giovedì 16 ottobre 2014

STUPEFACENTE!



Stupefacente è un’Europa che, pur se consapevole di quali siano i mali che l’affliggono, non frappone alcun rimedio alla crisi; solo le parole sono sparse in abbondanza: ora per tranquillizzare (con la usuale, vetusta, tecnica del “rinvio”: tranquilli, poi tutto migliorerà. Ma è un “poi” senza tempo: nessuno si impegna realmente, dicendo “da domani sarà così”); ora per blandire; ora per ribadire solennemente i termini di accordi stipulati “anni luce” orsono (quando tutto, o quasi, andava bene) e di fatto più che superati dagli eventi e, se vogliamo, dalla stessa Storia; ora per minacciare o lanciare veri e propri, insopportabili, diktat.   Il tutto lontano in modo abissale da quei nobili accordi all’origine del Trattato di Roma, oggi lontano in modo siderale non tanto dai fatti ma dagli animi di coloro che – più nel male che nel bene – tali fatti determinano ovvero concorrono a determinare.
Stupefacente è un’Europa tanto poco unita ma in realtà ingessata: campo di gioco di  atleti dalle gambe molli, preda di partite truccate dirette da più arbitri contemporaneamente, che si alternano in modo apertamente concertato per mostrare ora un “cartellino giallo” ora un “cartellino rosso” per favorire sempre e unicamente una ed una sola parte. 
Stupefacente è un’Europa carente di una comune politica estera, che subisce le ondivaghe imposizioni di chi è rimasto ai tempi della “guerra fredda”, del “muscle contest”, degli orizzonti incerti sui quali si stagliano le sagome dei missili nucleari puntati silenziosamente verso bersagli che, sulle carte, sono puntini rossi, gialli, blu o verdi, ma che in realtà rappresentano milioni di persone, di esseri umani, di vite pulsanti, di sogni, di ambizioni, di aspettative, di progetti, di programmi. 
Stupefacente è un’Europa che, per sanzionare, sanziona se stessa; per fiaccare un avversario che tutti i torti non ha (anzi: a questo punto vero è che ragioni e torti si equivalgono, dando poca ragione e molti torti a quanti si erano affrettati – per interessi economico-finanziari-commerciali e, per ultimo, politici -  a spalleggiare e persino riconoscere ciò che fin da subito appariva essere non una nazione unita, ma solo una parte di essa; una parte che, secondo il peggiore dei copioni, si è calata in un confronto armato tra etnie locali, non riconoscendo alcun diritto a chi chiedeva autonomia e libertà di autodeterminazione).   Un’Europa che quindi non si sottraeva al pessimo vezzo di dare ragione agli (veri o presunti) aneliti di libertà di taluno, non tenendo conto e anzi censurando e negando gli (anche qui: veri o presunti) aneliti di libertà di talaltro. Chi decide, e in base a quale criterio chi sia un terrorista e chi un guerrigliero? Chi un patriota e chi un ribelle? Chi sia nel giusto nel chiedere "libertà" e chi invece non abbia diritto a chiderla?   Che fine hanno fatto – e non solo in quella parte di Mondo -  la libertà e la democrazia esercitata dal popolo?   Un’Europa già in ginocchio, con una disoccupazione alle stelle, con investimenti produttivi pressoché fermi, che ha fermato – a livelli diversi - l’export verso la Russia, decretando di fatto il colpo di grazia per molte realtà produttive, e che – in prossimità dell’inverno – deve ben ricordare che i rifornimenti di gas dall’Est rappresentano un'importante quanto un’insostituibile fonte energetica.
Stupefacente  è un’Europa che sembra non notare che, all’indomani di un sussulto d’orgoglio della Grecia (che ha fatto un gesto di stizza nei confronti della troika commissariale europea, non sopportandone le pressioni); di una dichiarazione di Moody’s che – stranamente… ma non troppo! – promuoveva le manovre riformiste italiane; di una non impossibile schiarita dell’orizzonte ucraino, complice un meeting Asia-Europa in corso a Milano; di una ferma presa di posizione della Francia, alle prese con una crisi interna e di mercato non meno dura di quella italiana; di un brusco ridimensionamento del ruolo della Germania nella leadership internazionale, richiamata ai suoi limiti dagli Stati Uniti; delle notizie che indicavano una flessione della spinta produttivo-commerciale della Germania; stupefacente – dicevo – è non notare che gli equilibri delle Borse Valori sono “saltati”.  Ufficialmente c’è chi si è affannato ad attribuire ciò ad una insoddisfazione degli “investitori” (ma chi sono e dove sono?) al rigore rappresentato dall’asse Berlino-Bruxelles: personalmente  vedo invece un rinnovato  assalto dei panzer camuffati da spread e delle divisionen lanciate alla conquista camuffate da rating. Gli effetti: massicce immissioni nel circuito di titoli pubblici delle nazioni più deboli, con realizzi al ribasso, tassi del debito pubblico della Grecia alle stelle, tassi di quello Italiano anch’essi sotto assalto, spread che salgono con una velocità sbalorditiva toccando in poche ore quote impensabili.  Ancora un paio di giorni così, e qualcosa scricchiolerà paurosamente e forse irrimediabilmente in quest’Europa dove il deficit al 3% è un taboo al pari della immodificabilità delle regole attuali.
