lunedì 11 novembre 2019

TOTO': UOMO DI MONDO


GENT.MI LETTORI, 
PER CORTESE DISPONIBILITÀ' E AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE, PORGIAMO ALLA VS. ATTENZIONE L'EDITORIALE A FIRMA DELL'ILL.MO PROF. ALDO MOLA INCENTRATO SU "TOT'O': UOMO DI MONDO" - E DAL SOTTOTITOLO "MASSONE DAL 1° MAGGIO 1925" -, PUBBLICATO IL 10-11-2019 SU "IL GIORNALE DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA".
LA PUNTUALE CAPACITA' NELLA RICERCA STORICA, L'ABILITA' DELLO SCRITTORE DI INTRIGARE IL LETTORE CONDUCENDOLO PER MANO FIN DENTRO IL TEMA - SPESSO TRATTATO, MA SEMPRE CON QUALCOSA DI 'SOSPESO', DI LASCIATO A MEZZ'ARIA -, FANNO PARTE DI QUESTO COSTRUTTO  DI GRANDE INTERESSE STORICO-LETTERARIO. BUONA LETTURA, QUINDI !
Roma, 11-11-2019
Giuseppe Bellantonio
------------------------------------------------------------

TOTÒ, “UOMO DI MONDO”
 MASSONE DAL 1° MAGGIO 1925

di Aldo A. Mola

Totò, massone dal 1° maggio 1925
Certo la “notizia” non mette sottosopra l'universo, però è significativa e merita spazio. Il 1° maggio 1925 Antonio De Curtis, in arte Totò (Napoli, 15 febbraio 1898-Roma, 15 aprile 1967), solennizzò a modo suo la festa del lavoro: cinse il grembiule di muratore, anzi di libero muratore, e venne registrato massone nella loggia “Nazionale” di Roma, all'obbedienza diretta di Raoul Vittorio Palermi (1864-1948), sovrano e stratega della Gran Loggia d'Italia. Si sapeva da anni del suo ingresso nella “Fulgor” di Napoli nel 1945. La novità sulla sua iniziazione di vent'anni prima è emersa nell'affollato convegno su “L'impresa di Fiume, 1919 1920. Tra leggenda e realtà”, organizzato dalla Delegazione Magistrale friulana della Gran Loggia d'Italia al castello di Villalta (Udine), con la partecipazione del sovrano e gran maestro Antonio Binni e degli storici Enrico Folisi, Lijubinka Toseva Karpowicz e Valerio Perna, presenti “fratelli” di diverse Comunità e molti “profani”. Durante il “Ventennio” Totò conservò sotto la bombetta quel segreto che aiuta a comprenderne meglio la tetragona libertà di pensiero e la distanza siderale dal “regime”. Ma, poiché si parla di un Ordine iniziatico, andiamo per ordine...

Primavera di bellezza?
Roma, primavera 1925. Il 3 gennaio da Capo del governo, Benito Mussolini, Collare della Santissima Annunziata (e quindi “cugino del Re”), con un infuocato discorso alla Camera respinge l'accusa di complicità nel “delitto Matteotti” e sfida il Parlamento a denunciarlo e a tradurlo in giudizio dinnanzi al Senato, costituito in Alta Corte di Giustizia in forza dell'art.  36 della Carta Albertina “per giudicare dei crimini di alto tradimento e di attentato alla sicurezza dello Stato, i ministri accusati dalla Camera dei Deputati”. Nessuno fiata. La maggior parte dei deputati d'opposizione (socialisti, repubblicani, seguaci di Giovanni Amendola e ala sinistra del cattolico partito popolare italiano) dall'estate precedente non partecipano alle sedute, arroccati in un immaginario “Aventino”. Re rigorosamente costituzionale, Vittorio Emanuele III (1869-1947, sul trono dal 1900) a chi gli chiede di revocare Mussolini risponde che i due rami del Parlamento sono i suoi occhi e le sue orecchie. Chi ne vuole la caduta deve farlo alla Camera, ove i deputati iscritti al Partito nazionale fascista sono ancora una minoranza (227 su 545).
Ma tra diserzioni e accelerazioni, il Paese sta rapidamente precipitando dalla democrazia parlamentare, fondata sui collegi uninominali a doppio turno, al governo di partito unico. La svolta ha una premessa strategica: dal 1914-1915 due forze si contendono la primogenitura del Risorgimento e della completa unificazione con la vittoria nella Grande Guerra. Da una parte i nazionalisti (nati intorno al 1908, nel clima rovente dell'annessione di Bosnia ed Erzegovina da parte di Vienna), irrobustiti dalla confluenza nel Partito Nazionale Fascista (febbraio 1923), gonfio di voti ma ancor privo di un progetto politico univoco. Dall'altra la massoneria che non a torto vanta un secolo di lotte per unità, indipendenza e libertà, dalle cospirazioni nel 1820-1848 sino ai governi che in Italia avevano introdotto elettività delle cariche, istruzione obbligatoria e codici d'avanguardia.
Tira vento di tempesta. Il 12 gennaio Mussolini deposita alla Camera la legge sull'appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni. Il 14 “L'Idea Nazionale”, organo dei nazionalisti, pubblica un estratto della relazione della “Commissione dei Quindici” distillata dai deputati Gioacchino Volpe e Francesco Ercole. L'obiettivo è esplicito: “Qualsiasi specie di società occulta, anche se per ipotesi il suo fine sia eticamente e giuridicamente lecito, è da ritenersi, pel fatto stesso della segretezza, incompatibile con la sovranità dello Stato e la uguale libertà dei cittadini di fronte alla legge”. Di lì a poco lo slogan sarà: tutto nello Stato, nulla al di fuori dello Stato. Poi diverrà: tutto nel partito, niente al di fuori né contro il partito, cioè l'unico consentito: il Partito nazionale fascista. Il Partito imporrà il colore della camicia, l'ingresso nel lavoro (tramite i sindacati fascistizzati) e intrupperà milioni di italiani nel Dopolavoro per controllare corpo e anime dei cittadini. Una nuova “chiesa”, non meno opprimente dell'altra, con la quale l'11 febbraio 1929 il regime “concorderà”, salvo poi scontrarsi come fatalmente accade tra dogmatismi.  
In quel maggio 1925 le due principali Comunità massoniche italiane (Grande Oriente d'Italia, con sede a Palazzo Giustiniani, oggi popolato di uffici del Senato; e Gran Loggia, a Piazza del Gesù 47, nel sontuoso Palazzo Artieri) ormai navigano a vista. Il dibattito sulla legge viene calendarizzato alla Camera dal 16 maggio. Si chiuderà il 19 con approvazione pressoché unanime e alcune significative assenze non giustificate, a cominciare da Italo Balbo, “quadrumviro” della mai avvenuta “marcia su Roma” ma antico “oratore” della loggia Girolamo Savonarola della sua Ferrara e già astenutosi nella dichiarazione del Gran Consiglio del Fascismo che il 23 febbraio 1923 aveva dichiarato l'incompatibilità tra fasci e logge.

