mercoledì 28 agosto 2013

MA GLI ITALIANI, HANNO DEI SOGNI?


In queste ore, il mondo ricorda l'ormai famoso discorso di Martin Luther King del 1963, ove egli sottolineava con energica enfasi il suo sogno: quello di veder cadere le barriere di disuguaglianza, di divisione e di illiberalità che negli Stati Uniti segnavano allora il confine tra “bianchi” e “neri”di uno stesso Popolo.

Il suo I HAVE A DREAM (io ho un sogno) – in realtà più aspetti di una stessa grande aspirazione, dichiarata con la frase evocativa/invocativa, più volte ripetuta, “I have a dream” – è rimasto nelle menti e nei cuori di più generazioni, ed é sempre attuale: nelle nuove generazioni, e quindi nella nostra quotidianità, sta a sottolineare il desiderio di pervenire ad un qualche risultato, ad una qualche miglioria, su base sociale e politica.

Si dirà: è normale avere dei sogni, tutti ne hanno.

Ma è un periodo che i sogni, negli italiani, sembrano essersi spenti: mortificati dalla pesantezza di giorni dal carico via via sempre più oneroso, in uno all'amara constatazione che i correttivi proposti o approvati pur se importanti hanno poco mordente, stante la loro angustia operativa in ambito spazio-temporale.

E se ci sono timidi tentativi di scrollarsi di dosso questa lordeur, non é difficile assistere ad un fuoco incrociato di sbarramento, teso a dissipare l'importanza delle cose importanti e ad imporre la rilevanza di cose (almeno per ora) superflue.

Ma perché non si vuole che gli Italiani prendano coscienza con l'estrema serietà, con la severità, della situazione? Perchè ancora c'é chi minimizza, o che tenta di stornare l'attenzione da temi importantissimi? Possibile che ancora si sia impantanati nel trattare del “destino politico” (ma anche umano e sociale) di uno ed uno solo soggetto politico, dibattendo (e lacerandosi tra di loro) se e come mantenerlo “in vita” o “ucciderlo” o dilatare fino allo spasimo i tempi nell'attesa che qualcun altro (ma chi e come?) possa intervenire all'ultimo istante per togliere le “castagne dal fuoco”, e così salvare la faccia di chi si é arroccato su posizioni intransigenti (in nome di verginità perse da tempo, dove i “puri e duri” di un tempo si sono evaporati)?

Possibile?

Con gli Amici al bar, con cui sono uso scambiare le mie opinioni personali, ricevendo in cambio preziose considerazioni –, che sono poi le considerazioni dell' “uomo comune”, ossia di tutti coloro che ragionano con disarmante semplicità e con le proprie teste, non facendosi trarre in inganno dalla fumosità di ragionamenti aprioristici e pre-confezionati – notiamo che le comuni valutazioni della gente, ancorché depurate da ogni possibile ed eventuale pulsioni idealista, sono pressoché allineate.

Vista la sede, scriverne in modo ampio potrebbe forse essere interessante, ma – in fondo – non si farebbe che ricalcare con altre parole i ragionamenti già espressi (e quindi: sentiti o letti) da molti altri soggetti, anche autorevoli.

Ma qui posso lanciare una serie di flash che, in pratica, equivalgono alle domande, agli interrogativi, che molte gente si pone.

Le difficoltà sono iniziate alla fine del lontano 2006 con la crisi dei mutui subprime negli USA, ed il conseguente contagio a livello mondiale. Un contagio che, tra alti e bassi, si é dilatato a dismisura nel tempo, cambiando anche di connotazione, ma incidendo in modo sostanziale e sostanzioso sulle finanze e sulle economie di tantissime Nazioni.

Con la crisi sono venute a emergere delle Nazioni più forti ed altre meno, ma anche degli appetiti egemonici che dimostrano che – nei corsi e ricorsi storici – al verificarsi di determinate situazioni, sono in pochi a resistere alla loro matrice di velleitarismo o di grandeur.

Alcuni Paesi economicamente sono crollati (e per “aiutarli” li si é fatti indebitare in modo talmente gravoso da sopprimerne autonomia e rappresentatività internazionale), mentre altri vengono mantenuti in una condizione di rianimazione che – passando per le varie fasi di “terapie intensive” drastiche e talvolta incomprensibili, contraddittorie e illogiche – li fa stare sospesi tra vita (ma forse é meglio parlare di “sopravvivenza”) e morte (dovuta non a cause naturali, ma a “strangolamento finanziario”, forse casualmente sostenuto dalle premure di infermieri premurosi che, con la scusa di mettere la flebo con le migliori vitamine, “inavvertitamente” inciampano, staccandola, nella spina del respiratore).

