mercoledì 16 marzo 2022

SCRIVI DI NOI.

             

    SCRIVI DI NOI            di Cristiano Longoni

               Recensione © Barbara de Munari                                                                                                                      13 marzo 2022


Un racconto iniziatico di Amore, sull’Amore, e di formazione, nelle sue infinite forme, variabili e sfaccettature.


In spazi fatti di memoria, attenzione, sensazioni e complessità.Eretico, dissacrante, innamorato, tenero, liquido, affaticato e sognante, brutale e raffinato.

Un libro sulla necessità dell’Incontro con l’Altro da sé come unica possibilità di spinta al cambiamento e all’evoluzione personale.

E anche perché, scrive Cristiano Longoni, “ci sono momenti in cui l’unica azione sensata è fermarsi, guardare e non negare ciò che stai vivendo:

Accomodati.
Lascia solo che sia.
Il Sé parla tutte le lingue del mondo, ma ascolta solo la tua.
E non c’è proprio bisogno di fare nulla.
L’essenziale non è costruire, è togliere
e per togliere è solo necessario che tu sia.
Null’altro!”.

In un bagno, sullo specchio appannato dall’acqua calda, si formano, davanti agli occhi del protagonista – Alqun – sei nomi di donna, come se il dito di un genio provocatorio e invisibile stesse tracciando altrettante Architetture d’Amore: e così appare Viola (il corpo terreno), e Isabella (l’inconscio), e Tecla (il desiderio), e poi Rebecca (la ragione), Ilenia (l’amore collettivo), Ophelia (la volontà collettiva), e infine Susanna e/o Lidras (che rappresenta il Sé individuale).

Così come C.G. Jung individua le forme primarie delle esperienze vissute dall'umanità nello sviluppo della coscienza in dodici figure: l’Innocente, l’Orfano, il Guerriero, l’Angelo custode, l’Amante, il Cercatore, il Distruttore, il Creatore, il Sovrano, il Mago, il Saggio, il Folle.

Ma, prima di tutto, o dopo il tutto, Francesca, la Madre, sua madre, il grande mare da cui il protagonista deve emergere. Il mare in cui le sei personalità femminili confluiscono e dal quale, anch’esse, a loro volta, sono emerse.

Sono junghiano, dice Cristiano Longoni, ognuno ha le sue sfighe.

E ho sempre scritto spinto da ciò che è definito il Daimon, la “creatura divina”, presente in ognuno di noi e che spinge per portare a compimento ciò che la nostra anima si è scelta prima di nascere.

Lo sguardo che Alqun rivolge allo specchio appannato, come in un sogno, è quello che è in grado, insieme a un atto di Volontà, di permettergli di trasformarsi, di divenire altro da sé, di modificare i propri eterni equilibri statici. E alla Fine ci sarà la conferma – come in un sogno, di avere tutto compreso.

Il libro reca, in apertura, una citazione di Jung: “… Perciò chi vuol conoscere la psiche umana… sarebbe consigliabile per lui… dire addio allo scrittoio e, armato di tutta la sua limitata umanità, vagabondare per il mondo, a vedere con i propri occhi gli orrori… e sperimenterebbe sulla propria pelle l’amore e l’odio, la passione in tutte le sue forme… e sarà un vero conoscitore dell’anima…”.

Alqun sperimenta come essere se stessi sia un percorso di evoluzione, prima di tutto interiore, che non ha forma o regole ed è unico per ciascuno di noi. Essere se stessi non si realizza misurandosi sugli altri o reagendo al loro modo di porsi rispetto a noi, ma piuttosto con il conoscere, accettare e seguire la propria natura, trovando ed emettendo il proprio segnale unico, agganciando la sintonia interna con noi stessi, con ciò che vogliamo e, soprattutto, con ciò di cui abbiamo bisogno, arrivando a esprimerci nel modo in cui il nostro cuore si sente comodo e sereno, e la nostra mente quieta.

Scrive Cristiano Longoni: “… per tutto questo c’è un’unica soluzione: la capacità di sostare con l’altro (e con se stessi – aggiungerei io) nell’incertezza e nel caos e, con il suo tempo, immaginare le tappe verso la fine del cammino”.

L’esperienza di Alqun è la storia di un peregrinare d’Amore e di Desiderio, che si lega e lo lega al passato, ma anche a un progetto di un futuro coerente con se stesso, alla possibilità di collegarsi o dissociarsi dal mondo in modo sano e

all’opposizione cosciente-inconscia all’individualità-collettività, non negando ma accettando e integrando gli opposti, senza identificarsi del tutto con essi e differenziandoli dal Sé.

