sabato 8 ottobre 2016

TRA IL 'SI' E IL 'NO'

L'Ill.mo Prof. Salvatore Sfrecola, lasciata la Toga della Corte dei conti, indossa ora la Toga di Avvocato, peraltro dedicando maggior tempo alla Sua passione di sempre: scrivere, al fine di far conoscere nel modo più ampio possibile il proprio pensiero. Un pensiero personale, sì: ma un pensiero sempre obiettivo, sostenuto dalla ragione e dal confronto più ampio ancorché dalla propria passione.
Innumerevoli le conferenze, i dibattiti, cui il Prof. Sfrecola ha partecipato: in ordine di tempo,  l'appuntamento è per il 19 Ottobre alle ore 17,30 presso l'Università di Castel Sant'Angelo (Corso Vittorio Emanuele, 217 - Roma), dove insieme con Fabrizio Giulimondi presenteranno i rispettivi lavori sul 'referendum' (Ed. Aracne) e sulla Costituzione (Ed. Giappichelli).  
All'incontro si annuncia fin da ora numerosa la partecipazione di studiosi, Magistrati e Avvocati.
In esclusiva per i nostri Lettori, l'Ill.mo Prof. Sfrecola ha cortesemente preparato una scheda di quello che è il contenuto del proprio libro, e quindi un essai del proprio pensiero.
Ringraziamo l'insigne Giurista, certi dell'apprezzamento dei Lettori stessi per la Sua cortesia e disponibilità, come pure del successo del suo libro.

Roma, 8 Ottobre 2016                                                Giuseppe Bellantonio

"LA COSTITUZIONE VA RIFORMATA? SI/NO" 
(di Salvatore Sfrecola, Aracne Editrice)
Giunge nelle librerie, nel bel mezzo del dibattito sulla riforma costituzionale in vista del referendum del 4 dicembre questo libro, il cui Autore vanta una lunga esperienza di Magistrato della Corte dei conti oltre che e di consulente ministeriale.  Il libro dà ampio conto delle tesi dei fautori del SI e di quelle dei Comitati per il NO. Sulla base di queste contrastanti valutazioni della legge di riforma, l’Autore giunge alle sue conclusioni contrarie alla approvazione della riforma. Comincia da una frase a conclusione del documento diffuso dai fautori del SI: “Il testo non è, né potrebbe essere, privo di difetti e discrasie”. L’Autore si chiede come si possa modificare la legge fondamentale dello Stato nella consapevolezza di “difetti e discrasie”, cercando di nascondere questa verità con parole ad effetto, a volte inserite in “slogan da comizio”, come ha scritto Curzio Maltese su Venerdì di Repubblica.     Parole che, nel linguaggio della comunicazione, riassumono esigenze, indicano obiettivi, per taluni raggiunti per altri falliti o inutili se non dannosi. Parole che tornano nelle discussioni tra le persone, nei fondi degli opinionisti e nella cronaca, come nei conversari al bar o nei circoli.
In primo luogo “riforma”, naturalmente “necessaria”, per di più “attesa da anni”, che realizza “notevoli risparmi”, riforma, varata in Parlamento “con una larga maggioranza” per affrontare “efficacemente alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del nostro Paese”. “Emergenze”, per superare “l’anacronistico bicameralismo paritario indifferenziato” che diventa pasticciato (basta leggere il nuovo art. 70).
Inoltre “risparmi”, prima di miliardi poi di 500 milioni (che la Ragioneria generale dello Stato stima, invece, in 50 milioni), e ovviamente, “meno politici”, perché si ha l’“abolizione” del Senato (come affermato inizialmente per poi divenire modifica delle sue competenze) “220 parlamentari in meno”. Ma non si dice perché mantiene 630 deputati quando negli U.S.A., con 381 milioni di abitanti, sono 435.
“Riforma” e “ritardo”, nel senso che la riforma interverrebbe a distanza di molto tempo da quando ne sarebbe emersa l’esigenza. “Riforma” significa solamente cambiare senza riferimento al merito e agli effetti di ciò che si riforma, che i promotori considereranno positiva, gli oppositori totalmente o parzialmente negativa. Anche la legge di revisione costituzionale del Titolo V, varata nel 2001 in fretta e furia, fu definita con molta enfasi “riforma” dalla stessa maggioranza che oggi ne disconosce la paternità.
Anche l’“attesa da tempo” non è determinante, dal momento che non si è mai trovata una maggioranza disposta a condividere un testo. Perché, va ricordato, una Costituzione, per durare nel tempo, deve essere approvata con larga maggioranza che nel caso non c’è stata (altrimenti non sarebbe stato necessario il referendum). La Costituzione – precisò Ruini – si rivolge direttamente al popolo e deve essere capita”, esigenza che è connotato fondamentale della democrazia. 
L’aveva richiamata Piero Calamandrei in Assemblea Costituente il 4 marzo 1947, ricordando, lui repubblicanissimo, lo Statuto albertino, del quale aveva sentito dire da un altro Costituente “guardate come era semplice e sobrio; ed ha servito a governare l’Italia per quasi un secolo”.

Prof. Avv. Salvatore Sfrecola
            Presidente dell'Associazione Italiana Giuristi di Amministrazione

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