sabato 4 luglio 2015

CONTINUO AD ESSERE GRECO

A poche ore da quel referendum che riguarderà il pronunciamento dei Greci su un 'inutile' quesito (quello, superato, sulle misure sollecitate da Bruxelles e ormai scadute), e su un altro più utile quesito (un test sullo stati d'animo di un Popolo, quindi sul loro livello di sopportazione), personalmente continuo a sentirmi ancora più a fianco dei Greci.
Quindi, continuo ad 'essere greco': riprendendo così un termine coniato all'indomani della strage in Francia, presso il periodico Charlie Hebdo.
Una certa Europa, che identifico in quelle stesse componenti che fecero dell'Italia un banco di prova di pressioni e indebite ingerenze, nonché di Governi con rappresentanti non nominati dal Popolo, mira ad ottenere un pronunciamento che - letto come una volontà (?) di restare nell'Europa dell'Euro -  metta fuori gioco Tsipras e la sua squadra, aprendo la strada ad un Governo assoggettato a Bruxelles e docile ai diktat di Berlino.
Un'altra Europa, temebonda e vile come il Don Abbondio di manzoniana memoria, in cuor suo vorrebbe poter imitare ed affiancare Tsipras; ma non ne ha la forza, poiché non è il coraggio a dominare in certe Cancellerie.
E se qualche volta questa seconda tipologia ha provato a sostenere - in modo quasi spavaldo, all'insegna di quel cerchiobottismo mai morto  - una qualche tesi greca, ovvero una posizione meno intransigente a livello europeo (anche riferita alla questione Ucraina), da Bruxelles o dagli USA (per quegli accordi maturati in sede di G8) arrivava la bacchettata e la messa in riga di 'discoli' e 'linguacciuti'.
Questo a ricordare che ormai la parola 'sovranità nazionale' è relegata in un angolino buio ed angusto...
Tutto questo gioco di concertazioni ed orchestrazioni a più voci, alimentata da quei mezzi di comunicazione che aiutano a propalare poca informazione ma tante paure e timori, durerà ancora poco per poi riprendere con altra melodia presa sempre dallo stesso spartito: la cui musica è suonata altrove e le cui note sono pennellate dalla finanza internazionale (ossia, da chi ha in mano le decisioni di banche e speculatori).
Se i Greci votassero con una maggioranza tutto sommato pro-Europa (e, inevitabilmente, pro-Euro), questo verrebbe trionfalmente letto come la fine di un lungo bluff condotto da Tsipras e annullato dalla paura dei suoi connazionali: ma questo vorrebbe solo dire che, in cambio di qualche pomposa concessione da parte della UE e del FMI, sui Greci si abbatterà la mannaia di riforme durissime, fatte adottare con lo stile dello schiacciasassi.
Diversamente, una prova di orgoglio, ancorché di misura, lascerebbe invariati molti quesiti: ma potrebbe essere Tsipras - in questo caso, di fatto riconfermato alla guida della Grecia - a rendere la pariglia a Berlino, formulando una serie secca di proposte tanto al FMI che a Bruxelles.   Del tipo: ora tocca a voi, se volete che restiamo, certamente non a queste condizioni bensì a quest'altre.
E le altre condizioni dovrebbero essere non all'insegna di denaro che arriva per pagare rate di debito insolute, creando solo altri debiti e così postergandoli.
Questa volta la Grecia deve dire: denaro per affrontare anche delle riforme (non giugulatorie) nel tempo, ma soprattutto per creare investimenti e lavoro.
Solo in questo caso l'Europa potrebbe richiedere di poter verificare costantemente l'effettività degli investimenti.
Diversamente...
... già, diversamente: ma sullo scacchiere la questione è sempre più articolata, con quella parte di Ucraina con governo filo-occidentale, che all'indomani degli incontri di Putin dapprima con Tsipras e poi con altri leader occidentali, ha richiesto la fornitura di 'armi pesanti' per contrastare i 'separatisti filo russi'.
Si è chiesto l'occidente quale risultato darebbe oggi un referendum 'reale' fatto in questa parte di Ucraina 'liberata'? Credo che il risultato non sarebbe così scontato: visto soprattutto che le condizioni del popolo non sono affatto migliorate dopo 'la grande svolta' verso Ovest.
L'Occidente farebbe bene ad interrogarsi e correre ai ripari per chiarire ruoli e posizioni, eliminando inutili e dispendiose conflittualità, utili non al trionfo della 'libertà' e della 'democrazia' ma solo a smaltire surplus produttivi di armi. 
Meglio indirizzare ogni risorsa, di tipo economico ma anche di uomini e mezzi, per contrastare il terrorismo in ogni sua forma e per tagliare i rami che portano linfa a questa causa.
E per ottenere risultati, occorre unire le forze: di tutti, con tutti.
E credo che non ci sia rimasto molto tempo per operare.
In questo giorno dedicato nel più grande dei Paesi di Occidente - gli Stati Uniti d'America - a ricordare solennemente la propria Indipendenza, proprio da qui potrebbe venire un segnale forte e  univoco, letto da tutto il Mondo come un grido di insofferenza verso tutto ciò che è guerra, chiedendo a gran voce la collaborazione di tutti per pervenire ad una Pace equa, equilibrata e duratura.
D'altronde questa è una vecchia regola: depotenziare i conflitti è l'unica via verso la Pace.   Diversamente, si alimenta solo la guerra.
E questo vale anche per la 'guerra economica' che una parte d'Europa ha dichiarato all'altra parte: non si va avanti se una sola parte vuole decidere tutto, al grido di 'l'Europa sono io (e la mia parte)'.
Basta con l'Europa del 'rigore ad ogni costo': occorre puntare tutto sulla crescita; diversamente i 'creditori' si troveranno le casseforti piene di cambiali inesigibili per l'avvenuta morte dei debitori!
Un'occasione, forse l'ultima, per smetterla di dare la colpa a questo o quello per le cose che 'non fa' o per come 'dovrebbe farle' o per piazzare nei governi gli 'uomini giusti'  (secondo loro ed i loro interessi) per farle: l'Europa comunitaria di oggi si guardi allo specchio e cerchi di modificare profondamente l'immagine  pessima e surreale che ne rimanda.
 
Roma, 4 Luglio 2015                                        Giuseppe Bellantonio
 

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