Non molto tempo fa, abbiamo avuto il piacere di intrattenere l'Artista Elisabetta Piccirillo con una serie di domande relative alla Sua espressività.
Accennammo al racconto da Lei da pochi giorni ultimato, dall'evocativo titolo 'Una ciotola piena di ricordi': un tracciare fluido e vivace, denso di ricordi e palpitante nostalgia.
Ci scusiamo con l'Autrice, di cui stiamo ospitando in esclusiva lo scritto, per il nostro ritardo nel completare quanto intrapreso: ma, forse, poiché nulla avviene per caso, questo tempo giova a mettere ancor più in risalto le stridenti differenze tra gli stati d'animo descritti mirabilmente dall'Autrice e la realtà di un Paese oggi devastato dalla violenza degli uomini e delle armi.
Accennammo al racconto da Lei da pochi giorni ultimato, dall'evocativo titolo 'Una ciotola piena di ricordi': un tracciare fluido e vivace, denso di ricordi e palpitante nostalgia.
Ci scusiamo con l'Autrice, di cui stiamo ospitando in esclusiva lo scritto, per il nostro ritardo nel completare quanto intrapreso: ma, forse, poiché nulla avviene per caso, questo tempo giova a mettere ancor più in risalto le stridenti differenze tra gli stati d'animo descritti mirabilmente dall'Autrice e la realtà di un Paese oggi devastato dalla violenza degli uomini e delle armi.
Grazie quindi a Elisabetta Piccirillo per la sua cortese e particolare autorizzazione alla stampa del Suo racconto.
Breve, ma intenso.
Ricco dei profumi della giovinezza, della spensieratezza, di quella fraterna e disinteressata amicizia che, ancor oggi, gonfia i cuori di emozione.
Un inno alla Pace, valido e concreto più di cento proclami!
Breve, ma intenso.
Ricco dei profumi della giovinezza, della spensieratezza, di quella fraterna e disinteressata amicizia che, ancor oggi, gonfia i cuori di emozione.
Un inno alla Pace, valido e concreto più di cento proclami!
Una ciotola piena di ricordi
Eccola qui spuntare da una scatola di ricordi, una ciotolina dell'Hotel Baron di Aleppo. Prenderla fra le mani ed essere catapultati nel passato è questione di un attimo...ricordo ancora il senso di colpevolezza che provai per tutto il viaggio ad aver trafugato quel piccolo pezzo al ristorante. Io, che non avevo mai portato via neanche le ciabattine monouso o un asciugamano dagli alberghi, in un baleno feci sparire la scodella nella mia borsa. E feci bene! Adesso è qui a rammentarmi quel che fu ed a farmi porre domande su quel che è. Molti di voi si fermeranno qui, non c'è tempo per leggere un pensiero più lungo di quattro righe ma io voglio raccontare, lo voglio condividere. Chissà cosa sarà rimasto del mitico hotel Baron in pieno centro ad Aleppo...
Era l' agosto del 1990, eravamo partiti da Milano in
tre: Maury, io e Lucky con il nostro Toyota Hi-lux direzione Aqaba in Giordania
via terra. Il più lungo dei nostri viaggi in medio Oriente e Nord Africa,
felici e giovani ed in vacanza!
Entrammo in Siria da un passo di montagna turco. Le
guardie di frontiera se ne stavano sdraiate, senza scarpe, su vecchi tappeti a
raccontarsela, a bere thè, a fumare il narghilé cercando di far scorrere il tempo.
Quando arrivammo, toccò loro attivarsi per preparare
il nostro carnet de passage en douane. Ricordo le loro grasse risate quando,
scherzando, ci chiesero il passaporto per il cane ed io tirai fuori dalla
borsetta il passaporto internazionale canino tradotto in molteplici idiomi!
Quel passaporto passò di mano in mano fra risate ed incredulità generale. Ci
volle quasi una giornata ed un paio di cacciatorini per riuscire a liberarci
dai doganieri curiosi, ad uscire da quel passo di frontiera e poter respirare
finalmente l'aria ed i profumi siriani!
Ci recammo immediatamente al Baron Hotel, eravamo
provati dal caldo e dalla lunga traversata della Turchia. Non appena mettemmo
piede in quel fantastico albergo entrammo nella
storia, direttamente in una delle pagine dei romanzi di Agata Christie.
Ci accolsero gentilmente. La reception, avvolta da una
boiserie profumata e lustra di cera d’api, brulicava di un continuo andirivieni
di ospiti, uomini d'affari, facchini, personale. Percorremmo i bei corridoi a
scacchi, ovunque foto e quadri a testimonianza del suo passato glorioso. Stavamo
avanzando dove avevano camminato Lawrence d' Arabia, Winston Churchill, Freya
Stark, Agata Christie e tutti i viaggiatori dell'Orient Express in una delle
tappe d'obbligo del treno più famoso della letteratura.
Tutto trasudava storia fin da quando, nel 1911, una
famiglia armena in fuga dalla Turchia decise di fermarsi ad Aleppo ed aprire
l'albergo.
Era incantevole girare la città, recarsi in alto alla
cittadella ad osservare il panorama. E poi, ancora, fare acquisti e
chiacchierare con i commercianti del souk più grande del mondo, lasciandosi
avvolgere dai profumi, dai colori e dalla confusione. A fine giornata si
rientrava in albergo, concedendosi un meritato riposo sulla bella terrazza affacciata
sulla strada pullulante di vita sorseggiando un thè o un Arak.
