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Ferdinando IV lavò i piedi ai poveri: un documento raro racconta l’umiltà dei Borbone
Che quella dei Borbone fosse una dinastia umile e vicina al popolo si sapeva già, ma ora un documento raro rinforza questa tesi. A mostrarlo è la Libreria del Castello di Giuseppina Casillo a Solopaca. Questo il testo, pubblicato oggi da Il Corriere del Mezzogiorno:
“Mercoledì della scorsa settimana la Maestà del nostro amabilissimo Sovrano dalla Tribuna della Real Cappella di Corte assisté al Mattutino delle Tenebre; il quale terminato si trasferì ad osservare la gran sala della Cena, che stava splendidamente guarnita, ed illuminata, con più magnifici, o ricchi riposti, risplendendo nel mezzo il nobile Trionfo rappresentante li Sacri Misteri; ed in ognuna delle dodici Mense, assegnate ad altrettanti Poveri osservandosi dodici piatti ripieni di esquisiti delicati cibi. A detti poveri nella seguente mattina si degnò S. M., con esemplarissima divozione, lavare loro i piedi, e distribuire nel tempo stesso ai medesimi larga elemosina”.
Il Sovrano di cui si parla è Ferdinando IV, figlio di Carlo III che abdicò in suo favore per salire sul trono di Spagna. Ferdinando, all’età di 9 anni, nell’aprile del 1760, in occasione della Santa Pasqua presenziò quindi al rito della lavanda dei piedi, praticandola personalmente ai poveri presenti.
Questa notizia, che fino ad oggi era ignota, è contenuta quindi in una gazzetta del tempo la cui «testata» è semplicemente Napoli e la cui data è 8 aprile 1760 e fu stampata in Napoli «Per Matteo e Vincenzo Mazzola. Regi Impressori di S. M. (Dio Guardi) con Privilegio».
Come si legge, quindi, prima fu celebrata la Cena, poi la Lavanda. L’unico precedente napoletano che si conosce è quello di Ferdinando II d’Aragona, che fece imbandire tre tavoli con molte vivande, ospitando a cena 46 poveri: ai primi 12 lavò i piedi e dopo aver mangiato rimase in piedi con un tovagliolo legato al collo come un umile servitore.
E’ probabile che un ruolo decisivo nell’educazione del giovanissimo Ferdinando IV l’abbia avuta Domenico Cattaneo, suo precettore e maggiordomo di corte, che potrebbe averlo spinto a riprendere un antico rito in cui i re svolgevano anche il “ruolo” di sacerdoti.
fonte
vesuviolive
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