Stupefacente è un’Europa che non vuole prendere atto che c’è un gruppo di Stati membri che ha una propria “velocità” e la maggior parte degli altri che ha una “diversa velocità”: di fatto l’Euro a due velocità già esiste, perché non ufficializzarlo? Non sono tra coloro che seguono il filone “complottista” ma è un fatto che in Italia si vedano poche banconote con caratteristiche di stampa riconducibili ad altri Paesi membri… quasi che gli euro stampati in Italia, restino e circolino solo qui da noi.  E poi qualcuno dovrebbe spiegare come mai sugli stampati di alcune banche italiane appaia da qualche tempo, per l’esecuzione di bonifici, il termine “euro domestico”: c’è allora un “euro non domestico”, ovvero l’ “euro domestico” è una nuova unità o pseudo tale? E chi ne avrebbe autorizzato l’introduzione/l’indicazione?
 Tanto la situazione – e la complessiva condizione – dell’Italia che la situazione e la condizione degli Stati d’Europa, e in particolare di quelli componenti l’Unione Europea, sono sotto gli occhi di tutti: anche se la comunicazione (televisioni, radio, carta stampata, strumenti di informazione varia anche via web, ecc.), riferendoci in particolare a quella nazionale, non sempre può essere ritenuta completa e obiettiva come pure non sempre viene ritenuta in grado di offrire al pubblico un’esposizione dettagliata e quindi professionale, utile al formarsi di quelle idee-critiche-impressioni-valutazioni che presiedono alfine alle decisioni.
Le omissioni e l’incompletezza dell’informazione diventano spesso addirittura macroscopiche allorché si vadano a trattare avvenimenti che si incardinino  all’estero: quasi che si avesse timore di offrire a lettori e ascoltatori un quadro completo delle vicende: o perché li si voglia ritenere “deboli di cuore”, o perché li si possa reputare mentalmente “instabili ed incerti” perché non in possesso della cultura necessaria a ben valutare e quindi comprendere, o perché – più semplicemente -  non capirebbero”…   Una storia che – a ben vedere, e studiando le storie che la Storia ci sottopone - va avanti da secoli, quella di omettere e nascondere ai sudditi, al popolo, alle masse, le notizie – e quindi anche delle “verità” - che vengono ritenute “non alla loro portata” ovvero “scomode” specie per chi esercita il “potere e il comando” e attraverso questo determina “come influire” sulle notizie stesse e/o sull’informazione e quindi sulla forma e – soprattutto – sulla sostanza delle stesse notizie comunicate.
Ciò ha sempre giovato a pre-stabilire tout-court chi abbia ragione e chi torto, chi siano i “buoni” e chi i “cattivi”, chi sia da esaltare e catalogare come “amico” o “alleato”, anche ponendolo su di un piedistallo, e chi da “eliminare” additandolo come “nemico” e concertando/complottando per farlo apparire come tale, quali siano i “campioni” giusti ed esemplari da seguire e quali – invece – siano quelli sbagliati: persino determinando (erronei) schemi valutativi, comportamentali e sociali, tali da soppiantare – per la loro semplicità di applicazione e per l’innata umana tendenza di “ignorare/travalicare/interpretare” ogni regola – quei comportamenti che hanno radici profonde e che presidiano alla presenza stessa dell’uomo nella società e in primis nella famiglia e nei consorzi umani che ne originano.    
Ci troviamo di fronte all’imposizione dilagante di un pensiero unico al quale viene conferita l’energia di una nera sfera lanciata a tutta velocità su un mucchio di birilli e che tutto sembra travolgere se non devastare: al punto che chi vuol continuare a ragionare con la sua testa confidando nella forza di “regole” forse “antiche” (o “vecchie quanto il mondo”?) ma certamente “consolidate e valide per i loro contenuti”, è additato come retrogrado, o bacchettato come “vecchio e superato conformista”, o catalogato come “razzista” o segnalato addirittura come “intollerante” intriso di acida e caustica “discriminazione”.
Chi sta a monte del pensiero unico ha anche determinato la fitta ragnatela di interessi e alleanze per assicurarsene e facilitarne non solo la diffusione ma soprattutto la stratificazione, pilotando azioni e reazioni, creando e diffondendo un consenso drogato tale da essere recepito come salvifico rispetto ad un passato più o meno recente.    Il tutto coerentemente con l’attuale regime che vivono le genti, dove – pur in nome di principi di tutela e/o salvaguardia - le masse fanno ormai parte di una società all’insegna di “sorveglianza e controllo”: forse, e dico “forse”, un passo avanti prima del possibile utilizzo su larga scala di fantascientifici microcircuiti.