Quanta vita!
Conoscemmo subito Mohammed, si offerse di aiutarci a
ritrovare il cammino in quel dedalo incomprensibile e caotico delle vie di
Aleppo. Ci accompagnò nei giorni a seguire a visitare la sua bella città.
Diventammo amici e ci lasciammo solo con la promessa che al ritorno dalla
Giordania saremmo stati ospiti della sua famiglia. Lo vedo ancora là
sprofondato nelle vecchie poltrone di velluto rosso ad attenderci per il puro
piacere della nostra compagnia.
Partimmo attraversando un Paese che offriva solo
scenari meravigliosi ed ancora incontaminati. Ricordo bene il paesaggio che si
godeva dall'alto del Krak des Chévaliers mentre il vento ci scompigliava i
capelli. Mi appaiono ancora, come fosse oggi, lo stupendo tramonto fra le
rovine di Palmyra dominate dalla lunga ombra del castello sulla montagna di sabbia, i bimbi che
ci correvano intorno felici offrendoci piccoli reperti archeologici che
affioravano ovunque dalla sabbia del deserto...E poi la Giordania! Il suggestivo
deserto rosa del Wadi Rum divenuto celebre grazie a Lawrence d' Arabia, le
piste nei deserti, Petra, Jerash. Meraviglioso il Golfo di Aqaba
sull'incontaminato mar Rosso: c’eravamo
solo noi, il deserto alle spalle ed il mare di fronte ed incredibilmente dal
nulla, una panda 4x4 con a bordo quattro ragazzi bolognesi più incoscienti di
noi.
E poi… E poi Saddam Hussein invase il Kuwait…
Vennero a chiederci di lasciare quel paradiso e di
recarci nella capitale mentre, a causa dell’embargo, cominciarono a montare
postazioni armate lungo le spiagge del Golfo.
Tornammo in Siria prendendo parte involontariamente al
primo grosso esodo di profughi. Intere famiglie fuggivano dal Kuwait, con
macchine potenti e tutto il lusso a cui erano abituati nel loro paese. Niente a
che vedere con i profughi delle guerre di questi giorni.
Ci trasportarono come un fiume in piena fino a
Damasco. Per la prima volta nella mia vita vidi carri armati girare sulle strade come fossero
automobili. Per la prima volta in vita mia sentii l’odore della guerra… Puzzava,
puzza ancora di paura.
Ma ad Aleppo ritrovammo lui. Mohammed era lì ad
attenderci come sempre, tranquillo e con il suo bel sorriso pulito e gioviale.
Eravamo a casa. I suoi genitori ci aprirono la loro bella dimora araba del 600 situata
nella città antica. Ci offersero il loro letto e la loro camera, a noi ed al
nostro animale “impuro” perché l’ospite in Siria è sacro.
Mangiammo e vivemmo tutti insieme come una grande
famiglia, godendo il fresco del loro giardino per una intensa settimana
scandita dalle preghiere dei muezzin. Mentre gli uomini chiacchieravano e
fumavano, le donne toglievano liberamente gli chador mettendo in mostra setosi
lunghi capelli biondi. Nel tentativo di domare i miei ricci ribelli ridevano e
mi raccontavano antiche storie traducendole dall’arabo in un inglese pressoché
perfetto.
La partenza fu triste. Ci donarono tutto quello che
avevo apprezzato: il tappeto antico della nonna che aveva portato con sé in
dote arrivando dalla Persia, ninnoli e suppellettili. A niente valsero i nostri
tentativi di impedirlo. Riuscimmo però a lasciare l’orologio di Maurizio a
Mohammed che lo accettò in nostro ricordo abbracciandoci forte con gli occhi
pieni di commozione.
Ci scrivemmo per diverso tempo, Mohammed mandava le
foto della famiglia, dei bimbi che nascevano. Raccontava di come sperava di
riuscire a venirci a trovare un giorno in Italia, non appena avesse ottenuto il
passaporto.
Poi mi stancai. La vita frenetica, i figli, il lavoro…
Non risposi più alle sue lettere. Lui continuò a scriverci per un po’, poi
smise.
Sento sempre la stessa morsa quando penso alla sua
delusione.
Mi scorrono negli occhi le immagini dei TG: morte, guerra, distruzione, bimbi feriti che piangono ed il dolore è lacerante, insopportabile a volte.
Mi scorrono negli occhi le immagini dei TG: morte, guerra, distruzione, bimbi feriti che piangono ed il dolore è lacerante, insopportabile a volte.
Questa scodella del Baron Hotel che riappare di tanto
in tanto è la testimonianza tangibile di un passato che non tornerà più, di un
amico disperso, di un popolo colto e gentile, ospitale ed onesto che è stato
annientato. Io non posso comprendere, non ci è permesso di comprendere.
Quello che capisco bene è il mio senso di colpa che
non mi abbandonerà mai.
Mentre accarezzo la scodella non posso fare a meno di
pensare che la Siria mi ha fatto un dono immenso. Allora ancora non lo sapevo
ma, fra il Tigri e l’Eufrate, nella terra delle origini, anche io ero diventata
fertile.
©elisabetta piccirillo
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