lunedì 15 settembre 2014

UN CONTRIBUTO...

... pro veritate  è quello proposto dall'Ill. Prof. Salvatore Sfrecola nell'articolo che segue e che - apparso oggi sulle pagine web di "Un Sogno Italiano", http://unsognoitaliano.blogspot.com - qui viene riprodotto, per gentile concessione dell'Autore, considerandone l'attualità ed il taglio.
Offrire dei commenti ai Lettori sarebbe cosa superflua: ecco perchè, proponendone la lettura, l'invito è quello di ben intelligere nello scritto dell'Illustre Autore.
Un cordiale saluto.
Roma, 15 Settembre 2014                                           G. Bellantonio


A margine di un articolo di Filippo Facci
I giudici, il Governo e il Parlamento

dSalvatore Sfrecola

Filippo Facci, da Monza, classe 1967, è un giornalista che ha fatto un lungo e certamente sofferto percorso intellettuale, da l’Unità a Libero, passando perl’AvantiIl Giornalel’OpinioneIl TempoIl RiformistaIl Domenicale di Marcello dell’Utri.
Onnipresente nei talk show, il look è quello del ragazzotto scapigliato, la bocca costantemente atteggiata ad una sorta di broncio infantile, mentre si tira su con vezzo il ciuffo. Un po’ alla Sgarbi, per intenderci.
Intelligente, fiuta il vento che tira, come dimostra il suo percorso giornalistico, ha il gusto della battuta e non trascura l’argomento che fa tendenza. Non avrebbe, dunque, potuto ignorare la polemica sulla Giustizia con argomenti tra i più ricorrenti e popolari tra gli italiani, soprattutto tra quelli che maggiormente apprezzano i furbi, i cosiddetti “dritti”, quelli la cui vita è un perenne slalom tra regole e divieti. Per cui il magistrato, che a quelle regole ed a quei divieti li richiama, non è amato.
Facci si esibisce, pertanto, in una serie di luoghi comuni, impunemente, per nulla preoccupato del fatto che le argomentazioni che propone ai suoi lettori si smentiscano da sole. Cominciamo dal titolo “si fa Giustizia solo senza magistrati” (Libero, 11 settembre 2014, a pagina 1, con seguito alla 4) per andare ad individuare le ragioni per le quali, a suo giudizio, il governo non riuscirebbe a portare a termine la riforma pur con tanta grancassa annunciata. Parte dal lavoro dei magistrati, il Nostro, per dire che “mediamente lavorano poco”. Quel “mediamente” è un capolavoro di ipocrisia, perché Facci sa bene che le statistiche europee dicono il contrario. Che, cioè, i magistrati italiani hanno una resa lavorativa elevata, superiore a quella di altri colleghi degli Stati appartenenti all’Unione europea.
Riferisce Facci che secondo l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) “i problemi sono altri, sono cioè la norma sull’auto riciclaggio e la legge Cirielli e il falso in bilancio”. E prosegue, “il problema non è, cioè, che i magistrati sono anche dei dipendenti statali come gli altri e quindi soffrono degli stessi tic, con la straordinaria differenza che loro non timbrano il cartellino: guai a dirlo”. Secondo il Nostro “dovremmo arrenderci al fatto che “i magistrati lavorano anche e soprattutto a casa” (Il Fatto Quotidiano, ieri, cioè il 10 N.d.A) anche se i risultati sono questi e dovremmo berci che il deserto estivo di procure e tribunali sia tutta colpa della lobby degli avvocati: che hanno tante colpe, cribbio, ma non diamogli anche questa”.
È sufficiente per dimostrare che Facci non ha studiato il problema o fa finta di non conoscerlo. Propenderei per la seconda, secondo il noto adagio di Giulio Andreotti per il quale a pensar male si fa certamente peccato ma si indovina spesso.Cominciamo col dire che l’andamento della giustizia, il funzionamento di questo essenziale servizio che gli ordinamenti pubblici rendono da quando esistono, cioè da qualche migliaio di anni, dipende essenzialmente dalle leggi, sostanziali e processuali, che essi stabiliscono, un tempo i sovrani, poi, almeno a far data dalla Rivoluzione Francese, i Parlamenti, cioè le assemblee legislative. Sono queste infatti che individuano i reati che devono essere previsti e puniti ed a chi spetta istruire un procedimento. Ugualmente, nel processo civile, è la legge che stabilisce quali diritti hanno i cittadini e le imprese e come devono essere tutelati. Con la conseguenza che i tempi dei processi discendono direttamente dalle norme che gravano sui tribunali e sui giudici, quanto alle cause che possono essere iniziate ed ai tempi della loro conclusione. Nel tempo infatti si è assistito al variare dell’area degli illeciti previsti e puniti e dei diritti riconosciuti e tutelati.
Questa materia sfugge ai magistrati. E sfugge anche all’Associazione nella quale si riconoscono, che a volte interviene, si potrebbe dire a titolo di consulenza dei governi e dei Parlamenti, non tanto sui reati, che vengono identificati secondo la sensibilità dei popoli in un determinato momento storico, quanto su profili di carattere tecnico giuridico per dire che sarebbe incongruo, ad esempio, non punire il falso in bilancio che si è rivelato, a partire dall’esperienza di Tangentopoli, il grimaldello più efficace attraverso il quale perseguire i reati di corruzione e concussione.
