venerdì 8 novembre 2013

ITALIA, QUALE FUTURO?


La situazione italiana vede continui interventi interni oltre a quelli da parte degli osservatori internazionali: tanto in ambito europeo che non.
Oggi, le "chiacchiere" tra amici, al bar, spesso si tramutano in sedute spiritiche attraverso cui evocare i "fantasmi" di questa o quella evenienza, ovvero porre quesiti su "cosa" ci riserva il futuro.
Un futuro non tale in termini prospettici, classici, bensì in termini molto prossimi: limitati all'ambito giornaliero, direi.
Quasi a rinnovare quel "...del domani non v'è certezza" che l'ottimo Cecco Angiolieri, con grande sagacia, aveva ben sottolineato là dove evocava la beltà effimera della giovinezza.
Il panorama che abbiamo davanti è sconfortante: l'abisso che separa la vita "reale" e quotidiana dal mondo della politica - ...sfusa ed a pacchetti! - è ormai incolmabile; al pari delle "apparenti" insanabili incomprensioni che separano l'una dall'altro.
Siamo ancora avvitati, come da quasi 20 anni, sulla disputa "viva tizio", "abbasso tizio": senza apparenti soluzioni: stante il profilarsi di "rimedi" che fanno paventare il prolungarsi di siffatta stranezza italica.
Una stranezza, beninteso, che fa bene anche a chi ravviva ogni possibile fuoco di guerra contro il "tizio": ché, se gli si togliesse questo bersaglio che impegna "apparentemente" ogni forza, ogni energia intellettuale, ogni pur sottile sofisma ideologico, sembrerebbe svuotarsi persino della dialettica che oggi lo connota.
Renzi? Da rebus, sta trasformandosi in mistero. Ferma restando l'attenzione con cui taluni ambienti lo seguono e la considerazione che gli indirizzano i suoi sostenitori ovvero quanti lo possano apprezzare, stiamo assistendo ad una sorta di revival pressoché continuo delle sue idee, del suo pensiero.
Troppo tempo è trascorso da quando queste idee hanno visto la luce, brillando - all'inizio - con grande intensità: ora questa luce si è affievolita in modo sostanziale, rientrando quasi nelle emissioni luminose generalmente presenti.
Proposizioni meritevoli di apprezzamento, ma ormai tali da suonare più improbabili che imminenti: vista l'intensità con cui il  "fuoco amico" cerca di sbarrare la strada a questo vento che, di giorno in giorno, da impetuoso è diventato brezza leggera.
Le statistiche? Ci dicono tutto e niente; quotidiani rilevamenti che ci inebriano di dati che dovrebbero dirci tutto ed il contrario di tutto, aumentano il nostro sentirci trasformati: salvo il suscitare indignazione profonda nei Cittadini.
Cittadini che si sentono sempre più deboli nel fruire dei vantaggi di una democrazia che, in  verità, sono in molti a vivere come un'ingombrante, fastidiosa e intollerabile prevaricazione degli interessi della collettività da parte degli inossidabili sostenitori di interessi particolari.
Fastidio? Equivoci? Tantissimissimi, in questa fase (lunga, molto lunga, troppo lunga).  Spesso urticanti nella forma e spessissimo contro l' "apparente" buonsenso, nei contenuti.
Specie se teniamo conto della quotidiana alluvione di parole che ci viene
scaricata addosso.
Peggio quando rivolta a chi, ai massimi livelli, rappresenti le Istituzioni, l'Italia.
Il fastidio? Soprattutto è concentrato nei confronti di chi critica tutto e tutti, di chi si trincera dietro posizioni di opposizione di assoluto tratto retrò: la gente desidera - ormai in modo sempre più evidente - ascoltare chi possa proporre un qualcosa di proponibile, di valutabile, sul quale potersi pronunciare ed a cui poter dare o meno corso.
Qualcosa che rappresenti tanto una possibile serie di "novità" che la loro estrinsecazione in programmi pratici, attraverso la cui attuazione giungere a concreti e rapidi miglioramenti della situazione attuale.
Tornando al valore, alla pesantezza e al significato (non alla Totò, rammentate?...) delle statistiche: suonano con il rombo del tuono quelle che ci pongono agli ultimi posti delle classifiche per tematiche importantissime della vita di noi Italiani. Della vita, ma soprattutto della qualità della nostra vita!
Indicazioni che ci fanno sentire mortificati: noi che abbiamo avuto maestri del diritto, noi autori e protagonisti del 'diritti romano' (che ancora viene insegnato anche all'estero!), subiamo critiche e retrocessioni umilianti in questo delicatissimo settore. 
Economia, finanze, riforme, qualità della vita... Troppe le cose che ci vedono fin troppo indietro in queste classifiche, in queste statistiche che - giorno dopo giorno - tracciano segni vitali sempre più deboli.
Corruzione, malcostume, evasione dai doveri fiscali, dilagare delle droghe, disoccupazione e inoccupazione, e quant'altro... ci vedono purtroppo primeggiare.
Ma è questa, realmente, l'Italia?
