SUL SITO DI "UN SOGNO ITALIANO" - MIRABILMENTE DIRETTO DAL PROF. SALVATORE SFRECOLA - E' OSPITATO UN ARTICOLO DI ATTUALITA' POLITICA A FIRMA Senator .
LO RIPRENDIAMO SU QUESTE PAGINE, STANTE IL VALORE DEL CONTENUTO.
INOLTRE, PROPRIO A FIRMA DEL PROF. SALVATORE SFRECOLA, RIPRENDIAMO CON PIACERE L'ARTICOLO CHE INSERISCE LO SPECILLO NEL BUBBONE DI QUEL CONTESTO CONOSCIUTO CON IL NOME DI "ROTTAMAZIONE".
BUONA LETTURA!
Il ruolo del Presidente del Senato
Eletto nel PD accetti le indicazioni del partito
di Senator
“Io
rispetto molto il Presidente Grasso, eredo che sia assolutamente un Presidente
di garanzia ma credo anche che essendo stato eletto nel partito democratico e
conoscendo fino in fondo quelle che sono le scelte del partito democratico, be’
penso che ne debba accettare anche la indicazioni”. In queste affermazioni sta
la concezione dello Stato e il rispetto delle istituzioni che ispirano
ilPartito Democratico, come sintetizzate da un suo esponente di spicco,
il presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, vice segretario del
partito.
C’è
una intrinseca contraddizione tra il proclamato rispetto per il presidente del
Senato, il riconoscimento del suo ruolo di garanzia in quanto eletto al vertice
di quella Camera, che un tempo si definiva “alta”, il suo essere la “seconda
carica dello Stato” (“Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso
che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato”, art.
86 della Costituzione), ed il richiamo duro alla circostanza che essendo stato
eletto nelle liste del Partito Democratico ne debba accettare le
indicazioni, cioè la proposta di riforma del Senato targata
Renzi-Boschi.
Devo
dire che le cronache parlamentari ricordano rari esempi di una simile
interpretazione del ruolo istituzionale del presidente del Senato nel momento in
cui presiede l’assemblea di Palazzo Madama e garantisce il corretto svolgimento
dei lavori. L’affermazione della Serracchiani potrebbe passare anche in secondo
piano se essa non avesse un ruolo di rilievo nel suo partito, perché quelle
parole dimostrano una concezione dello Stato e delle istituzioni che più volte
abbiamo sentito nelle parole del Presidente del Consiglio quando, nella
direzione del partito del 21 settembre, si è in qualche modo lamentato di non
avere il potere di convocare le Camere.
La
democrazia liberale, quella che è nata dalla Rivoluzione Francese, che nel corso
dell’Ottocento e del Novecento ha avuto un’evoluzione che costantemente ha
confermato il ruolo di neutralità e garanzia delle istituzioni dello Stato, dal
presidente della Repubblica ai presidenti delle Camere, alla magistratura, alla
Corte costituzionale, viene messa in discussione quando si fanno affermazioni
del genere che abbiamo riportato, nelle quali si ritiene che l’esercizio del
ruolo di garanzia del presidente di una camera debba essere condizionato dalla
sua appartenenza al partito che lo ha fatto eleggere.
La
battuta della Serracchiani, come altre analoghe di esponenti di spicco
del Partito Democratico, a cominciare da alcune esternazioni del
Presidente del consiglio e segretario del partito, dal sapore inequivocabilmente
autoritario, passeranno certamente inosservate nell’opinione pubblica generale
ma sono segnali di fastidio per le regole della democrazia, per il dibattito
parlamentare e per il confronto tra i partiti che costituiscono il sale della
democrazia. Una battuta del genere sarebbe inconcepibile in ogni altro paese
dell’Europa democratica, per cui è un segnale che le forze politiche e la gente
dovranno cogliere perché è da queste affermazioni e dal comportamento
conseguente che si individuano tratti essenziali di una concezione politica che
tende a mettere sotto scacco ed a condizionare le istituzioni democratiche e gli
istituti di garanzia che caratterizzano il nostro impianto
costituzionale.
La
politica in generale ci ha abituato ad interventi normativi che hanno via via
limitato i poteri delle istituzioni dello Stato incidendo ora su questo ora su
quell’aspetto del funzionamento delle istituzioni, piccoli colpi alle regole che
a volte passano inosservati, che non determinano nell’immediato reazioni forti
ma che mettono punti fermi su una concezione privatistica dello Stato che non ci
appartiene e della quale dobbiamo aver paura.
Gli
italiani devono ribellarsi a questo modo di intendere il funzionamento dello
Stato, presto, ad evitare che il degrado e l’appropriazione delle istituzioni da
parte dei partiti, la “partitocrazia” che denunciava cinquant’anni fa Giuseppe
Maranini, arrivi a livelli tali che per fermarlo ci sia bisogno di una
ribellione forte che potrebbe sembrare autoritaria, se autoritaria non fosse
l’azione politica che è necessario contrastare.
24
settembre 2015
Quando
le furbizie hanno le gambe corte
Il
rottamator scortese
di Salvatore
Sfrecola
La
parola rottamazione non l’ha inventata Matteo Renzi. L’ha soltanto trasferita
dal linguaggio delle auto vecchie alle persone. Al di là, dunque, del taglio
sgradevole, immediatamente percepito non solo dai destinatari della rottamazione
ma dall’opinione pubblica più sensibile allo stile che deve caratterizzare i
rapporti tra le persone, anche quando polemici, l’espressione indica
naturalmente la sostituzione di un bene vecchio con uno nuovo e, per le persone,
di un anziano con un giovane, quello che viene definito anche “ricambio
generazionale”. Ora non è dubbio che nel pubblico, nelle amministrazioni e negli
enti, ci sia bisogno di un ricambio, dell’ingresso di forze nuove perché i
giovani sono portatori di stimoli, spesso indotti da esperienze in paesi esteri
come nel caso di coloro che frequentano i corsi Erasmus, che possono
giovare alle amministrazioni e alle imprese pubbliche.