L'iniziazione massonica di un “uomo di mondo”
Malgrado tutto, mentre la massoneria è sotto assedio e le libertà individuali stanno per essere soffocate, qualcuno nuota impavido controcorrente. È il caso di Totò. È un uomo sofferente. Mentre il Tempio sta per crollare decide di passare tra le sue colonne e di sedere in silenzio fra gli apprendisti, proprio lui, parlatore forbito, mago della parola, principe dello scilinguagnolo. È tempo di guardare all'Oriente prima che la Luce venga spenta a Occidente. Il marchese De Curtis non è affatto uno sprovveduto. Sa benissimo di compiere un passo rischioso. Conta sulla riservatezza della Fratellanza. Offre la sua “testimonianza” a quel che resta dell'Italia nella quale si riconosce: quella degli uomini liberi. L'attore vive una tra le stagioni più angustiate della sua travagliata esistenza terrena. Ha ventisette anni. La madre, Anna Clemente, lo voleva prete. Lo aveva avuto dal marchese Giuseppe De Curtis, frutto di una relazione extraconiugale, e lo aveva fatto registrare all'anagrafe come Antonio Clemente “di N.N.”. Chierichetto di passo come tanti coetanei, più malinconico che giocoso, lasciata alle spalle infanzia e adolescenza tristissime, Totò fece i conti col servizio militare tra Pisa, Pescia, Alessandria e Livorno. A Cuneo non mise mai piede, ma coniò il celebre motto “Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo”... cioè “in capo al mondo”, in un angolo sperduto, “ai confini dell'Impero”. Si compiacque anche di dire che vi era stato seminarista. Cuneo era un “tòpos”. Anche se aveva dato e continuava a dare i natali a politici, scienziati, storici, scrittori e militari di primaria grandezza (bastino i nomi di Vittorio Bersezio, Giovanni Giolitti, Marcello Soleri, Vittorio Cian, Ettore Pais, Balbino Giuliano, Pietro Gazzera...) era dipinta come “Beozia d'Italia”. Proprio perché non lo è e sa sorridere di sé e delle leggende che la circondano, su impulso di Gianni Vercellotti, avvocato e profeta del turismo in plaghe povere di vere autostrade, ferrovie, strade, aree attrezzate ma ricche di umanità, la “Provincia Granda” è stata al gioco e da molti anni ha costituito l'Associazione “Uomini di Mondo a Cuneo”, brevius “UdM di Cuneo”. Ora presieduta dall'esilarante vignettista Danilo Paparelli, con tanto di Totò quale emblema, viatico e “angelo protettore”, l'UdM ha appena celebrato l'ennesima edizione dedicata a D'Artagnan, il più celebre dei Quattro Moschettieri di Alexandre Dumas, che si ispirò al conte Charles di Batz-Castelmore, fuggevolmente ma effettivamente militare a Cuneo. 

“Uomo di mondo”, dunque. Già. Ma come era il mondo conosciuto e vissuto da Totò, uomo e non “caporale”, sino al fatidico 1° maggio 1925? Una sequenza di umiliazioni e di speranze, di sogni e di delusioni. Navigazione tra i flutti della vita con la barra a dritta ma con l'occhio alla sua Stella Polare: la libertà di pensiero (e anche un po' di costumi). Sin da ragazzo voleva divertirsi e far divertire, procurarsi piacere e dispensarne. Intraprese la carriera di attore nella sua città, che presto però gli divenne stretta. Tardivamente riconosciuto dal padre e passato a Roma in cerca di miglior fortuna, si esibì in una “compagnia” di second'ordine, senza fisso compenso. Spiantato, spesso alla “fame nera” (come egli stesso narrò), fu licenziato in tronco quando osò chiedere all'impresario, Umberto Capece, almeno gli spiccioli per il tram da casa al teatro. Gli si spalancò dinnanzi l'abisso dell'isolamento. Optò per il varietà, di gran lunga più congeniale con le due anime che convivevano nella sua persona, il sorriso scherzoso (ma quanta malinconia nei suoi occhi) e lo sconforto più cupo. Totò divenne “la Maschera”. Incarnò gli italiani che uscivano feriti dalla Grande Guerra e si inabissavano in un regime liberticida che li avrebbe precipitati in un secondo irreparabile disastro.

