L'Ill.mo Prof. Salvatore Sfrecola, lasciata la Toga della Corte dei conti, indossa ora la Toga di Avvocato, peraltro dedicando maggior tempo alla Sua passione di sempre: scrivere, al fine di far conoscere nel modo più ampio possibile il proprio pensiero. Un pensiero personale, sì: ma un pensiero sempre obiettivo, sostenuto dalla ragione e dal confronto più ampio ancorché dalla propria passione.
Innumerevoli le conferenze, i dibattiti, cui il Prof. Sfrecola ha partecipato: in ordine di tempo, l'appuntamento è per il 19 Ottobre alle ore 17,30 presso l'Università di Castel Sant'Angelo (Corso Vittorio Emanuele, 217 - Roma), dove insieme con Fabrizio Giulimondi presenteranno i rispettivi lavori sul 'referendum' (Ed. Aracne) e sulla Costituzione (Ed. Giappichelli).
All'incontro si annuncia fin da ora numerosa la partecipazione di studiosi, Magistrati e Avvocati.
All'incontro si annuncia fin da ora numerosa la partecipazione di studiosi, Magistrati e Avvocati.
In esclusiva per i nostri Lettori, l'Ill.mo Prof. Sfrecola ha cortesemente preparato una scheda di quello che è il contenuto del proprio libro, e quindi un essai del proprio pensiero.
Ringraziamo l'insigne Giurista, certi dell'apprezzamento dei Lettori stessi per la Sua cortesia e disponibilità, come pure del successo del suo libro.
Roma, 8 Ottobre 2016 Giuseppe Bellantonio
"LA COSTITUZIONE VA RIFORMATA? SI/NO"
(di Salvatore Sfrecola, Aracne Editrice)
Giunge nelle librerie,
nel bel mezzo del dibattito sulla riforma costituzionale in vista del
referendum del 4 dicembre questo libro, il cui Autore vanta una lunga
esperienza di Magistrato della Corte dei conti oltre che e di consulente ministeriale. Il
libro dà ampio conto delle tesi dei fautori del SI e di quelle dei Comitati per
il NO. Sulla base di queste contrastanti valutazioni della legge di riforma, l’Autore
giunge alle sue conclusioni contrarie alla approvazione della riforma. Comincia
da una frase a conclusione del documento diffuso dai fautori del SI: “Il testo
non è, né potrebbe essere, privo di difetti e discrasie”. L’Autore si chiede come
si possa modificare la legge fondamentale dello Stato nella consapevolezza di
“difetti e discrasie”, cercando di nascondere questa verità con parole ad
effetto, a volte inserite in “slogan da comizio”, come ha scritto Curzio
Maltese su Venerdì di Repubblica. Parole che, nel linguaggio della comunicazione, riassumono esigenze, indicano
obiettivi, per taluni raggiunti per altri falliti o inutili se non dannosi.
Parole che tornano nelle discussioni tra le persone, nei fondi degli
opinionisti e nella cronaca, come nei conversari al bar o nei circoli.
In primo luogo “riforma”,
naturalmente “necessaria”, per di più “attesa da anni”, che realizza “notevoli
risparmi”, riforma, varata in Parlamento “con una larga maggioranza” per
affrontare “efficacemente alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del
nostro Paese”. “Emergenze”, per superare “l’anacronistico bicameralismo
paritario indifferenziato” che diventa pasticciato (basta leggere il nuovo art.
70).
Inoltre “risparmi”, prima
di miliardi poi di 500 milioni (che la Ragioneria generale dello Stato stima, invece,
in 50 milioni), e ovviamente, “meno politici”, perché si ha l’“abolizione” del
Senato (come affermato inizialmente per poi divenire modifica delle sue
competenze) “220 parlamentari in meno”. Ma non si dice perché mantiene 630
deputati quando negli U.S.A., con 381 milioni di abitanti, sono 435.
“Riforma” e “ritardo”,
nel senso che la riforma interverrebbe a distanza di molto tempo da quando ne sarebbe
emersa l’esigenza. “Riforma” significa solamente cambiare senza riferimento al
merito e agli effetti di ciò che si riforma, che i promotori considereranno
positiva, gli oppositori totalmente o parzialmente negativa. Anche la legge di
revisione costituzionale del Titolo V, varata nel 2001 in fretta e furia, fu
definita con molta enfasi “riforma” dalla stessa maggioranza che oggi ne
disconosce la paternità.
Anche l’“attesa da tempo”
non è determinante, dal momento che non si è mai trovata una maggioranza
disposta a condividere un testo. Perché, va ricordato, una Costituzione, per durare
nel tempo, deve essere approvata con larga maggioranza che nel caso non c’è
stata (altrimenti non sarebbe stato necessario il referendum). “La
Costituzione – precisò Ruini – si rivolge direttamente al popolo e deve essere
capita”, esigenza che è connotato fondamentale della democrazia.
L’aveva
richiamata Piero Calamandrei in Assemblea Costituente il 4 marzo 1947, ricordando,
lui repubblicanissimo, lo Statuto albertino, del quale aveva sentito dire da un
altro Costituente “guardate come era semplice e sobrio; ed ha servito a
governare l’Italia per quasi un secolo”.
Prof. Avv. Salvatore Sfrecola
Presidente dell'Associazione Italiana
Giuristi di Amministrazione
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