... DOVRA' FORSE FARE LE VALIGIE E LASCIARE LA CITTA' ?
Il
titolo di questo mio scritto intende essere provocatorio, così da
stimolare quell'attenzione che l'importante rinnovo
dell'Amministrazione Comunale di Roma merita, come pure per suscitare
delle riflessioni che non possono non tenere conto del difficilissimo
contesto socio-economico nazionale e non.
I
manifesti elettorali che recano i sintetici slogan dei candidati a
Sindaco, ammiccano sornioni un po' dappertutto, mentre fioccano i
messaggi di propaganda sui mezzi di comunicazione: incrementati da
interviste rilasciate ora da questo, ora da quello.
Colpisce
il raffinato utilizzo di parole atte ad evocare “visioni”
rivoluzionarie e ribelli, idonee a scrollarsi di dosso tiranniche
presenze ed oppressivi amministratori, così tentando di suscitare un
moto repulsivo nel corpo elettorale – si potrebbe dire, con chi
adopera tale linguaggio: un sano rigetto – che si dovrebbe
affrancare dall'infausta presenza degli amministratori uscenti.
Parole
come “liberiamoci” o concetti come “liberiamo Roma”, fioccano
copiosi: ad indicare esplicitamente la strada da seguire.
Parole,
parole elettorali, mi si dirà.
Vero,
e se è vero che “in amore e in guerra” tutto é lecito, questa
sorta di “mobilitazione” a fini “liberatori” ha un senso se
le parole vengono rapportate allo stretto ambito della contesa
politica.
Quindi:
parole utilizzate quale “strumento” più o meno
momentaneo/temporaneo e pertanto “strumentali” al raggiungimento,
attraverso il loro disinvolto ma non certo casuale impiego, di un
preciso obiettivo.
Pervenire
alla vittoria di un determinato candidato, che a sua volta è “parte”
in quanto referente/esponente di una determinata coalizione
politica, che a sua volta rappresenta una serie di “intenti”
politici che possiamo ben definire “obiettivi” - tattici e
strategici - prefissati da aggregazioni politiche e partitiche che
perseguono finalità “di parte” e conseguentemente “particolari”:
cioè specifiche, esclusive, e peculiari quanto caratteristiche di
questo o quel partito.
Premetto
di non credere – oggi, nell'anno 2013 dell'era moderna e con tutto
ciò che è venuto a galla, in Italia e nel mondo - che possa esservi
qualcuno che possa arrogarsi in Italia la patente di “casto e puro”
ovvero di rappresentante e custode unico dei valori e del retaggio
insiti nella “liberazione” dell'Italia dal nazi-fascismo: specie
se a sbandierare questi concetti – comunque importanti, nella
storia d'Italia – sia gente che non ha preparazione e cultura
storica né memoria politica di come si svolsero realmente i fatti
dell'epoca - anche per i demeriti culturali cui é pervenuta una
scuola che “sorvola” e “non tratta” un periodo non certo
banale della vita della Nazione -. Spesso chi parla si riferisce a
fatti e circostanze mai approfondite, fatte proprie con una sorte di
copia-incolla dove il proprio cervello é stato temporaneamente
disattivato: le parole pronunciate, quindi, sono in questo caso
pronunciate solo in modo “utilitaristico”, ossia per trarre
benefici da siffatto modo di agire attirando l'attenzione di chi
ascolta su temi particolari circa i quali la sensibilità è
scontata. Toccando quindi sempre le stesse “corde” si ottiene una
ipersensibilizzazione – ormai “cronicizzata” - su certi temi,
come pure si evita di entrare nel merito di tematiche e problematiche
più ampie, limitandosi ad enunciati dove il protagonista è... il
solito Remo (provvede-remo, fa-remo, modifiche-remo, ecc.).
Al
lemma “liberare”
il Vocabolario Devoto-Oli della Lingua Italiana, recita “indica
il conferimento o la restituzione della libertà (l.gli schiavi, l.
dall'oppressione dei tiranni), estensibile al concetto di sottrazione
da una situazione di dannosa e pericolosa dipendenza (l.l'animo dal
timore), da una costrizione (l. il prigioniero dai ceppi), da una
necessità contingente (l. da un impegno).
Lo stesso Vocabolario, circa l'uso del verbo in senso riflessivo,
specifica “indica
la conquista o la riconquista di una posizione normale o privilegiata
in seguito al definitivo allontanamento di quanto costituisce motivo
di oppressione o impedimento (liberarsi dagli avversari, dalla
superstizione, dai rimorsi)”.