Le vicende politiche e il comportamento dei leader di partito (politici e non) cui questi si riferiscono, sono sotto gli occhi di tutti: difficile quindi non valutarli per ciò che rappresentano; sembra quasi che non si siano resi conto dello stremo cui si è giunti e dell'intolleranza crescente con cui la gente segue le vicende di una classe politica (nel suo complesso molto articolato e variegato, specie trasversalmente) dai comportamenti incomprensibili, lenti, arzigogolati e complessi, spesso di retroguardia (leggasi: il pervicace e dichiarato attaccamento a formule di vetero-idealismo, cui non fa riscontro la realtà dei tempi), ancora più spesso dimostratisi poco incisivi nel dare quel “colpo di timone” - democratico, liberale, legittimo – che tutti invocano.

Le tentazioni ora di chi – sonoramente battuto in fase elettorale, e che quindi é stato penalizzato dal “non consenso” degli elettori (dimostratisi meno suggestionabili di quanto si credesse, e provatamente celeri nel bocciare domani chi hanno promosso ieri - pensa di mettere cappello su una poltrona di leader che potrebbe liberarsi tra poco, si coniugano con quelle di chi coltiva il desiderio di sposare in un unico contesto forze spurie e persino conflittuali (l'unico cemento, al momento, é il comune “odio” per un avversario che, ai loro occhi, altro non é se non un nemico da abbattere): le cui conseguenze sarebbero tragiche per le tasche dei cittadini.

Mi riesce difficile non immaginare che le uniche “grandi” misure che si saprebbero prendere in tale evenienza, potrebbero essere solo quelle pervase da demagogia e da un pernicioso “paleo-anticapitalismo” di ritorno: senza poter intraprendere grandi misure alternative a quelle che altri hanno preso o potrebbero avere in animo di intraprendere, sbandierando termini come “equità” e “colpire chi più ha” (teoricamente valide, solo se applicati nella realtà), si lancerebbero nel succhiare linfa a chi non si può sottrarre. Le tasse sui patrimoni, sui depositi bancari, sulle case (prime, seconde, terze e... contorno), sulle auto, sui carburanti e – in estrema sintesi – su tutto ciò che può ricondurre all' “odiato” concetto di proprietà (ancora considerata come “un furto”... anche dai ricchi proletari contemporanei e dai ricchi politicanti simil-proletari), sono in agguato: pronte ad essere tirate fuori da cassetti polverosi, dove giacciono simili a sogni (vedete? Siamo sempre nel settore dei sogni) inerti ma non inermi, come serpenti nel paniere. Pronti a destarsi ed a tirare fuori la testa non appena il pifferaio di turno sia pronto a suonare la giusta nènia.

Ancora attendiamo, noi italiani, che qualcuno ci spieghi i perchè di una strana equazione: più di 1.000.000 di posti di lavoro persi in Italia, dicono. Più di 1.000.000 di posti di lavoro creati all'estero da aziende italiane che hanno delocalizzato o che si sono trasferite. Dov'erano i sindacati, e quali interessi di nicchia stavano difendendo per non accorgersi di ciò che avveniva e contrastarlo: anche e soprattutto attraverso “contratti di solidarietà”, anche e soprattutto rivedendo seriamente e definitivamente i rapporti aziende-sindacati-lavoratori, anche e soprattutto eliminando la tutela di “nicchie” (non di tutti i lavoratori, bensì ora di questi ora di quelli: ma comunque di quei soggetti che possano garantire riconoscenza - e solidale mobilitazione – in cambio di privilegi e particolarismi). Qualcuno ha mai sentito parlare di sindacati che, nel timore che l'azienda X possa chiudere (per “fuggire” all'estero, o perchè incapace di produrre il reddito necessario a proseguire l'attività), così mettendo sul lastrico X lavoratori e le loro famiglie, si siano fatti promotori nel proporre all'azienda una temporanea riduzione di salari e stipendi e allo Stato una riduzione di tasse e oneri sociali a carico di quell'azienda, in uno a incentivi finanziari?

Qualcuno ha ascoltato l'intervento di un rappresentante istituzionale che si sia speso, ovvero si sia reso disponibile, in tal senso?