E così, lungo il suo cammino, Alqun incontrerà e vivrà i suoi Archetipi d’Amore, integrando in primo luogo i suoi aspetti consci e inconsci e gradualmente integrando gli opposti (persona e ombra, cosciente e inconscio) fino a raggiungere se stesso.

Con Viola incontra il corpo terreno e inizia a essere consapevole dell’esistenza di impulsi e desideri e contenuti psichici inespressi o non direttamente osservabili. Si rende conto che esiste una gran parte di se stesso che è stata ignorata (da lui stesso) e cercherà di avvicinarsi alla sua comprensione, perché è arrivato un momento in cui il suo sviluppo gli ha fatto vedere quel bisogno.

Con Isabella incontra l’inconscio, l’ombra. Nasce la consapevolezza che esiste qualcosa di più nel Sé, e che non c’è solo una parte cosciente ma anche un inconscio – con i suoi desideri e impulsi inconsci, che hanno comunque un grande valore e che non devono essere negati ma integrati, accettando l’ombra come parte integrante della nostra natura.

Con Tecla e Rebecca incontra il desiderio e l’animus/anima, in relazione agli archetipi sessuali che fanno comunque parte della sua personalità e della comunità in cui vive – e inizia ad integrare la polarità maschile / femminile. Questo processo comporterà l’integrazione dell’archetipo identificato dal suo sesso con la parte tradizionalmente identificata con il sesso opposto. Alqun deve integrare l’anima o archetipo femminile (che corrisponde a elementi come sensibilità, affetto ed espressione emotiva) – così come la donna lo fa con l’archetipo maschile animus (correlato a vigore e vitalità, forza, ragione e saggezza).

Con Ilenia e Ophelia si presentano l’amore collettivo e la volontà collettiva che iniziano a illuminare le aree oscure e sconosciute della psiche, allargando la consapevolezza e comunque restituendo anche umiltà. La saggezza acquisita dà significato alla scoperta dell’ignoto, per raggiungere il culmine con la coincidenza o integrazione degli opposti. I vari elementi che compongono la mente di Alqun si sono integrati (conscio e inconscio, individuo e collettivo, persona e ombra) e l’integrazione dei diversi aspetti della personalità darà loro funzionalità e valore, anche a quelli repressi e negati per tutta la vita.

Alqun può rendere il suo progetto di vita coerente con se stesso e vivere la sua vita come individuo libero – in grado di distinguersi e di separarsi dal mondo.

Ma la vera cura, in termini di “guarigione” la si ottien
e solo con l’Amore. L’amore, però, non è solo una sensazione o un sentimento, ma una disposizione, e presuppone tutta la persona nella sua interezza – con tutto il cuore e con tutta l’anima e con ogni forza e ogni pensiero, perché ogni processo di trasformazione necessita del confronto, della relazione.

Essere un individuo è essere un anello in una catena, sempre; non si tratta di una situazione totalmente separata, chiusa in se stessa, priva di legami con l’esterno.

E ti rendi conto di quanto tu sia legato agli altri esseri umani, di quanto poco tu possa esistere senza avere rapporti, senza responsabilità e doveri, e senza che altre persone siano in relazione con te.

E Alqun capisce di essere un anello in una catena e non un elettrone sospeso da qualche parte nello spazio o fluttuante nel cosmo senza uno scopo. È parte di una struttura atomica, e questa struttura atomica è parte di una molecola che, con le altre, costituisce un corpo.

Scrive Jung: “Sia nella mia esperienza di medico sia nella vita, mi sono trovato di fronte al mistero dell’amore e non sono mai stato capace di spiegare cosa esso sia”.

Qui si trovano il massimo e il minimo. Il più remoto e il più vicino. Il più alto e il più basso. E non si può mai parlare di uno senza considerare anche l’altro. E non c’è nulla da aggiungere. Perché noi siamo, nel senso più profondo, le vittime o i mezzi e gli strumenti dell’amore cosmico.

L’amore non viene mai meno, sia che parli con la lingua degli angeli sia che tracci la vita della cellula con esattezza scientifica, risalendo fino al suo ultimo fondamento.

