangue si mischiò ai colori ed indicò la strada.
Tanti erano coloro che venivano attratti da Luca e tanti coloro che lo temevano. Ma lui proseguiva indomito. 

Senza più nessun compromesso, viaggiava di città in città, di cuore in cuore finché capì che era arrivato il momento di fermarsi. E piano piano attratti dalle sue opere, dalla sua arte, dal suo verbo sincero e dalla sua persona cominciarono ad arrivare. Dapprima pochi puri attratti da inspiegabili forze del destino e delle auree. Luca aprì la sua casa aiutato dal suo amore puro Alan che percepiva quanto lui il dovere morale di portare la "luce". E la luce prima flebilmente ma poi sempre più forte arrivò. L'arte di Luca richiamò molti occhi, molti cuori e molte anime e
finalmente in estrema fiducia, comprensione e condivisione si sedettero tutti alla tavola di Luca.
Anche Folletto, pur di stargli vicino, chiese alla fata di farlo tornare sulla terra, assunse per far ciò sembianze animali, quelle di un dolce cagnolino sereno e finalmente felice che guardava tutti i cavalieri mugolando allegro. Folletto era ora Ludovica. Siede con noi a questa tavola.
La tavola rotonda dell'arte dell'amicizia e dei progetti. La tavola dei cavalieri pronti a sfidare i clown e le loro maschere per amore del vero e dell'arte pura come il loro spirito.
La promessa fatta alla fata dal Cavaliere della Luce ancora bambino.
Ma questa, è un'altra storia…
                                           Elisabetta Piccirillo

Abbiamo voluto dedicare in esclusiva per i nostri Lettori questa prosa della brava ed eclettica Elisabetta Piccirillo, figura ben presente nel panorama artistico meneghino. conosciuta e apprezzata anche per la vivacità e l'entusiasmo con cui abbraccia e segue le tante iniziative che si incentrano sull'Arte, in tutte le sue manifestazioni.

Il suo IL CAVALIERE DELLA LUCE ha contenuti estremamente pregnanti e significativi, andando a descrivere quello che - per dirla in modo solenne - è il 'Tormento e l'Estasi' di chi vi possa essere descritto, ovvero di chi vi si possa riconoscere.
Il tessuto di questo scritto è ancor più impreziosito dalla riproduzione di due belle opere del M°  Luca Puglia: Artista anch'egli dinamico, animato dal Sacro Fuoco dell'Arte e pervaso da una creatività eccellente.    
Le opere qui riprodotte, gentilmente proposte in esclusiva per noi su autorizzazione dell'Artista stesso, fanno parte della produzione del suo periodo 'fiabesco': intensamente pervaso di colori e di movimenti, con trasparenze che invogliano a guardare 'dentro' le tele, e soprattutto 'oltre' quella che é la prima immagine percepita dall'osservatore.
Ci é sembrato che proprio il tema della narrazione e le opere di Luca Puglia si potessero coniugare mirabilmente, in un tutt'uno armonico.
Roma, 1 Dicembre 2016
Giuseppe Bellantonio


CAPITOLO CAVALLERESCO

                
                            CAPITOLO CAVALLERESCO 
                                    INTERNAZIONALE


Il Gran Priorato Magistrale InternazionaleNotre Dame de Tindaris’, aderente all’OSMTH-Ordo Supremus Militari Templi Hierosolymitani- Magnus Coernobium Helveticum, ha tenuto in questi ultimi giorni il proprio Capitolo Internazionale

La suggestiva cerimonia - presieduta dal Gran Priore Magistrale S.E. Rosario Leotta, circondato da Dignitari e Cavalieri dell’Ordine Cavalleresco – si è tenuta presso il Castello Xirumi Serravalle, alla presenza di Autorità religiose e non, di delegazioni provenienti dall’Italia e dall’Estero, di Illustri ospiti anche in rappresentanza di contesti nobiliari e istituzionali. 
          
Si sono susseguiti numerosi e pregevoli interventi di segno sociale e storico, cui ha fatto da corollario l’intenso momento dell’elevazione di alcuni nuovi Cavalieri, cui il Gran Priore Magistrale in persona, con un rito scrupoloso arricchito dalla celebrazione di una S.Messa, ha voluto concedere l’armamento e le insegne dei gradi a loro relativi.    
          
Un festoso momento conviviale, con numerosissima presenza, ha successivamente impegnato la serata, conclusasi con piena soddisfazione della struttura che si è impegnata nell'attenta e curata fase organizzativa.    
              
Nei saluti di commiato, dopo un brindisi solenne ancorché gioioso, S.E. Il Gran Priore Magistrale, ha informato del solenne appuntamento annuale per il 2017,  stabilito già presso altra Sede del Gran Priorato Mag.le Internazionale: per vivere altri momenti intensi e costruttivi, con schietto e fraterno spirito cavalleresco.