La Gran Loggia dal tramonto...
Il suo nome fu iscritto nel repertorio degli “apprendisti” della Gran Loggia, annotati con la grafia tipica degli scritturali del tempo: uno svolazzante corsivo pulito pulito con cognome, nome, data e loggia di appartenenza. Gli iniziati/affiliati della Gran Loggia avevano superato largamente quota 28.000. Altri ne vennero segnati lo stesso 1° maggio. Il 19 accanto a un numero matricolare in uno spazio bianco compare la formula arcana: “Segreto”. Era il giorno dell'approvazione della nefasta legge “contro la massoneria”. Gli ingressi continuarono sino al 17 novembre 1925, cioè alla vigilia del forzato autoscioglimento decretato da Raoul Palermi mentre era in viaggio negli Stati Uniti d'America per ottenere la solidarietà dei Supremi Consigli di rito scozzese antico e accettato di cui la Gran Loggia faceva parte dal Convento mondiale di Washington (dal 1912): riconoscimento solennemente confermato a Losanna nel 1922. In Italia le logge erano perseguitate, invase, incendiate. I loro arredi e archivi venivano dispersi (anche per iniziativa di transfughi decisi a cancellare le tracce della loro affiliazione), ma all'estero l'Acacia continuava a fiorire. Il regime stesso non poté fare a meno di confrontarsi con massoni di spessore culturale e patriottismo indiscutibile: da Vittorio Valletta, Ugo Cavallero, futuro maresciallo d'Italia, Luigi Mascherpa, ammiraglio, Edmondo Rossoni (capo dei sindacati fascisti), Curzio Malaparte (tutti della Gran Loggia), Giuseppe Belluzzo, Balbino Giuliano e Alberto Beneduce (del Grande Oriente).

alla Palingenesi e al Fulgore  
Chi sapeva sapeva. Il massonismo non andava sbandierato ma vissuto. Fu quanto fece Totò. Alternò la rivendicazione del titolo nobiliare (Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito, Duca Comneno di Bisanzio, principe di Cilicia, di Macedonia, Dardania, Tessaglia, Ponto, Moldava, Illiria, Peloponneso, duca di Cipro e di Epiro..: d'altronde anche il Re d'Italia si rivendicava Re di Cipro e Gerusalemme, al pari di tanti altri sovrani in Europa) alle tournées dai successi crescenti e all'esercizio della beneficenza, praticata con discrezione e senza mai chieder conto del frutto della sua proverbiale generosità, proprio perché aveva conosciuto la miseria, la fame, il freddo, l'amore senza speranza, il dolore (anche negli affetti più cari), la prepotenza esosa degli impresari, l'arroganza dei “potenti” antichi e nuovi.
Di quest'ultima ebbe un saggio nel gennaio 1945 durante una tournée in Toscana in cui presentava “Imputati, alziamoci”, un sorridente invito a un “esame di coscienza” da parte di quanti stavano rapidamente cambiando il colore della camicia, dal nero al rosso fiammante. Come in “Totò massone. Il principe Antonio De Curtis e la massoneria del suo tempo” (ed, Atanor) narra Ruggiero di Castiglione (autore di dottissimi saggi e repertori) gli si presentò nel camerino un energumeno che gli domandò a bruciapelo: “Veramente per lei camerata e compagno è la stessa cosa?” e alla risposta “Mah, non so”  gli sferrò in faccia un pugno partigiano che gli spaccò le labbra”. “Spaventatissimo” per il clima di odio dilagante Totò riparò a Roma e poi a Capri.

“Resurrexit... sino al grado 33°”
Il 9 aprile seguente il “Marchese De Curtis Gagliardi Antonio” sottoscrisse il Testamento massonico nel “gabinetto di riflessione” della loggia “Fulgor” di Napoli (Gran loggia d'Italia) per l'accettazione tra i Fratelli. Alla domanda: “Che cosa dovete a voi stesso” rispose “Niente all'infuori del miglioramento spirituale”. Chi ritiene che il “re della risata” si esaurisse nell'esibizione nei teatri di tutta Italia, in un centinaio di films, spesso a costi irrilevanti, e in un profluvio di presenze televisive, non ne coglie la profondità umana, fatta di riservatezza, riflessione, tormenti appena leniti dalla compagna, Franca Faldini e dalla figlia, Liliana, che gli furono a fianco negli anni difficili dell'incipiente vecchiezza e delal cecità. Proprio alla compagna una volta accennò quasi distrattamente ai segni di riconoscimento in uso tra massoni.
Secondo Giordano Gamberini, gran maestro del GOI e collettore di memorie e confidenze di massoni di antica data e di varie Obbedienze (come Dunstano Cancellieri), nel 1944 Totò fu iniziato (o più correttamente si ridestò dal forzato “sonno”) nella loggia “Palingenesi” di Napoli per transitare poi nella citata “Fulgor”, che aveva sede in via Monte di Dio, sulla quale si affaccia Palazzo Serra di Cassano, sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, presieduto da Gerardo Marotta e ora da suo figlio, Massimiliano. Lì Totò presenziò all'iniziazione di Mario Castellani e Vittorio Caprioli. Come documentano le carte che da Piazza del Gesù migrarono al Grande Oriente con Francesco Bellantonio quando gran maestro era Lino Salvini, Totò fondò poi una loggia in Roma, la “Fulgor Artis” mentre poche e vaghe voci rimangono sulla “Ars et Labor” , forse sua reincarnazione. 
Gli impegni “professionali” e qualche delusione per i poco fraterni dissensi tra la diverse Comunità liberomuratòrie e per le gare tra i diversi aspiranti a cariche apicali (quant'è difficile deporre i metalli al di fuori dei Templi) coincisero con il suo definitivo assonnamento. Aveva raggiunto il grado 30° del Rito scozzese. Il 19 ottobre 2012 la Gran Loggia gli conferì il grado 33° “alla memoria”, presente sua figlia, Liliana.

