Stupefacente
è un’Europa che, pur se consapevole di quali siano i mali che l’affliggono, non
frappone alcun rimedio alla crisi; solo le parole sono sparse in abbondanza:
ora per tranquillizzare (con la usuale, vetusta, tecnica del “rinvio”: tranquilli,
poi tutto migliorerà. Ma è un “poi” senza tempo: nessuno si impegna realmente,
dicendo “da domani sarà così”); ora per blandire; ora per ribadire solennemente
i termini di accordi stipulati “anni luce” orsono (quando tutto, o quasi,
andava bene) e di fatto più che superati dagli eventi e, se vogliamo, dalla
stessa Storia; ora per minacciare o lanciare veri e propri, insopportabili, diktat.
Il tutto lontano in modo abissale da quei nobili accordi all’origine del
Trattato di Roma, oggi lontano in modo siderale non tanto dai fatti ma dagli
animi di coloro che – più nel male che nel bene – tali fatti determinano ovvero
concorrono a determinare.
Stupefacente
è un’Europa tanto poco unita ma in realtà ingessata: campo di gioco di atleti dalle gambe molli, preda di partite
truccate dirette da più arbitri contemporaneamente, che si alternano in modo
apertamente concertato per mostrare ora un “cartellino giallo” ora un
“cartellino rosso” per favorire sempre e unicamente una ed una sola parte.
Stupefacente
è un’Europa carente di una comune politica estera, che subisce le ondivaghe
imposizioni di chi è rimasto ai tempi della “guerra fredda”, del “muscle contest”, degli orizzonti incerti
sui quali si stagliano le sagome dei missili nucleari puntati silenziosamente
verso bersagli che, sulle carte, sono puntini rossi, gialli, blu o verdi, ma
che in realtà rappresentano milioni di persone, di esseri umani, di vite
pulsanti, di sogni, di ambizioni, di aspettative, di progetti, di programmi.
Stupefacente
è un’Europa che, per sanzionare, sanziona se stessa; per fiaccare un avversario
che tutti i torti non ha (anzi: a questo punto vero è che ragioni e torti si
equivalgono, dando poca ragione e molti torti a quanti si erano affrettati –
per interessi economico-finanziari-commerciali e, per ultimo, politici - a spalleggiare e persino riconoscere ciò che
fin da subito appariva essere non una nazione unita, ma solo una parte di essa;
una parte che, secondo il peggiore dei copioni, si è calata in un confronto
armato tra etnie locali, non riconoscendo alcun diritto a chi chiedeva
autonomia e libertà di autodeterminazione). Un’Europa che quindi non si sottraeva al
pessimo vezzo di dare ragione agli (veri o presunti) aneliti di libertà di
taluno, non tenendo conto e anzi censurando e negando gli (anche qui: veri o
presunti) aneliti di libertà di talaltro. Chi decide, e in base a quale
criterio chi sia un terrorista e chi un guerrigliero? Chi un patriota e chi un
ribelle? Chi sia nel giusto nel chiedere "libertà" e chi invece non abbia diritto a chiderla? Che fine hanno fatto – e non solo in quella
parte di Mondo - la libertà e la
democrazia esercitata dal popolo? Un’Europa
già in ginocchio, con una disoccupazione alle stelle, con investimenti
produttivi pressoché fermi, che ha fermato – a livelli diversi - l’export verso
la Russia, decretando di fatto il colpo di grazia per molte realtà produttive,
e che – in prossimità dell’inverno – deve ben ricordare che i rifornimenti di
gas dall’Est rappresentano un'importante quanto un’insostituibile fonte energetica.
Stupefacente è un’Europa che sembra non notare che, all’indomani
di un sussulto d’orgoglio della Grecia (che ha fatto un gesto di stizza nei
confronti della troika commissariale
europea, non sopportandone le pressioni); di una dichiarazione di Moody’s che –
stranamente… ma non troppo! – promuoveva le manovre riformiste italiane; di una
non impossibile schiarita dell’orizzonte ucraino, complice un meeting Asia-Europa in corso a Milano;
di una ferma presa di posizione della Francia, alle prese con una crisi interna
e di mercato non meno dura di quella italiana; di un brusco ridimensionamento
del ruolo della Germania nella leadership
internazionale, richiamata ai suoi limiti dagli Stati Uniti; delle notizie che
indicavano una flessione della spinta produttivo-commerciale della Germania; stupefacente
– dicevo – è non notare che gli equilibri delle Borse Valori sono “saltati”. Ufficialmente c’è chi si è affannato ad attribuire
ciò ad una insoddisfazione degli “investitori” (ma chi sono e dove sono?) al
rigore rappresentato dall’asse Berlino-Bruxelles: personalmente vedo invece un rinnovato assalto dei panzer camuffati da spread
e delle divisionen lanciate alla conquista camuffate da rating.
Gli effetti: massicce immissioni nel circuito di titoli pubblici delle nazioni
più deboli, con realizzi al ribasso, tassi del debito pubblico della Grecia
alle stelle, tassi di quello Italiano anch’essi sotto assalto, spread che salgono con una velocità sbalorditiva
toccando in poche ore quote impensabili.