Non ci voglio credere: ho avuto il privilegio di vivere il "boom" economico degli anni '60 dello scorso secolo, ho avuto modo - da Cittadino - di vivere e poter valutare il modo con cui l'Italia veniva amministrata, ho avuto modo di percepire con i miei sensi e con la mia persona la qualità della vita che emergeva dal modello amministrativo applicato al Paese, sono stato spettatore - ma anche protagonista, pro-quota - dell'emergere dalle difficoltà drammatiche della guerra e dell'affermarsi di una via che, pian piano, ci ha portato addirittura tra i Paesi ad alto tasso di industrializzazione,...
Oggi tutto ciò è drammaticamente lontano, sembra che una gigantesca spugna venga passata continuamente sul nostro passato, per cancellarlo.
E così consegnarci ad un presente senza futuro.
Un presente dove i Cittadini non comprendono bene i meccanismi i base ai quali le banche non agevolano l'erogazione del credito (che pure è uno dei punti cardine dei loro stessi atti costitutivi).
Così come assistono stupefatti al passaggio di mano delle nostre aziende più qualificate, alla vendita di marchi storici: tutte realtà dove lo shopping straniero è molto pronunciato.   Ma anche situazioni che ci tolgono patrimonialità.
Adesso potrebbe toccare a ENI, o a ENEL o a qualche altra residua Azienda a forte capitalizzazione: e dopo? Cosa ci resterà?
Le risorse interne, il portafoglio dal quale tirare fuori i soldini per poter agevolare la ripresa e la crescita, mostrano sempre lo stesso scarno contenuto: le uniche nostre armi sono la (drastica, immediata, efficace) riduzione della spesa pubblica e il contestuale abbattimento di ogni forma di privilegio personale: con il contemporaneamente ogni risorsa va destinata a formule e forme assolutamente improntate alla produttività, alla crescita, all'occupazione.
Ascoltiamo proclami dove si sostiene ancora un nuovo e più marcato avvento di uno stato-assistenziale che sostenga-mantenga i Cittadini con un reddito minimo garantito; pensate che dopo ci sarebbe ancora chi si spaccherebbe in quattro per cercare un pur minimo lavoro? Pensate che "prendere" da quel po' di risorse che ci possono essere ancora per destinarlo a ciò anziché destinarlo a produrre nuova ricchezza imprenditoriale, sia il mezzo più corretto?
O è solo la riviviscenza - pur effimera che possa essere - di vecchi sogni della politica più ideologizzata, chiusi in cassetti polverosi?
Possibile che siano queste - e come queste, purtroppo, anche altre - la luminosa testimonianza del prodotto di menti eccezionali?
Mah! Personalmente, resto interdetto. Molto.
Specie assistendo al bla-bla-bla che alla fine si conclude con la solita "formula magica": che a pagare - ovvero, a contribuire in modo sostanziale - siano coloro che... posseggono qualcosa: una casa. una pensione, uno stipendio, dei risparmi!
Giustificare queste "stranezze" sostenendo che, con siffatto operare, verrebbero (anche e conseguentemente) adeguate verso l'alto le pensioni minime, è come mettere lo zucchero su prodotti immangiabili, anzi tossici: meglio sostenere direttamente ed esclusivamente questi redditi, allora.
Mi sembra che sia il revival della solita sindrome predatoria, camuffata da uno spirito di giustizia/equità (sic!) alla Robin Hood!
Certo, la formula "prendere ai ricchi" per "dare ai poveri" è accattivante, persino ben vestita di certi alibi mentali: ma in realtà nasconde solo l'incapacità nel "produrre ricchezza" attraverso il corretto ricorso ai classici fattori della produzione, ovverosia attraverso corretti dispositivi giuridico-finanziari-produttivi che consentano IN CONCRETO di offrire rapide possibilità di nuovo lavoro, di un rafforzamento di ogni attività già intrapresa a livello industriale, di sbocchi per i giovani e per le nuove famiglie, di sostegno alle famiglie anche monoparentali.
Mettere le mani dei Cittadini è il gesto più facile che ci possa essere, qualunque possa essere la forma e la formula.
La sostanza, quella è. 
Ma se è vero che tale è, è anche vero che basterebbe uno studentello di scuola superiore a fare queste semplicissime manovre, senza scomodare una pletora di soggetti che "amministrino" la cosa pubblica.
Che la coperta sia corta, sempre più corta, se ne sono accorti tutti da tempo.
Ma che a stare "al caldo" o "al riparo" possano essere sempre quelli che il sentire popolare definisce come "i soliti", non va bene.
E allora, quale futuro è riservato all'Italia ed agli Italiani?
C'è un futuro degno di essere vissuto, ossia dignitoso?
Un futuro scritto con i colori dell'Italia o di quell'Europa  di quella (per noi) lontanissima UE dai marcati connotati teutonici?
E soprattutto: chi ha in mano il destino dell'Italia?

Roma, 9 Novembre 2013                             Giuseppe Bellantonio

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