Motivi
per cui, chi ci invita a “liberarci” sorridendo sornione dal
manifesto o tentando di allettarci con altri tipi di comunicazione,
in realtà vuole dire: liberatevi dagli altri che si candidano, dando
a me la vostra preferenza, così che io e chi mi sostiene possiamo
prendere il loro posto (in caso di richiesta di riconferma) ovvero
possiamo essere eletti alla guida dell'Amministrazione di Roma
Capitale.
Quindi
i romani si dovrebbero “liberare” non nel senso letterale del
termine, ossia in modo definitivo: dovrebbero invece favorire una
parte a riconquistare una posizione privilegiata, allontanando così
attraverso il voto quanto può costituire per ciò motivo di
impedimento.
E
ancora: “liberarsi” di chi qualcosa ha pur fatto per far tornare
ad amministrare la stessa parte che in passato ha accumulato debiti
colossali. Mi sembra una strana “liberazione”.
Cambiare
per cambiare?
Per
carità! Ma mi sembra che ai romani si chieda questo: senza peraltro
fornire un dettaglio credibile di ciò che si ripromettono di fare i
“liberatori”, coloro che si prefiggono di fare “resistenza”.
In questo caso, l'unica cosa certa è un sicuro spoiling
di cariche e incarichi pregressi, così da sostituire con gente
“nuova” (ma fino a che punto tale termine potrà essere calzante
alla realtà?) chi c'era in precedenza: questa anomalia è purtroppo
ormai radicata in Italia. Non si scelgono i “migliori” in
assoluto - in termini di professionalità, efficienza e capacità –
per ricoprire incarichi che richiedono le migliori doti manageriali,
ma si scelgono i soggetti appartenenti o vicini alla propria area
politica: con tutto ciò che ne consegue. Ciò prefigura alti costi
e tempo perso per adattare le gestioni alla volontà/interessi dei
“liberatori”.
E
Roma, i romani, non possono affrontare costi, altri costi ed altri
costi ancora. Questi presunti “nuovi” - che sono gli stessi
“vecchi” che hanno portato le casse comunali ad una paurosa
voragine – con quale ardire si presentano, sperando nella corta,
cortissima memoria dell'elettorato?
Il
“nuovo”, il “cambiamento”: ma ci si é resi conto che ogni
volta che appare all'orizzonte un nuovo guru che, nella sua veste
candida, suona il suo piffero magico ad un elettorato (in cerca di
salvatori ma...) impreparato, altro non si ottiene se non una
frammentazione/dispersione di elettori, con un voto pressoché
inutile, come è avvenuto con altro movimento nel corso delle ultime
elezioni politiche.
I
romani vogliono veramente che ad amministrarli sia qualcuno che viene
da lontano, non é romano, tutto ignora di come gestire politicamente
ed amministrativamente una città grande e complessa come è Roma?
Si
sono chiesti dove fosse costui quando Roma ed i romani affrontavano i
problemi? Come mai quando stava comodamente all'estero non gli
interessava ciò che ora sembra stargli tanto a cuore? Che interesse
reale abbia costui a fare il politico in Italia dopo tanti anni di
assenza dorata dall'Italia, e come mai si senta tanto portato verso
Roma piuttosto che non Milano o Catania o Venezia o Napoli o
Abbiategrasso o Roccaraso o Enna?
Si
sono chiesti quali interessi personali di costui possano coincidere
con quelli della comunità romana, visto il suo impegno per
amministrare la Città?
Si
sono chiesti se, votando questi “liberatori” si voglia che tutta
Roma sia pervasa dal nomadismo econosca un crescente e inarrestabile
degrado, tale da far crollare – in primo luogo – il valore degli
immobili e la qualità della nostra vita?
Vogliono
veramente che – visto che è reclamato come “un diritto”,
esercitato attraverso il sistema delle “occupazioni” e con
l'appoggio e la complicità di precise parti politiche – le case
siano “occupate” piuttosto che non prese regolarmente in affitto
o, come ha fatto molta parte degli italiani, comprate con sacrificio
(lavorativo e finanziario, mutuo in testa)?
Vogliono
veramente che i nomadi, gli extracomunitari irregolari, abbiano ciò
che gli stessi romani, e chi non ha più lavoro non hanno? Scuole,
case, sussidi, assistenza? Mentre chi paga le tasse, lavora o ha
lavorato una vita, non solo non ha e non ottiene, ma deve anche
pagare affinché siano altri ad usufruire di questi benefici?
Vogliono
veramente che il degrado dei campi nomadi per ora relegati nelle
periferie, contagi a macchia d'olio tutta la città? In una città
dove l'economia è al collasso e dove il commercio é allo stremo.
Cosa accadrà con una maggiore dequalificazione socio-ambientale?