Ancora un paio di giorni così, e qualcosa scricchiolerà paurosamente e
forse irrimediabilmente in quest’Europa dove il deficit al 3% è un taboo
al pari della immodificabilità delle regole attuali.
Stupefacente
è un’Europa che non vuole prendere atto che c’è un gruppo di Stati membri che
ha una propria “velocità” e la maggior parte degli altri che ha una “diversa
velocità”: di fatto l’Euro a due velocità già esiste, perché non
ufficializzarlo? Non sono tra coloro che seguono il filone “complottista” ma è
un fatto che in Italia si vedano poche banconote con caratteristiche di stampa
riconducibili ad altri Paesi membri… quasi che gli euro stampati in Italia,
restino e circolino solo qui da noi. E
poi qualcuno dovrebbe spiegare come mai sugli stampati di alcune banche
italiane appaia da qualche tempo, per l’esecuzione di bonifici, il termine “euro
domestico”: c’è allora un “euro non domestico”, ovvero l’ “euro domestico” è
una nuova unità o pseudo tale? E chi ne avrebbe autorizzato l’introduzione/l’indicazione?
Tanto la situazione – e la complessiva
condizione – dell’Italia che la situazione e la condizione degli Stati
d’Europa, e in particolare di quelli componenti l’Unione Europea, sono sotto
gli occhi di tutti: anche se la comunicazione (televisioni, radio, carta
stampata, strumenti di informazione varia anche via web, ecc.), riferendoci in
particolare a quella nazionale, non sempre può essere ritenuta completa e
obiettiva come pure non sempre viene ritenuta in grado di offrire al pubblico
un’esposizione dettagliata e quindi professionale, utile al formarsi di quelle idee-critiche-impressioni-valutazioni
che presiedono alfine alle decisioni.
Le
omissioni e l’incompletezza dell’informazione diventano spesso addirittura
macroscopiche allorché si vadano a trattare avvenimenti che si incardinino all’estero: quasi che si avesse timore di
offrire a lettori e ascoltatori un quadro completo delle vicende: o perché li
si voglia ritenere “deboli di cuore”,
o perché li si possa reputare mentalmente “instabili
ed incerti” perché non in possesso della cultura necessaria a ben valutare
e quindi comprendere, o perché – più semplicemente - “non
capirebbero”… Una storia che – a ben vedere, e studiando le
storie che la Storia ci sottopone - va avanti da secoli, quella di omettere e
nascondere ai sudditi, al popolo, alle masse, le notizie – e quindi anche delle
“verità” - che vengono ritenute “non alla
loro portata” ovvero “scomode”
specie per chi esercita il “potere e il
comando” e attraverso questo determina “come
influire” sulle notizie stesse e/o sull’informazione e quindi sulla forma e
– soprattutto – sulla sostanza delle stesse notizie comunicate.
Ciò ha
sempre giovato a pre-stabilire tout-court
chi abbia ragione e chi torto, chi siano i “buoni”
e chi i “cattivi”, chi sia da
esaltare e catalogare come “amico” o
“alleato”, anche ponendolo su di un piedistallo,
e chi da “eliminare” additandolo come
“nemico” e concertando/complottando
per farlo apparire come tale, quali siano i “campioni” giusti ed esemplari da seguire e quali – invece – siano
quelli sbagliati: persino determinando (erronei) schemi valutativi,
comportamentali e sociali, tali da soppiantare – per la loro semplicità di
applicazione e per l’innata umana tendenza di
“ignorare/travalicare/interpretare” ogni regola – quei comportamenti che hanno
radici profonde e che presidiano alla presenza stessa dell’uomo nella società e
in primis nella famiglia e nei
consorzi umani che ne originano.
Ci
troviamo di fronte all’imposizione dilagante di un pensiero unico al quale
viene conferita l’energia di una nera sfera lanciata a tutta velocità su un
mucchio di birilli e che tutto sembra travolgere se non devastare: al punto che
chi vuol continuare a ragionare con la sua testa confidando nella forza di “regole” forse “antiche” (o “vecchie quanto
il mondo”?) ma certamente “consolidate
e valide per i loro contenuti”, è additato come retrogrado, o bacchettato
come “vecchio e superato conformista”,
o catalogato come “razzista” o
segnalato addirittura come “intollerante”
intriso di acida e caustica “discriminazione”.
Chi
sta a monte del pensiero unico ha anche determinato la fitta ragnatela di
interessi e alleanze per assicurarsene e facilitarne non solo la diffusione ma
soprattutto la stratificazione, pilotando azioni e reazioni, creando e
diffondendo un consenso drogato tale
da essere recepito come salvifico rispetto ad un passato più o meno
recente. Il tutto coerentemente con
l’attuale regime che vivono le genti, dove – pur in nome di principi di tutela
e/o salvaguardia - le masse fanno ormai parte di una società all’insegna di
“sorveglianza e controllo”: forse, e dico “forse”, un passo avanti prima del
possibile utilizzo su larga scala di fantascientifici microcircuiti.