Tale condizione, almeno nell’odierna fase, tende a sopprimere la critica, ancorché costruttiva, ed il dissenso, ancorché correttamente proposto: chi è sul ponte di comando si giova di manovratori che propagandano e sostengono il “tutto va bene”, tentando di relegare chi non la “pensi” come loro in una sorta di “ghetto” non solo ideologico ma anche pratico-attuativo, dove è reso difficoltoso contestare e contrastare questo pensiero unico, non comparabile e incontestabile senza correre il rischio di esserne pericolosamente travolti dalle azioni/reazioni di chi tratta come propri acerrimi nemici quanti non siano allineati, “conformati”, con loro.
Che fine  ha fatto quel libero pensiero di cui tutti pur sembrano nutrirsi, sebbene a parole? Quante sfumature di democrazia esistono o vengono di fatto applicate, piuttosto che non ”la” democrazia? Quante sfumature di libertà esistono o vengono usate, piuttosto che non “la” libertà?
Di fronte a tante e tali cose stupefacenti, vale la pena di notare che nel nostro Paese si stanno producendo tali e tante novità che, nelle frenesia del movimento generato per enunciarle/promuoverle/lanciarle, tutto sembra svolgersi come sul set di una pellicola thriller : le scene più importanti, emotivamente più coinvolgenti, vengono fatte vivere al rallentatore.  
Ecco, tutto si volge freneticamente al rallentatore: speriamo che un qualche regista non dia lo stop.
Ecco allora che chi scrive si interroga su che fine abbiano fatto la tolleranza, l’amore per il prossimo, la cultura della non violenza, come pure si chiede come si intenda placare placare la sete di Giustizia, di ordine, di razionalità, di correttezza, di onestà e quindi di Verità, alla base dell’azione di chi intende eliminare i massicci  privilegi pur concessi nel tempo.
Allora chi qui scrive invoca, in nome dei migliori e più nobili principi di libertà e di democrazia, il diritto di critica: un diritto che – purchè formulato ed espresso in termini corretti, civili -  si fonda sul diritto di espressione, e quindi di parola.  Esprimere opinioni, manifestare delle valutazioni, formulare delle critiche, fanno parte del diritto di parola, del diritto di manifestare il proprio libero pensiero, garantito dalle Costituzioni di molti Paesi del Mondo: fa parte dei diritti fondamentali, alla pari di quello del lavoro, del potersi curare, del poter studiare, del poter vivere dignitosamente senza che la persona – e quindi la personalità – subisca mortificazioni, oltraggi, offese.
Stupefacente, dicevo! Ed è stupefacente che nessuno si opponga allo sfascio che domina in Europa.
Non è obbligatorio allinearsi – e quindi dare, volenti o nolenti, un qualche credito - alle parole, ai concetti, espressi dai soliti “pifferai” e da “imbonitori” molto pratici delle tecniche di comunicazione e di persuasione: al punto che le loro prediche si ammantano di vero pur contenendo ben poche verità e moltissime pseudo-verità tirate bene a lucido.  Questi messeri ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, si applicano con ogni loro energia -  peraltro in modo insistente e persino petulante – nel convincere la gente che “tutto va bene” quando, invece, tutto continua a precipitare.  Nel caso del nostro Paese, urgono mezzi finanziari reali, “soldi veri”, per dare una spinta all’economia e quindi stimolare l’occupazione.
Serve che le banche riprendano a fare ciò per cui esistono: erogare il credito; diversamente, è inutile che continuino ad essere presenti solo per tenere i conti correnti, i depositi, della clientela adoperandoli a esclusivo vantaggio delle strutture creditizie.   Tanto vale spostare tutti i depositi alla CDP, chiudere buona parte delle (poco utili, se non erogano il credito) banche, e fare in modo che la CDP assuma il ruolo complementare di esercitare direttamente il credito e gestire il risparmio.  Se ne ricaverebbero vantaggi e utilità oltre ogni possibile immaginazione, anche perché accorciando sobriamente la “filiera”, eventuali utili di gestione potrebbero remunerare quella clientela che oggi vede corrispondersi tassi prossimi allo zero.
I cittadini assistono esterrefatti a tribune e tribunette politiche, a talk-show dove i politici continuano a recitare il copione della vetero-politica, con scenette che se non fossero tragiche potrebbero apparire tra il comico ed il farsesco: e questo mentre il Paese scivola sempre più in giù con margini sempre più esigui per convalescenza, recupero, guarigione.
“Tutto bene”, ci dicono sorridenti e con grande sicumera, e "in seguito andrà anche meglio”.
Peccato che, almeno per ora, nessuno se ne accorga. 
Ma ci si accorge benissimo di una pressione fiscale complessiva sempre più insopportabile.

Roma, 16 Ottobre 2014                   Giuseppe Bellantonio

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