C'é qualcuno che pensa che un lavoratore con famiglia e propri carichi finanziari (del tipo, mutuo per la casa) preferirebbe essere licenziato piuttosto che mantenere il proprio posto di lavoro, guadagnando un po' di meno e – fors'anche – lavorando un po' di più?

Impensabile, dirà qualcuno di voi!

Impensabile, in Italia: in questa Italia! Mi permetto di rispondere io.

L'esempio di Volkswagen - e di mille società come questa, all'estero – sono sotto gli occhi di tutti (salvo che dei miopi e di chi si para gli occhi, per non vedere).

C'é un giusto e corretto impegno a contrastare l'evasione fiscale, e tanto la Guardia di Finanza che l'Agenzia delle Entrate espletano un'azione intensa. Ma, almeno per ciò che le cronache ci riportano, poco fruttuosa nel riuscire a fare incassare al sistema-Stato quanto dovrebbe (e di cui altri cittadini, più solerti, hanno dovuto farsi carico obtorto collo). Se sui ca. 180 miliardi di evasione fiscale accertata e sui ca. 150 di elusione se ne incassino solo una parte percentualmente minima, vuol dire che all'efficenza del sistema accertativo non fa riscontro una disciplina di legge che colpisca rapidamente e definitivamente i colpevoli. I procedimenti sanzionatori devono durare mesi, pur fornendo ogni garanzia possibile ai soggetti individuati, non anni, lustri.

E devono essere colpiti, anche preventivamente, quei soggetti che oggi si é identificato come responsabili di evasione/elusione: quando si sente o si legge di stime che snocciolano cifre e percentuali, credo sia ragionevole pensare che a monte vi sia qualcuno che faccia questi calcoli e che si basi su dati ed elementi: tanto oggettivi c he soggettivi.

Allora, se si sa “chi” (ormai ci dovrebbe essere uno “storico” tale da supportare qualunque proiezione/previsione) potrebbe evadere e in quale misura, perchè non si affronta definitivamente in sede politica e quindi legislativa questo problema. Ad esempio, rafforzando e rendendo ancora più incisivo e celere il ruolo eccellente che la Corte dei conti ha sempre avuto.

Quanto è costata allo Stato, e quindi ai cittadini, quest'attività di accertamento? Anche questoi costo va sommato alle cifre sopra richiamate: e allora, a quanto sale il totale di evasione/elusione/costi accertativi+costi di giustizia?

Ero bambino, e ormai mi avvio ai 70 anni, e sentivo parlare di “lotta all'evasione”: parola che rischia di diventare vuota nel contenuto pratico, e persino fastidiosa in chi – ascoltando ripetutamente questo mantra – deve amaramente constatare che la persistenza della problematica equivale alla persistenza di mancanza di soluzioni al tema.

Eppure, gli esempi – se mai dovessimo guardare all'estero – di efficacia ed efficienza nel sistema fiscale all'estero non mancano; se mai dovessimo essere carenti di preparazione, potremmo sempre “copiare”, no? Cos'é che lo frena e perché? Ci sono dei motivi, e quali?

Sarebbe ora di dire basta e arrivare ad una soluzione definitiva, questa sì “equa”.

Perché mai non si procede alla enucleazione – iniziandone quindi subito dopo la fase attuativa – di un razionale e condiviso/condivisibile programma decennale (del tipo di quelli adottati nel dopoguerra sotto l'egida dell'IRI, e che hanno consentito il nostro sviluppo e il boom degli anni '60 dello scorso secolo), incentrato su edilizia (i terremoti sono sempre in agguato, in Italia: perchè non avviare una colossale e pluriennale opera di risanamento rafforzamento edilizio), agricoltura (un ritorno alla terra – pur se in chiave “moderna” - sarebbe auspicabile e tale da dare un minimo di futuro a chi oggi non ne ha), e nuova industria (ossia, una visione nuova del modo di fare azienda – tanto da parte di chi lavora, come di aziende e sindacati – basato sulla qualità e sull'innovazione dei prodotti, cosa congeniale al made in Italy, con una totale e radicale revisione della filiera dei costi del lavoro), con un rilancio massiccio dell'artigianato. D'altronde, due le considerazioni-base: in primo luogo, tutti questi elementi ci hanno visto già eccellere e sono stati all'origine di quel benessere che i nostri nonni ed i nostri padri sono riusciti a trasmetterci; in secondo luogo, non si può andare avanti all'infinito spendendo (non c'é “investimento” in questa partita di conto) per sostenere il sistema cassa-integrazione: meglio sostenere per breve periodo chi non ha lavoro o lo ha perso, riqualificarlo lavorativamente e indirizzarlo verso nuove realtà. Il sistema-Stato basato sul welfare, e che piace tanto a chi viene nel nostro Paese per essere mantenuto, ha fatto il suo tempo: e non più essere sostenuto, poiché equivale a l sottrarre ingenti risorse che potrebbero essere indirizzate alla produzione di nuova ricchezza. Un po' come le ultime razioni a disposizione su una barca di naufraghi: la solidarietà prevale all'inizio, così che le gallette sono divise tra tutti; ma, al loro ridursi, si assiste mano a mano al sacrificio di coloro che hanno minori possibilità a favore di quelli che, potendo contare su maggiori forze/risorse, hanno invece maggiori possibilità di sopravvivere/vivere.