Tale
condizione, almeno nell’odierna fase, tende a sopprimere la critica, ancorché
costruttiva, ed il dissenso, ancorché correttamente proposto: chi è sul ponte
di comando si giova di manovratori che propagandano e sostengono il “tutto va
bene”, tentando di relegare chi non la “pensi” come loro in una sorta di
“ghetto” non solo ideologico ma anche pratico-attuativo, dove è reso
difficoltoso contestare e contrastare questo pensiero unico, non comparabile e
incontestabile senza correre il rischio di esserne pericolosamente
travolti dalle azioni/reazioni di chi tratta come propri acerrimi nemici quanti
non siano allineati, “conformati”, con loro.
Che
fine ha fatto quel libero pensiero di cui
tutti pur sembrano nutrirsi, sebbene a parole? Quante sfumature di democrazia
esistono o vengono di fatto applicate, piuttosto che non ”la” democrazia?
Quante sfumature di libertà esistono o vengono usate, piuttosto che non “la”
libertà?
Di
fronte a tante e tali cose stupefacenti, vale la pena di notare che nel nostro
Paese si stanno producendo tali e tante novità che, nelle frenesia del
movimento generato per enunciarle/promuoverle/lanciarle, tutto sembra svolgersi
come sul set di una pellicola thriller
: le scene più importanti, emotivamente più coinvolgenti, vengono fatte vivere
al rallentatore.
Ecco,
tutto si volge freneticamente al rallentatore: speriamo che un qualche regista
non dia lo stop.
Ecco
allora che chi scrive si interroga su che fine abbiano fatto la tolleranza,
l’amore per il prossimo, la cultura della non violenza, come pure si chiede
come si intenda placare placare la sete di Giustizia, di ordine, di
razionalità, di correttezza, di onestà e quindi di Verità, alla base dell’azione
di chi intende eliminare i massicci privilegi pur concessi nel tempo.
Allora
chi qui scrive invoca, in nome dei migliori e più nobili principi di libertà e
di democrazia, il diritto di critica: un diritto che – purchè formulato ed
espresso in termini corretti, civili -
si fonda sul diritto di espressione, e quindi di parola. Esprimere opinioni, manifestare delle
valutazioni, formulare delle critiche, fanno parte del diritto di parola, del
diritto di manifestare il proprio libero pensiero, garantito dalle Costituzioni
di molti Paesi del Mondo: fa parte dei diritti fondamentali, alla pari di
quello del lavoro, del potersi curare, del poter studiare, del poter vivere
dignitosamente senza che la persona – e quindi la personalità – subisca
mortificazioni, oltraggi, offese.
Stupefacente, dicevo! Ed è stupefacente che nessuno si opponga allo sfascio che domina in Europa.
Stupefacente, dicevo! Ed è stupefacente che nessuno si opponga allo sfascio che domina in Europa.
Non
è obbligatorio allinearsi – e quindi dare, volenti o nolenti, un qualche
credito - alle parole, ai concetti, espressi dai soliti “pifferai” e da “imbonitori”
molto pratici delle tecniche di comunicazione e di persuasione: al punto che le
loro prediche si ammantano di vero pur contenendo ben poche verità e moltissime
pseudo-verità tirate bene a lucido.
Questi messeri ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, si applicano con ogni
loro energia - peraltro in modo
insistente e persino petulante – nel convincere la gente che “tutto va bene”
quando, invece, tutto continua a precipitare.
Nel caso del nostro Paese, urgono mezzi finanziari reali, “soldi veri”,
per dare una spinta all’economia e quindi stimolare l’occupazione.
Serve
che le banche riprendano a fare ciò per cui esistono: erogare il credito;
diversamente, è inutile che continuino ad essere presenti solo per tenere i
conti correnti, i depositi, della clientela adoperandoli a esclusivo vantaggio
delle strutture creditizie. Tanto vale
spostare tutti i depositi alla CDP, chiudere buona parte delle (poco utili, se
non erogano il credito) banche, e fare in modo che la CDP assuma il ruolo
complementare di esercitare direttamente il credito e gestire il
risparmio. Se ne ricaverebbero vantaggi
e utilità oltre ogni possibile immaginazione, anche perché accorciando sobriamente
la “filiera”, eventuali utili di gestione potrebbero remunerare quella
clientela che oggi vede corrispondersi tassi prossimi allo zero.
I
cittadini assistono esterrefatti a tribune e tribunette politiche, a talk-show dove i politici continuano a
recitare il copione della vetero-politica, con scenette che se non fossero
tragiche potrebbero apparire tra il comico ed il farsesco: e questo mentre il
Paese scivola sempre più in giù con margini sempre più esigui per convalescenza,
recupero, guarigione.
“Tutto
bene”, ci dicono sorridenti e con grande sicumera, e "in seguito andrà anche
meglio”.
Peccato
che, almeno per ora, nessuno se ne accorga.
Ma ci si accorge benissimo di una pressione fiscale complessiva sempre più insopportabile.
Ma ci si accorge benissimo di una pressione fiscale complessiva sempre più insopportabile.
Roma,
16 Ottobre 2014
Giuseppe Bellantonio
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