Infine, al termine di questo processo alchemico, se possedesse un granello di saggezza, l’uomo chiamerebbe l’ignoto con il nome più ignoto, cioè con il nome di Dio.

Sarebbe una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione, ma, al tempo stesso, una testimonianza della sua libertà di scelta.

E Cristiano Longoni, ironico, malinconico e sognante, scrive:


Passa la vita davanti ai fianchi
Passa e s’irride di rossi o di bianchi
Passa e si scorda dei nostri giorni
Passa e t’attende sinché non ritorni.

E il suo amico Jung chiosa:

… “In verità, sopravvive chi ama.
Perché mai non ce ne siamo accorti?
Ho visto dunque che sopravvive chi ama
e che è proprio lui a offrire,
senza sospettarlo, ospitalità agli dei”.
(C.G.Jung, Libro Rosso)

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Ringraziamo la Dott.ssa Barbara de Munari per averci autorizzato alla pubblicazione di questa preziosa recensione. Vero in.vito a leggere il testo dell'Autore Cristiano Longoni. Una lettura che certamente sorprenderà per i tanti specchi in cui si imbatterà il lettore, vedendo riflessa ora quersta ora quell'immagine: tutte riconducenti all'Amore, Perchè '...In verità, sopravvive chi ama...'.
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mercoledì 9 marzo 2022

PROFEZIA E DIVINAZIONE (Traduzione e Prefazione di Barbara de Munari - 2022)



Ciò che caratterizza il profeta è una vocazione particolare, soprannaturale e imperativa, che lo rende atto, mediante una forma di rapporto diretto con la divinità, a penetrarne le intenzioni e i disegni e che lo obbliga a renderli noti. Il profeta è essenzialmente un mistico.

Così definita, la missione profetica rappresenta l’esaltazione di una personalità “invasa” dallo spirito religioso.

I profeti per eccellenza sono i grandi fondatori o riformatori delle religioni; essi hanno un temperamento fortemente mistico, unito alla foga e alla capacità di agire.

Le persone soggette a queste manifestazioni erano “profeti” nel vero senso etimologico del termine, cioè “parlatori in luogo” di Dio, di cui essi si presentavano come interpreti o strumenti vocali, e il loro carattere morale, sia nell’antico profetismo sia nel nuovo, si riassumeva nei due capisaldi: fede e culto spirituale dell’unico dio Jahweh; pratica della giustizia individuale e sociale in virtù della religione di Jahweh.

Del primo caposaldo rendono testimonianza moltissimi episodi dell’antico profetismo: ne è una prova, ad esempio, quasi tutta l’attività di Elia.

Così anche del secondo caposaldo, sempre nel profetismo antico, esistono prove eloquenti: ad esempio, il profeta Nathan rinfaccia al re David il suo adulterio con Bethsabea e la sua ingiustizia nei confronti di Uria; mentre il profeta Elia redarguisce il re Acab per il suo misfatto ai danni di Naboth.

Spesso, poi, i due capisaldi si compenetrano: ad esempio, il profeta Achia predice a Geroboamo che succederà a Salomone nella maggior parte dei suoi dominii, in punizione dell’idolatria di Salomone, ma anche del suo fiscalismo oppressivo che gli aveva alienato gli animi di moltissimi sudditi.

In mezzo a quella società, essenzialmente teocratica, si faceva avanti il profeta, affermando che veniva da parte di Jahweh e per “parlare in luogo di lui”; da qui anche la sua autorità presso i suoi ascoltatori, i quali, come membri di una società teocratica, non potevano negare credito – almeno in teoria – al “parlatore in luogo di”.

Nulla perciò – sempre in teoria – sfuggiva alla sua autorità spirituale.

Davanti a lui, i re e i sacerdoti di Jahweh non valevano più del pastore che adorava Jahweh pascolando il suo gregge; la reggia e il tempio di Gerusalemme potevano riecheggiare delle invettive di un profeta che rinfacciava abusi e corruzione; il profeta poteva presentarsi improvvisamente in una festività pubblica e proclamare castighi divini, rinfacciando a tutti i comuni delitti o la colpevole negligenza per il decoro del tempio.

Il profeta era, infatti, l’uomo di Dio.

Ciò che diceva era un detto di Dio stesso, era un oracolo di Jahweh, e dunque la parola di Jahweh.

I profeti autentici, a differenza degli pseudo-profeti, furono spesso in contrasto con l’opinione pubblica, in forza appunto della loro missione.