Il
fatto è che questo non accade. La soppressione dell’Istituto del trattenimento
in servizio, che assicurava ai funzionari due anni di ulteriore permanenza negli
uffici dopo il 65º anno di età, non è stato accompagnato dal reclutamento di
giovani, neppure da un inizio di reclutamento. Anzi, il blocco delturn
over, cioè la sostituzione di chi va in pensione, sta invecchiando
l’amministrazione con gravi problemi in alcuni settori, a cominciare dalle forze
di polizia che non hanno giovani in numero sufficiente per assicurare un
controllo adeguato del territorio. Polizia di Stato e Carabinieri che, ognuno
ricorderà, assicuravano una presenza di pattuglie composte da giovanissimi, in
condizione di contrastare all’occorrenza i violenti, oggi dislocano nelle strade
non più ventenni ma agenti più anziani, certamente idonei ad operazioni di
controllo del territorio che non comportino uno scontro
fisico.
Anche
per la magistratura Renzi deve aver avuto suggeritori che lo hanno indotto ad
abrogare le norme sul trattenimento in servizio, senza preoccuparsi che gli
uffici direttivi più importanti, i tribunali, le corti d’appello, le procure
generali presso le corti d’appello e presso i tribunali sarebbero rimasti prive
del capo dell’ufficio. Naturalmente quelle posizioni sono state rimpiazzate, ma
non si è previsto un reclutamento che possa compensare quei collocamenti a
riposo.
Questa
scelta, in assenza di un reclutamento che comunque richiede tempo, appare come
una falcidia di una parte della classe magistratuale, assolutamente
ingiustificata se non si vuol giungere alla conclusione che questo fosse
l’effetto voluto per favorire un ricambio, non generazionale, con persone che
hanno un motivo per guardare con simpatia il rottamatore che ha loro consentito
di fare un passo avanti prima del previsto.
Chi
ha spinto, all’interno delle amministrazioni e delle magistrature, è stato
miope, considerato che insieme alla soppressione del trattenimento in servizio è
stata abbassata l’età di pensione.
Il
potere, come ben sappiamo, si autoalimenta, così il premier ha la possibilità di
piazzare a destra e a manca uomini suoi, soprattutto nelle imprese a
partecipazione statale, uomini che, a loro volta, scendendo per li rami
riusciranno a piazzare persone a loro gradite negli uffici. Lo ha spiegato
bene L’Espresso in edicola che ha pubblicato una mappa dei fedelissimi
del presidente del consiglio rapidamente piazzati nei posti che contano. Lo
hanno fatto altri prima di lui, essendo il mondo delle imprese partecipate la
riserva di impiego dei fedelissimi, dei clientes che bussano alla porta
di ministri, sottosegretari e sindaci, come dimostra la pantomima
della soppressione si soppressione no delle imprese degli enti locali che
spesso hanno più consiglieri di amministrazione che
impiegati.
Quel
che preoccupa in tutto questo è l’abbandono dell’amministrazione pubblica, la
mancata riorganizzazione dei ministeri e della dirigenza che, tra l’altro, ha
bisogno di nuove procedure adeguate alle esigenze delle politiche pubbliche. Il
premier dice che anche qui ha riformato. In realtà è stato fatto pochissimo, in
modo inadeguato perché evidentemente manca una visione d’insieme e una
conoscenza profonda dell’amministrazione, della sua organizzazione, delle sue
regole e della professionalità dei suoi uomini. Per dire di come sia inadeguata
la esibita semplificazione basti far riferimento al decreto cosiddetto “sblocca
Italia” che sulla Gazzetta Ufficiale occupa quasi trecento pagine stampate con
un corpo molto piccolo.
Il
premier corre e di giorno in giorno promette cose nuove spesso in contraddizione
con quanto in precedenza aveva promesso. Evidentemente non ha le idee chiare, al
di là dell’occupazione dei posti di potere negli enti, né le hanno i suoi
collaboratori assolutamente privi di qualunque esperienza amministrativa e
pertanto soggetti a suggerimenti di persone spesso interessate o che hanno, a
loro volta, una conoscenza parziale della realtà sulla quale intendono
operare.
È
difficile immaginare che con questo forsennato rincorrersi di proposte e di
promesse l’Italia possa recuperare quell’efficienza che è la prima esigenza di
ogni governo e che è necessaria per perseguire obiettivi di sviluppo economico e
sociale. Dagli esperimenti governativi non ci attendiamo una amministrazione più
efficiente al livello di quelle dei maggiori paesi europei, che hanno una
tradizione consolidata, dalla Francia, al Regno Unito, alla Spagna, alla
Germania. Purtroppo.
La
ballata della riforma costituzionale ne è una espressione eloquente. Una
riforma, ha sostenuto nei giorni scorsi Matteo Renzi, attesa da settant’anni
(peccato che la Costituzione ne abbia solo sessantotto). Comunque non basta
cambiare. E questo Senato non serve se non a garantire l’immunità ai consiglieri
regionali che vi siederanno, tratti da quella classe politica locale che tanto
ha fatto lavorare le Procure della Repubblica per lo scandaloso spreco di
pubblico denaro. Un Senato che non darà la fiducia al Governo, “novità”
ripetutamente esibita dalla Boschi. Peccato che anche qui sia in errore. Infatti
anche il Senato del Regno non votava la fiducia al governo in quanto si riteneva
che questo importante adempimento fosse proprio della Camera
elettiva.
Tanto
per precisare.
22
settembre 2015
Nessun commento:
Posta un commento