'A Livella”
Il suo più autentico testamento massonico rimane la celebre raccolta di poesie intitolata “'A livella” (1964). Totò scelse per insegna l'attrezzo del lavoro di loggia. Sormontata dal compasso, la livella, simbolo di equilibrio, armonia e uguaglianza, forma un triangolo equilatero attraversato longitudinalmente dall'archipendolo, che coniuga il piano “terraqueo” con lo Spirito. Nel film “Letto a tre piazze” (1960) Totò si rivolse a Peppino De Filippo: durante un’immaginaria quanto allusiva “scalata” gli disse: “professò' , la lego ad un  masso..., n'ho trovato uno magnifico, questo resiste, è un bel massone, un massone”. Con una delle sue ultime partecipazioni filmiche in “Uccellacci, uccellini” di Pier Paolo Pasolini (1966), stupì tutti per la sua drammatica forza interpretativa, che gli meritò anche una menzione speciale e un nastro d'argento al Festival di Cannes. Precocemente invecchiato ma indomito, generoso con tutti (consigliò a Pasquale Zagaria di mutare il nome d'arte da Lino Zaga in Lino Banfi...), non dimenticò l'amarezza per la sua esclusione dalla televisione per aver entusiasticamente esclamato “Viva Lauro” durante una puntata del Musichiere di Gigi Riva (1958). Non era una ingenua captatio di voti pro-monarchia ma un omaggio a Napoli  che, disse una volta, è l'unica vera grande città d'Italia. Roma ne è solo una “periferia”.

Si avviò alla fine senza rimpianti ma col timore di essere presto dimenticato. Invece il pubblico gli si affezionò ancor più. Capì la sua libertà di spirito. L'Italia ne aveva e ne ha bisogno. A nessuno verrebbe in mente di ignorarlo per la sua scelta del 1° maggio 1925, ribadita vent'anni dopo, il 9 aprile 1945. D'altronde nella sua originaria “Fulgor”, nella “Fulgor Artis” o nell’officina intitolata al celebre Gustavo Modena o in altre ancora delle due diverse liberomuratorie italiane si raccolsero nel tempo attori, cantanti, scrittori quali Gino Cervi, Carlo Dapporto, Aldo Fabrizi, Giovacchino Forzano, Silvio Gigli, Francesco Gorni Kramer, Amedeo Nazari, Tito Schipa, Odardo Spadaro, Paolo Stoppa, Johnny Dorelli e il Claudio Pica, noto come Claudio Villa, membro della “Propaganda massonica” n. 2, come il grande e sfortunato Alighiero Noschese: un patrimonio morale del Paese Italia. Allora, proprio l'Associazione cuneese Uomini di Mondo potrebbe forse promuovere una rivisitazione di quell'Universo in omaggio al principe Antonio De Curtis, il Totò del quale ben si può dire “semel abbas, semper abbas”.
----------------------------------------------------------------------
Disclaimer / Avviso 1
L'autore nonché titolare dei diritti e dei doveri relativi alla gestione di questo blog rende noto a tutti gli effetti di Legge quanto segue: 
1) tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Ai sensi dell'art. 65 della Legge 22 Aprile 1941 n° 633, è vietata la riproduzione e/o diffusione totale o parziale - sotto qualsivoglia forma - senza che vengano citati il nome dell'autore e/o la fonte ancorché informatica.
2) E' vietato trarre copie e/o fotocopie degli articoli/interventi contenuti nel presente blog - con qualsiasi mezzo e anche parzialmente - anche per utilizzo strettamente personale/riservato.

 Disclaimer / Avviso 2
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. I commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla privacy, potranno essere rimossi senza che per ciò vi sia l'esigenza di prendere contatto anche preventivo con gli autori. Nel caso in cui in questo blog siano inseriti testi o immagini tratti dal webciò avviene considerandoli di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione fosse tutelata da possibili quanto eventuali diritti d'autore, gli interessati sono pregati di comunicarlo via e-mail al recapito bellantoniogius@gmail.com al fine di procedere alla opportune rettifiche previa verifica della richiesta stessa. L'autore del blog non è responsabile della gestione dei siti collegati tramite eventuali link né dei loro contenuti, entrambi suscettibili di variazioni nel tempo.