Quando si parla di centinaia di migliaia di persone senza lavoro (disoccupate o inoccupate), parliamo anche del costo per dare loro un minimo sostegno e che non è coperto da contribuzioni/accantonamenti da parte del soggetto stesso: un costo puro per la Società, quindi, di cui si fa carico il sistema lavorativo, ossia quanti attraverso il proprio lavoro accantonano risorse contributive per il futuro e per l'assistenza corrente. Questi soggetti (disoccupati o inoccupati) difficilmente troveranno impiego in un futuro più o meno prossimo (salvo l'opera di riqualificazione e di reimpiego nei settori che ho indicato poco sopra), e di loro si dovrà continuare a far carico chi invece un lavoro ce l'ha (questo è il nostro “sistema”), fino a che la “macchina” Paese non riprende un minimo di moto, superando il gravoso stallo attuale: ma ci vorranno anni. Quindi occorrerà tenere conto che delle generazioni dovranno essere “assistite” dalla collettività in questo non breve lasso di tempo, e che i costi che ciò implica potranno essere recuperati in futuro solo con il ritorno alla produttività/redditività/piena occupazione (la scuola keynesiana docet, tuttora).
 
(fine della prima parte)
 
Roma, 28 Agosto 2013                                                     Giuseppe Bellantonio

martedì 20 agosto 2013

DI GENEROSITA' E DI SOLIDARIETA', SI PUO' ANCHE MORIRE


          Il Col. Cosimo Fazio – già in forza all'Arma dei Carabinieri e da poco designato a dirigere il Corpo dei Vigili Urbani di Reggio di Calabria – in questi giorni di metà Agosto è stato stroncato da un infarto mentre, nell'espletamento dei propri compiti, coordinava le operazioni di soccorso a favore di oltre 150 migranti sbarcati da poco.

          Quest'ufficiale, ben conosciuto ed apprezzato per le proprie qualità oltre che per le doti organizzative, il giorno del ferale malore aveva speso a lungo le proprie energie per la migliore riuscita delle operazioni di soccorso e di accoglienza: senza badare alla fatica, agli orari, al disagio personale per la temperatura.

          E di questo la comunità non può che essergliene grata, avendo egli dato in tal modo testimonianza di uno spiccato senso del dovere e dimostrazione del grande cuore che contraddistingue le nostre genti, specie del sud dell'Italia.

          Questi nostri concittadini, al di là di ogni considerazione socio-politica e senza perdersi in sofismi o fin troppo facili distinguo, si sono resi disponibili – con immediatezza e generosità - ad offrire ogni possibile aiuto per questi sfortunati sbarcati sulle nostre coste.

          Una condotta generosa e responsabile che ha avuto altri emuli a Lampedusa; ma decine di altri episodi di umana solidarietà sono avvenuti senza attirare la luce dei riflettori, com'é giusto che avvenga per ogni azione dove dominano disinteresse personale e caritatevole disponibilità.
 
          Forse sarò stato disattento, ma non ho colto molta attenzione sui mezzi di informazione nel seguire questa pur grave vicenda, quasi vi fosse del timore nel trattare un argomento le cui connotazioni sono di certo spinose ed affatto semplici.

          Mi auguro quindi che per onorare la condotta del Colonnello Cosimo Fazio, e per rendere così onore anche all'abnegazione delle Forze militari e civili che vengono investite di uguali problematiche, gli sia concessa alla Memoria la medaglia d'oro al Valor Civile.
 
Roma, 20 Agosto 2013           Giuseppe Bellantonio