Pensano i romani, i commercianti, che i turisti avranno piacere a
muoversi in un constesto così degradato, o che invece non sia da
aspettarsi un crollo verticale anche di quest'ultima risorsa di Roma?
Hanno,
i romani, cosciente consapevolezza di quanto fosse degradata Roma
prima dell'Amministrazione oggi uscente, che molto ha fatto – anche
se c'é tantissimo ancora da fare -: in primo luogo onorando i
pagamenti con i fornitori e lasciando (dopo decenni di storia
capitolina) “zero” debiti per tale posta patrimoniale?
Ecco
perché penso che sia importante spronare i miei concittadini ad
andare a votare: non votare significare dire comunque di sì a tutto
ciò che già è minacciosamente chiaro nei disegni di se-dicenti
“liberatori” e “resistenti”.
Ecco
perché penso che, anziché prendere il rischio di un cambiamento
“vintage”,
di un “ritorno al passato” - di cui stiamo pagando ancora il
conto – sia meglio confermare i progetti già
impostati
dall'Amministrazione uscente, magari sollecitando più attenzione per
delle precise priorità ovvero chiedendo maggiore attenzione per
precise specificità.
Ogni
cambiamento, per concretizzarsi compiutamente, ha bisogno di tempo:
una nuova linea di metropolitana (la B1) ed un'altra avviata, un
eccellente corridoio per la mobilità pressoché completato
(Laurentino), molte iniziative e progetti sociali a vantaggio delle
categorie più svantaggiate, l'esenzione dall'IMU di fasce
economicamente deboli, piani occupazionali raziionalmente impostati e
solo in attesa di delibera (e Dio sa quanta sia la “fame di
lavoro”!)..., questo e altro sono alla base di una valutazione obiettiva.
Se
c'é qualcuno che potrebbe – liberamente e quindi lecitamente –
sostenere che é stato fatto poco, rispondo: di fronte al niente
(fatto da altri, in precedenza), anche il poco é tanto.
Si
può migliorare? Certo! Si deve migliorare, sempre: e, per questo,
guardare avanti correggendo là dove sia opportuno farlo.
Migliorare
e fare piccoli cambiamenti per migliorare, nell'interesse della
comunità di Roma, è logico e giusto: ma distruggere buona parte di
ciò che è stato fatto, in nome di “libertà” e “cambiamento”,
non solo avrebbe un costo elevatissimo, ma equivarrebbe un atto di
macroscopica castrazione esercitata da chi, facendo i conti con
l'astensionismo e la dispersione dei voti, diventerebbe per lunghi
anni amministratore di una Città con il sostegno forse di un 30% (ma è già un traguardo... entusiasmante) dell'elettorato
attivo (qualche milione di votanti, non noccioline!).
Un
po' poco per potersi definire possibile, futuro, “liberatore”:
una sparuta maggioranza che governerà una cospicua minoranza (di cui
buona parte auto-castratasi con la rinuncia al voto: e, dico io, privatasi anche del diritto di reclamare o rammaricarsi o chiedere. Per questi "senza voce" è utile sottolineare che l'apatia sollecita altra apatia, in una spirale perversa).
Romani,
non delegate a nessuno neanche il vostro dissenso!
Non
fate lo stesso errore di chi, alle elezioni politiche, ha fatto
convergere la sua protesta su un movimento senza programma, senza
voglia di far sentire la sua voce (se non nelle piazze o per lanciare
ingiurie e anatemi), e con il chiodo fisso di incitare alla
ribellione ed alla rivolta sociale, disconoscendo valore alle
Istituzioni ed a chi, anche a più alto livello, le rappresenti.
Ecco:
sciupare il proprio diritto di voto così, dopo essersi fatti
irretire da un abile e ricco comico per poi accorgersi dopo un mese
che questi movimentisti in realtà altro non sono se non dei
bluffeurs
dialettici, aperti sostenitori dell'insurrezionalismo (ossia della
distruzione) piuttosto che non del cambiamento attraverso serie,
concrete, rapide, doverose, modifiche del contesto politico
nazionale, ecco... tutto ciò sarebbe proprio troppo!
E
sarebbe troppo, se – pur se con le dovute differenze – ciò dovesse
verificarsi anche a Roma. E' vero che è tempo di riflessione e di grandi cambiamenti: ma questi hanno necessità di consolidarsi, per non essere effimeri.
Andate
a votare, dunque, concittadini romani, e con consapevolezza: anche se
mentre lo fate vi venisse in mente una vecchia frase del grande Indro
Montanelli!
Roma
8 Giugno 2013
Giuseppe Bellantonio
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