Oltre ciò - specie per le parti informative a contenuto storico e/o divulgativo - i Lettori, ovvero quanti comunque interessati alla materia, che possano ritenere ciò utile e opportuno, potranno suggerire delle correzioni e/o far  pervenire qualche proposta. Proposte che saremo lieti di valutare ed elaborare.                                                                              


domenica 3 novembre 2019

UN 2 NOVEMBRE SCONCERTANTE... : UN'ATTENTA ANALISI DEL PROF. ALDO A.MOLA SULLA RIMOZIONE DELLA SALMA DEL GEN.LE FRANCO

Gent.mi Lettori, è con grande piacere che portiamo alla Vs. cortese attenzione un articolo a firma del Prof. Aldo A. Mola: nome, Autore, più che noto per l'autorevolezza dei Suoi scritti e per la cura delle indagini, delle ricerche documentali e bibliografiche, sulle quali poi basa i propri documentati testi e le conferenze alle quali autorevolmente partecipa.
Per gentile disponibilità dell'Autore, pubblichiamo un articolo incentrato su un evento dagli aspetti definiti 'sconcertanti': la rimozione dei resti mortali del Generale Francisco Franco dalla sepoltura ove giaceva da circa cinquantanni.
L'Autore, con capacità, scrupolo e attenzione storica, fa un'analisi che - direttamente o indirettamente - coinvolge il contesto storico, politico e sociale attuale. 
Buona lettura!
Roma, 3 Novembre 2019
G. Bellantonio
--------------------------------------
                                                  Un Due Novembre sconcertante

RIMOZIONE DI FRANCO: DAL SEPOLCRO O DALLA STORIA?
PARCE SEPULTO

di Aldo A. Mola

L'unico “successo” del socialista Sánchez: la rimozione di Franco
Francisco Franco y Bahamonde conterà meno dopo la deportazione della sua salma dal Valle de los Caídos, dopo quasi mezzo secolo di eterno riposo, e l'inumazione nella cappella del cimitero del Pardo a Mingorrubio, accanto alla moglie Carmen Polo? Varrebbe di più se fosse stato traslato nella cattedrale de la Almudena, nel cuore di Madrid, come chiesero i suoi famigliari? Ovunque siano le sue spoglie mortali, “Generalísimo de los Ejércitos” nazionalisti insorti il 18 luglio 1936 contro il governo repubblicano, “Caudillo de España” e “Jefe del Estado”, comunque Franco è entrato nella storia e rimane memorabile, come tutti i personaggi che hanno segnato un'epoca. Piaccia o meno, egli è stato tra i protagonisti della storia della Spagna dalla lunga guerra civile (1931-1939), nella seconda guerra mondiale (1939-1945: si conta non solo quando si fa la guerra, ma anche quando se ne sa star fuori) e dell'Europa nei decenni successivi, sino alle soglie dell'ingresso nell'“Europa dei diciotto”. Lo storico non giudica: documenta i fatti e lascia a ciascuno di valutare. Mentre imperversa la pretesa di pronunciare condanne “morali” del passato, lo storico cerca di capire perché e come siano accaduti i “fatti”. Tutti. Non parteggia. Contempla. Sunt lacrimae rerum... Altre seguiranno.
L'attuale presidente del Consiglio spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, molto appagato dell'esteriorità, ha orchestrato l'esumazione delle spoglie di Franco per alimentare uno psicodramma nazionale alla vigilia delle imminenti elezioni del 10 novembre. A conti fatti, l'evento ha suscitato più curiosità che appassionamento. Confidando in manifestazioni che giustificassero chissà quali misure eccezionali, qualcuno si attendeva dimostrazioni di nostalgici e di antifranchisti, rigurgiti di arcaici conflitti. Invece, i cronisti, sempre pronti a planare come corvi sui “grandi scontri di piazza”, risultarono più numerosi dei presenti e in specie dei 22 nipoti e pronipoti dell'estinto, avvolto nella “sua” bandiera e confortato dalla messa funebre celebrata da padre Ramon Tejero, figlio del colonnello Antonio, autore del fantasioso “golpe” che ormai si perde nella notte dei secoli e rincalzò il trono di Juan Carlos I. La Spagna di Felipe VI è così democratica che da anni ha un governo tanto minoritario quanto inconcludente.
L'espunzione di Franco dal Valle era una antica pretesa dei socialisti (Rubalcaba, poi Zapatero) e fatta propria da Sánchez perché il Caudillo non è un “caído”, non morì nella tragica guerra civile tra i due “bandos”, i repubblicani e i nazionalisti, i rossi e gli azzurri. Morì di morte naturale, persino “ritardata” per dare tempo all'assestamento della macchina statuale in un paese ormai “normale”. Non solo, secondo alcuni antifranchisti il suo nome suscita ancora nostalgia del regime dittatoriale, tanto da rendere sospetto l'afflusso dei visitatori al monumentale complesso funebre al cui centro sino al 24 ottobre 2019 la sua lapide tombale recava scritto semplicemente “Francisco Franco”, come si conviene a chi ha fatto la storia e lascia ai posteri l'ardua sentenza sulla sua opera.
Sánchez potrà ora dire di avercela fatta. Capo di un governo di minoranza, costretto a tornare a terze elezioni senza aver risolto nessuno dei problemi che assillano il Paese, dalla Catalogna alla “Spagna profonda” dal cui humus escono i consensi per “Vox”, il partito neo-nazionalista con profonde radici nel franchismo o più correttamente nella storia millenaria del Paese iberico, con residuo senso dell'opportunità Sánchez prova qualche imbarazzo a sventolare la traslazione del feretro del Caudillo come successo storico. È un “successo” solo nel significato spagnolo del termine: un accadimento, non un trionfo. Sarà giustizia? Sarà saggezza? Di sicuro, esso è divisivo. È un tardivo “regolamento dei conti” all'interno di un Paese che da decenni ha metabolizzato la guerra civile, ha faticosamente messo alle spalle persino i delitti perpetrati dagli “etarras” e oggi deve fare i conti con l'altra artificiosa piaga: il fanatismo indipendentistico di una metà degli abitanti della Catalogna in libera uscita dalla storia: un separatismo che non ha motivi etnici, religiosi, civili ma solo linguistici in un Paese, come la Spagna, che riconosce le più ampie garanzie al bilinguismo (catalano e gallego, a tacere ovviamente del basco) e alle “nuances” del catalano, come il valenciano (del quale nessuno sente vera necessità).      
    