Quando la purezza della religione jahvistica era inquinata da culti sincretistici e da pratiche idolatriche, quando il popolo riponeva una fiducia feticistica su oggetti e riti liturgici, il profeta proclamava che tutte queste cose non valevano nulla per se stesse e potevano essere distrutte e abolite da Jahweh, che solo ricercava attraverso di esse lo spirito e la purezza di cuore; quando, a scapito del carattere nazionale-religioso del popolo di Jahweh, si stringevano alleanze con potenti regni idolatrici, e quando agli austeri costumi del puro jahvismo subentrava la corruzione morale dell’individuo e dunque della società, il profeta interveniva, esecrando quelle alleanze, denunciando la corruzione, annunciando gli imminenti castighi divini sugli individui e sulla società.

Naturalmente, questa incessante censura dava fastidio e spesso, nonostante la sua indiscussa autorità morale, il profeta veniva ucciso: il parlatore in nome di Dio proseguiva imperturbabile a parlare, minacciando ed esecrando, e il popolo, a un certo punto, fingeva di dimenticare il carattere e la natura di quel parlatore e lo lapidava o lo rendeva oggetto di continue persecuzioni.

Era nota la prospettiva che attendeva il profeta nella sua missione e ciò può spiegare la titubanza o la riluttanza di qualche profeta ad assumere la missione profetica.

Amos mostra stupore per essere stato scelto come profeta, da pastore qual era; Giona manifesta una vera riluttanza alla missione profetica; Geremia si lamenta del peso del suo compito, vorrebbe quasi liberarsene, e chiama Dio il suo “seduttore” (Geremia, XX, 7-9).

Però poi tutti si arrendono, perché la “parola di Jahweh”, che costituiva l’impulso della loro missione, era “nel cuore come un fuoco divoratore, racchiuso dentro le ossa” (Geremia, XX, 9), cui nessuno poteva sottrarsi.

Poiché “…se il Signore Jahweh parla, chi non profetizzerà?” (Amos, III, 8).

Quanto vi fu di più nobile nell’ebraismo fu salvato principalmente dai profeti e da essi trasmesso alle epoche successive.

Di questa somma importanza spirituale erano consci i profeti, ma anche il popolo, tra l’uno e l’altro di quei suoi scatti furiosi che finivano con la lapidazione del profeta.

I profeti avevano più volte paragonato la loro missione a quella delle vedette che dall’alto delle torri spiano il nemico, o delle sentinelle notturne che vigilano sulla sicurezza dell’accampamento; così il popolo sapeva per esperienza che, nei momenti decisivi della vita nazionale, compariva inesorabile il profeta, che redarguiva, minacciava, correggeva, esortava.

E fu così che quando, con il tramonto del profetismo, quelle voci si udirono sempre più raramente e poi tacquero, il popolo rimase smarrito, e ripensò a loro con desiderio accorato, e ne venerò sempre più la memoria e i sepolcri.

Il profeta Isaia parla molto del futuro, però questa non è l’essenza del suo ruolo. L’essenza del ruolo in senso biblico è che il profeta è qualcuno che “parla nel nome di Dio” e il rapporto tra Dio e il suo popolo è basato su un’alleanza: “Il patto”.

Il profeta è qualcuno che richiama il popolo di Dio a rispettare i termini dell’alleanza, stabilita da Dio.

Lo sfondo del libro di Isaia è il libro del Deuteronomio, che è la base della letteratura profetica poiché è il libro del patto dell’alleanza.

Le parole pronunciate da Isaia sono chiare e richiamano il popolo a rispettare questa Alleanza: “Venite quindi e discutiamo assieme, dice l’Eterno, anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana”.

[“Discutiamo”, in termini ebraico-giuridici, significa “presentiamo la nostra causa” (Isaia 34:8)];

“Poiché è il giorno della vendetta dell’Eterno, l’anno della retribuzione per la causa di Sion”;

(Isaia 41:11): “Ecco, tutti quelli che si sono infuriati contro di te saranno svergognati e confusi; quelli che combattono contro di te saranno ridotti a nulla e periranno”.

Isaia non è un libro facile da leggere, perché tanti sono i nomi: nomi di paesi, di regni, di popoli e spesso si fa fatica a capire il contesto storico.

Isaia comincia a descrivere la sua vocazione con il dire (Isaia 6:1): “Nell’anno della morte del re Uzziah, io vidi il Signore assiso sopra un trono alto ed elevato, e i lembi del suo manto riempivano il tempio”.