Nel sommario dell’articolo scrive Facci: “è inutile tentare la riforma dei tribunali col consenso dei pm, perché pur di mantenere i privilegi (dalle ferie alla paga) sono capaci di cacciare interi governi”. Intanto non è chiaro il passaggio dalla categoria dei magistrati, senza i quali solamente si potrebbe fare la riforma della Giustizia, all’identificazione dei pubblici ministeri quali oppositori del cambiamento, considerato che essi sono una piccola parte del mondo della giustizia, una parte che avrebbe uno scarso peso della vita italiana se la classe politica arruolasse persone dalla fedina penale pulita, senza scheletri negli armadi, persone perbene che dalla giustizia penale non avrebbero nulla da temere. Questa influenza dell’attività giudiziaria sulla vita politica, infatti, deriva dal fatto, esclusivamente dal fatto, che molti politici italiani in questa fase della storia del nostro Paese hanno spesso da rimproverarsi comportamenti contrari alla legge.
Torniamo a quella che evidentemente è una ossessione di Facci e non solo. La paga, le ferie e il lavoro.
Gli stipendi dei magistrati sono stabiliti per legge e non sono superiori a quelli dei dirigenti dello Stato. Anzi i magistrati non hanno la possibilità di godere dei privilegi degli alti dirigenti dello Stato che, come ho detto più volte, sono titolari di poteri rilevanti per la loro partecipazione ad attività di amministrazioni e di enti dai quali ricevono compensi, i gettoni di presenza, in quanto componenti di Consigli di amministrazione e degli organi di revisione contabile, ed attraverso i quali ottengono vantaggi. È noto che i figli degli alti dirigenti dello Stato il più delle volte vengono assunti da enti e società pubbliche senza concorso mentre i figli degli altri dipendenti pubblici, compresi i magistrati, se vogliono lavorare nel pubblico, debbono sottoporsi a rigide selezioni.
Quanto alla paga, lo stipendio è certamente buono solo in rapporto a quello di un impiegato direttivo, non dei dirigenti ai quali i magistrati possono essere equiparati. Esso compensa un lavoro duro, di grande responsabilità, che comporta un continuo aggiornamento professionale spesso reso particolarmente complesso dalla continua evoluzione normativa e giurisprudenziale. Inoltre, non sfuggirebbe a Facci, se riflettesse sine ira ac studio, che sembra logico a chiunque abbia presente queste caratteristiche della funzione giudicante che lo Stato debba selezionare i propri magistrati attraverso concorsi che ne accertino la capacità professionale, reclutando i migliori fra i laureati in giurisprudenza disponibili sul mercato. O vogliamo giudici raccogliticci che non hanno saputo impegnarsi in altre professioni?
Da ultimo il tema del cartellino, una dimostrazione di incapacità di comprendere il tipo di lavoro. Anche la battuta sui magistrati che lavorano prevalentemente a casa dà un’altra dimostrazione di colpevole ignoranza se non di mala fede. I magistrati, a differenza degli altri impiegati statali che producono nell’orario d’ufficio provvedimenti di varia natura, scrivono sentenze che sono atti complessi, spesso lunghi dovendo ricostruire il fatto e puntualizzare gli aspetti della motivazione, atti i quali richiedono una concentrazione ed un impegno nella consultazione del fascicolo processuale, delle leggi e dei codici che non si può fare in ufficio, in un ambiente dove il lavoro è spesso interrotto da chi bussa e da chi telefona. Per cui i magistrati da sempre lavorano prevalentemente a casa nel silenzio del loro studio, di fronte agli atti processuali, alle istanze e alle memorie, alle leggi e alla loro coscienza, dovendo definite situazioni che incidono sui diritti e sugli interessi delle persone. Il lavoro dei magistrati è valutato dal punto di vista quantitativo e qualitativo sulla base delle sentenze che scrivono. Non è quindi un problema di cartellini e di tornelli.
Chi giudica le sentenze? L’appello, ovviamente. Che in Italia, a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti, è consentito al di là di ogni ragionevole garanzia. Ciò che vale anche per i ricorsi in Cassazione che solo nel nostro sistema processuale sono consentiti a dismisura, per cui la nostra Corte Suprema fa ogni anno decine di migliaia di sentenze contro le poche decine degli analoghi collegi degli U.S.A., del Regno Unito o della Francia. Anche questo è colpa dei magistrati? Suvvia Facci! Senso della misura innanzitutto.
14 settembre 2014

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