Il ruolo attuale della Spagna per l'Europa nel mondo 
In pochi giorni dalla macabra sceneggiata, la deportazione della salma di Franco è uscita dalle prime pagine dei quotidiani. Los Reyes partono da Madrid alla volta di Cuba, un viaggio di Stato voluto dal governo, non senza imbarazzo per chi osservi che il regime castrista sta tornando rapidamente all'indietro, verso la repressione delle opposizioni e delle poche ventilate aperture all'Occidente, mentre l'intera America latina è sconvolta da insorgenze e conflitti, tensioni crescenti fra i discendenti dei nativi sopravvissuti alla tabula rasa perpetrata dai conquistatori, creoli e discendenti delle ondate migratorie dell'Otto-Novecento. Il “caso” del Messico è il più emblematico: civilissimo in circoscritte plaghe, del tutto succubo della produzione e spaccio di droghe in vaste zone, e sempre più indotto a forzare il limes con gli USA, i cui Stati meridionali sono più ispanofoni che anglofoni. In quella vastissima area la Spagna odierna, quella di Felipe VI e della dirigenza “di Stato”  che ha alle spalle la Spagna “una, grande y libre” della Transizione, svolge un ruolo di prim'ordine, di gran lunga superiore ai timidi passi del governo italiano che per ministro degli Esteri ha Luigi Di Maio. La Spagna è lì, oltre Atlantico, come anche nel mondo arabo, dal Marocco all'Arabia Saudita, e non da oggi. In una famosa conferenza pan-americana Juan Carlos di Borbone azzittì ruvidamente il petulante presidente venezuelano Chávez, predecessore del nefasto Maduro: “Cállate”, “Taci!”. Per queste ragioni gli italiani consapevoli della debolezza dal proprio governo e attenti al ruolo planetario ancora possibile per il protagonismo dell'Europa franco-germanica e anglo-iberica hanno motivo di guardare al di là delle cronache del monocolore socialista ancora per qualche giorno imperante a Madrid e di sentirsi rappresentati anche dagli eredi di Carlo V e di Filippo II di Asburgo, come poi di Filippo V di Borbone e dei suoi successori sino, appunto, a Filippo VI e alla Principessa delle Asturie, Leonor.     