Per noi questa frase non ha significato, perché non sappiamo chi fosse il re Uzziah, e non sappiamo quando sia vissuto, ma è comunque molto importante (Isaia 7:14): “Perciò il Signore stesso vi darà un segno. Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli porrà nome Immanu’el”.

Anche se questa è una profezia messianica, in realtà Isaia ha dato questa profezia al re Acar, quindi questa profezia è iniziata allora, in quel momento, e questo ci fa comprendere che la profezia di Dio è radicata nella storia e consiste principalmente nel rispettare il patto di alleanza.

Poi, affinché il momento della sua manifestazione tra gli uomini non si perdesse nel tempo mitico o fosse proiettato in un lontano futuro, Dio lo rivelò al profeta Daniele. Fu durante il suo soggiorno alla corte di Babilonia, nel 538 a.e.v., che gli fu predetto quando il Messia si sarebbe presentato, l’opera che avrebbe compiuto e il momento della sua morte.

Il testo sacro recita così:

“Sappilo dunque e intendi. Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e riedificare Gerusalemme fino all’apparizione del Messia, vi sono sette e sessantadue settimane di anni. Egli stabilirà un saldo patto con molti, durante una settimana di anni; e in mezzo alla settimana (sessantadue settimane di anni) il Messia sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Egli (il Messia) farà cessare la trasgressione, metterà fine al peccato, espierà l’iniquità, stabilirà una giustizia eterna, suggellerà visione e profezia e ungerà un luogo santissimo” (Daniele 9:25, 27, pp. 26, 24 ss.).

La profezia è inoltre apprendimento, rivelato da Dio, della sapienza divina della Torah e della sua parte nascosta, la Qabbalah e il profeta è tale sia per elevazione intellettuale e spirituale sia per visioni di angelie di manifestazioni divine o di Dio stesso, nella Shekhinah.
In questo senso, rispetto alla conoscenza ordinaria, la profezia introduce una “frattura”: la missione del profeta è diretta anzitutto al popolo, sotto forma di predicazione e di impegno di guida politica da parte del profeta.

Da questo punto di vista, inoltre, sembra non valere l’equazione tra profezia e predestinazione; il quadro provvidenziale, simbolo della prescienza divina, lascia spazio alla libertà dell’uomo, come mostra la profezia di Giona, nella quale la condotta umana (degli abitanti di Ninive, cui viene profetizzata la distruzione della città) “cambia” il corso degli eventi profetizzati – per quanto si tratti di un cambiamento comunque conosciuto da Dio dall’eternità.

Mentre, sul piano filosofico, la profezia incrocia argomenti quali la compatibilità tra prescienza divina e futuri contingenti, tra predestinazione e libero arbitrio, e la responsabilità morale dei propri atti.

Concludiamo con le parole di Isaia (Isaia 9, 1-6):

Il popolo che camminava nelle tenebre

vide una grande luce.

Su coloro che abitavano una terra tenebrosa

una grande luce rifulse … 


Nota: ringraziamo la Dott.ssa Barbara de Munari per averci cortesemente concesso di pubblicare una breve anticipazione della sua fatica di Traduttrice, 'Profezia e Divinazione', dal testo originale dello Scrittore Alfred Guillame. Il testo tradotto dalla Dott.ssa de Munari, sarà edito per la fine di Aprile 2022 ed è molto atteso dagli appassionati: tanto per l'alto profilo dei contenuti che per la qualità della Traduzione, nella quale la Dott.ssa de Munari ha saputo trasfondere la sua notevole capacità.  Il piano dell'opera è estremamente significativo e ricco di richiami, e l'attenta opera di Traduzione ne mette in grande rilievo lo spirito, esaltandolo con la sua accuratezza. Se si pensa che la Prima Edizione in lingua inglese - Prophecy and Divination Among the Hebrew and Other Semites, London, per Hodder & Stoughton - è del 1938 e che la Prima Edizione in lingua francese - Prophetie et Divinationa cura di Jacques Marty, Paris, per Payot - è del 1941, si può avere un'indea del grande valore che rappresenterà questa Prima Edizione in lingua italiana.
La Dott.ssa de Munari è Presidente e Direttore Editoriale di ETICA Edizioni, è traduttrice editoriale, scrittrice, bookblogger, ghostwriter e apprezzata giornalista.
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