Carriera e fortuna di un generale prudente
Ma chi fu Francisco Franco, le cui spoglie sono state al centro di una disputa ventennale? Non irruppe nel suo paese come un meteorite da chissà quale cielo. Duramente sconfitta nel 1898 con la rivolta di Cuba e delle Filippine, alimentata dagli Stati Uniti d'America che gliele sottrassero accampando di volerle liberare dal giogo coloniale al quale sostituirono il proprio, la Spagna precipitò in crisi d'identità. Ancora ottant'anni prima dominava un impero che andava dal Messico alla Terra del fuoco. Malgrado statisti di valore, come Sagasta e Cánovas del Castillo, era l'ombra di se stessa. Lo sintetizzò Ángel Ganivet, suicida nelle acque della Dwina, in “Ideario spagnolo”. Mentre Francia, Gran Bretagna e Germania espandevano i loro imperi coloniali e persino il neonato regno d'Italia annetteva Eritrea (1890), Somalia (1907) e Libia (1912), la Spagna era umiliata, “invertebrata”. Rimasta saggiamente estranea alla Grande Guerra, superò meglio di altri paesi l'estremismo anarchico di primo Novecento - culminato nella “settimana tragica” e nella fucilazione pedagogica del pedagogista Francisco Ferrer y Guardia, come ha documentato Fernando García Sanz in opere magistrali - e le procelle postbelliche.
Nato a El Ferrol (Galizia) il 4 dicembre 1922, secondo dei cinque figli di Nicolás Franco, ufficiale di marina, e della piissima María del Pilar Bahamonde, dal padre (che più tardi, si trasferì solingo a Madrid e, senza divorziare, si unì ad Agustina Aldana) Francisco si sentì sempre posposto al primogenito Nicolás e al minore, Ramón, massone, repubblicano, rivoluzionario, aviatore provetto, caduto in circostanze tuttora arcane, mentre suo cugino primo, Ricardo de la Puente Bahamonde, nel 1936 venne fucilato tra gli ufficiali che rifiutarono di accodarsi a Francisco, “generale ribelle”.
Formato nella Scuola militare di Toledo, Franco si mise in luce nella guerra di conquista del Marocco e a soli 33 anni venne nominato generale: il più giovane in Europa. Pietro Badoglio lo divenne a 46 anni. Ugo Cavallero, a sua volta, raggiunse quel grado quando ne aveva 39. Ma il grado non basta a comandare gli eventi. Occorre la fortuna. Che spesso (contrariamente a quanto recita il motto famoso) non aiuta gli audaci bensì i prudenti.
Nel 1934 Franco impiegò sbrigative maniere per reprimere l'insorgenza operaia nelle Asturie. Tre anni prima Alfonso XIII aveva lasciato la Spagna, che subito registrò un'onda di anticlericalismo violento, con incendi di chiese e altri eccessi documentati da Mario Arturo Iannaccone in “Persecuzione. La repressione della Chiesa in Spagna fra seconda repubblica e guerra civile, 1931-1939” (ed. Lindau). Nominato dal governo di Madrid capo della Legione spagnola in Africa e comandante di tutte le forze armate (gennaio-maggio 1935), Franco fu inizialmente riluttante ad aderire al golpe progettato dal generale Emilio Mola y Vidal, laicista, niente affatto massone, capo dei “requetés”, noto per doti di stratega e meticolosità. “Jefe” dello Stato dell'alzamiento contro il governo di Madrid fu Jorge Sanjurjo, morto per la caduta dell'areo che lo riportava dal Portogallo, ove era esule dopo un fallito golpe. Dopo l'insurrezione, anche Mola morì in un incidente aereo. Gli altri due generali, Queipo de Llano e Miguel Cabanellas Ferrer, erano chiassosi ma politicamente irrilevanti. 
Capo della Giunta di difesa nazionale, Franco ebbe il sostegno delle Giunte dei “falangisti” capitanati da José Antonio Primo de Rivera (un movimento nazionalista con venature progressiste), dei “requetés” e di altre forze nettamente contrarie ai sovversivi, nonché (importanti ma non decisivi) di Mussolini e di Hitler. Egli inoltre contò soprattutto sull'appoggio fervido e pressoché unanime del clero cattolico, interno e internazionale. Fallito (forse intenzionalmente ) l'assalto a Madrid (preferì la più spettacolare e propagandistica “liberazione” di Toledo), Franco non ebbe fretta di vincere. Gli storici sono ancora perplessi: incapacità strategica militare o strategia politica?
Col passare dei mesi e degli anni in Spagna all'interno dei due fronti in lotta presero corpo due opposti piani. A sinistra i comunisti, eterodiretti dall'URSS di Stalin, eliminarono via via i “dissidenti”: borghesi, democratici, semplici repubblicani, anarchici e massoni. A destra Franco fece altrettanto. Mentre (come tardivamente ha ammesso lo storico britannico Paul Preston) nel 1936 vi erano tre Spagne (rossi, reazionari e democratici), dal 1938 ne rimasero due sole: i rossi e i nazionalisti. Franco operò una metodica eliminazione fisica degli oppositori della Spagna che aveva in mente: cattolica, concentrata nel culto della propria identità. Scomparve quella europeista vaticinata da Miguel de Unamuno, da massoni, liberali, socialisti democratici. Sin dal 1938, molto prima che entrasse in Madrid (1 aprile 1939) e vi celebrasse la vittoria, Franco fu riconosciuto da Parigi e da Londra. 
Al potere annientò quanto rimaneva delle opposizioni con misure durissime. Con lo  pseudonimo “J. Boor” scrisse articoli fanaticamente antimassonici e nel 1940 pubblicò la legge per la repressione del comunismo e della massoneria, studiata da Juan José Morales Ruiz, autore del saggio esemplare “Palabras asesinas” (ed. Masonica.Es). Però rifiutò di entrare in guerra a fianco di Hitler (che invano lo “tentò” in un lungo inutile colloquio a Endaye) e di Mussolini (che incontrò a Bordighera) e, passo dopo passo, si spostò tacitamente a fianco della Gran Bretagna. 
Dieci anni dopo Franco aprì la svolta: dal falangismo ai tecnocrati dell'Opus Dei. La Spagna  lentamente si riprese. Sotto la cappa dell'ipocrisia normativa i costumi  dei suoi abitanti erano quelli di sempre, come scoprivano i turisti: “los toros” e “el baile toda la noche”. D'altra parte dal 1953 essa ebbe il placet del presidente degli USA, Eisenhower, e nel 1955 entrò nelle Nazioni Unite. Seguì un ventennio di progresso. Franco finse di non sapere che le basi militari americane avevano anche logge massoniche e che molti uomini del regime, come il suo conterraneo Fraga Iribarne, frequentavano all'estero ambienti “illuminati”.

Il “dopo Franco” fu opera sua
Alla morte, il 20 novembre 1975, la Spagna non aveva più nulla a che vedere con quella della guerra civile. Erano anche cacciate nel passato remoto le pretese dei “carlisti” e di altre frange. Sin dal 1969, dopo aver ipotizzato l'instaurazione di Ottone d'Asburgo-Lorena per superare il conflitto tra le fazioni borboniche, Franco proclamò re Juan Carlos di Borbone, anteponendolo al padre, Juan, conte di Barcellona. Il 19 giugno 1974, gravemente malato, da Reggente l'antico Caudillo gli conferì l'esercizio del potere, salvo riprenderlo appena ristabilito. Il “tirocinio” dette prova positiva. La Spagna era pronta al cambio, malgrado l'assassinio del presidente del governo, Luis Carrero Blanco, l'ETA e l'ostilità di chi ne avversava l'ingresso in “Europa”, spacciando per difesa della democrazia l'esclusione dei prodotti spagnoli ormai competitivi (e non solo agrumi, olio, formaggi, salumi...).
Per questi motivi la valutazione storica di Franco non si può ridurre alla sua azione di Caudillo durante e subito dopo la guerra civile e prescinde comunque dall'ubicazione delle sue spoglie. Vale altrettanto per Vittorio Emanuele III, re d'Italia per mezzo secolo. Anziché disputare sulla tomba che 70 anni dopo la morte gli è stata assicurata in uno degli 8.000 Comuni di cui fu sovrano, è meglio studiarne l'opera e capirne la grandezza, la buona e la cattiva sorte, tutt'una con quella d'Italia. Ma lo spirito di fazione e le conventicole spesso ancora prevalgono, perché, ricorda Giovanni Evangelista, “gli uomini preferiscono le tenebre alla luce”.

Parce sepultis: Franco e José Antonio Primo de Rivera
E ora? “Parce sepulto...”? Il brocardo non significa affatto “perdona chi è morto”. Questa versione, benché usuale, è errata e deviante rispetto a quanto volle dire Publio Virgilio Marone. È una traduzione, più partenopea che italiana, riecheggiante il cinico motto: “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Scordiamoci il passato, non pensiamoci più”. Certo, quando la scrisse nell'Eneide il sommo poeta latino aveva alle spalle mezzo secolo di guerre civili, da Mario e Silla, a Cesare e Pompeo, a Ottaviano e Antonio, e quindi esortava alla pace interna affinché Roma potesse assolvere la sua missione: “rispettare” (parcere) gli assoggettati e annientare (debellare) gli irriducibili. Però con la formula “parce sepulto” non invitò affatto a “perdonare i morti” (non ne hanno più bisogno) né a… dimenticarli (vanno invece ricordati, anche se le loro ceneri sono disperse e magari gettate in mare).
“Parce sepulto” significa “rispetta chi è sepolto”. Esprime appieno il pensiero del Virgilio da Dante elevato a precursore del Cristianesimo, di una pietas che affonda radici nell'omaggio ai defunti. Tutti. Anche gli avversari caduti in battaglia in nome dell'onore alle armi. Rispettare il sepolto è quanto, a prescindere da ogni giudizio di merito, non ha fatto Pedro Sánchez. E questo rimarrà a ricordo della sua per ora modesta prova politica. Ma v'è di peggio. Ora vorrebbe spostare anche la salma di José Antonio Primo de Rivera, capo della Falange, perché, egli argomenta cavillosamente, non è un “caduto” nella guerra civile ma una “vittima” della guerra civile. Non morì in combattimento. E' vero. In effetti fu ammazzato brutalmente dai “rossi” il 20 novembre 1936 nella piccola cella ove era detenuto ad Alicante. In quel carcere non venne dunque consumato uno dei tanti delitti della guerra civile? E José Antonio non è dunque un caduto di quel tragico conflitto? Adesso che gli han tolto il “vicin suo grande” il pavimento de los Caidos è disarmonico? E così la sua salma va spostata per la quinta o sesta volta? 
La storia non è una schermaglia linguistica. Gronda sangue. Non va neppure sottoposta a commissioni parlamentari. Lasciamola agli studiosi e alla coscienza degli uomini liberi da pregiudizi. Una valutazione sintetica di Franco fu anticipata da papa Pio XII quando gli conferì l'Ordine supremo di Cristo (1953): un onore impegnativo sia per chi lo decretò, sia per chi ne beneficiò. Un “successo” dal quale non può prescindere il giudizio complessivo sul Caudillo e sulla sua epoca: in Spagna camminò nel solco del “rey prudente”, Filippo II, quello della “limpieza de sangre”. Se durò quarant'anni al potere vuol dire che non fece tutto da solo. Ovunque giaccia la sua salma, va studiato. Al di là delle “emozioni”, è Storia. 
---------------------
 Disclaimer / Avviso 1
L'autore nonché titolare dei diritti e dei doveri relativi alla gestione di questo blog rende noto a tutti gli effetti di Legge quanto segue: 
1) tutti i diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Ai sensi dell'art. 65 della Legge 22 Aprile 1941 n° 633, è vietata la riproduzione e/o diffusione totale o parziale - sotto qualsivoglia forma - senza che vengano citati il nome dell'autore e/o la fonte ancorché informatica.
2) E' vietato trarre copie e/o fotocopie degli articoli/interventi contenuti nel presente blog - con qualsiasi mezzo e anche parzialmente - anche per utilizzo strettamente personale/riservato.

 Disclaimer / Avviso 2
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. I commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla privacy, potranno essere rimossi senza che per ciò vi sia l'esigenza di prendere contatto anche preventivo con gli autori. Nel caso in cui in questo blog siano inseriti testi o immagini tratti dal webciò avviene considerandoli di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione fosse tutelata da possibili quanto eventuali diritti d'autore, gli interessati sono pregati di comunicarlo via e-mail al recapito bellantoniogius@gmail.com al fine di procedere alla opportune rettifiche previa verifica della richiesta stessa. L'autore del blog non è responsabile della gestione dei siti collegati tramite eventuali link né dei loro contenuti, entrambi suscettibili di variazioni nel tempo.
Oltre ciò - specie per le parti informative a contenuto storico e/o divulgativo - i Lettori, ovvero quanti comunque interessati alla materia, che possano ritenere ciò utile e opportuno, potranno suggerire delle correzioni e/o far  pervenire qualche proposta. Proposte che saremo lieti di valutare ed elaborare.