Quando
un popolo perde la propria identità
Da "Passa
‘a bandiera, passa a Patria e o’ Re", ai vessilli sporchi e stracciati
dei nostri giorni
di Salvatore
Sfrecola
Sporca,
ridotta a brandelli la bandiera nazionale, il “Tricolore Italiano”, come si
esprime all’Art. 12 la Costituzione, è il simbolo di un Paese che non crede in
sé stesso, che non riconosce la propria identità.
Ovunque è così nell’Italia di questi anni e duole che siano in queste condizioni soprattutto le bandiere all’ingresso delle scuole di ogni ordine e grado laddove si formano, o, meglio, si dovrebbero formare i futuri cittadini, non solamente quelli che iure sanguinis lo sono dalla nascita, ma anche coloro ai quali la cittadinanza si vorrebbe attribuire in base al cosiddetto ius culturae, se dovesse essere approvato il disegno di legge in discussione al Senato.
Quale cultura, quale rispetto per l’Italia possono acquisire giovani provenienti da ogni parte del mondo nel vedere come viene trattata la bandiera nazionale proprio nelle scuole che sono invitati a frequentare per ottenere la cittadinanza italiana? Senza che si levi una qualche protesta, ma soprattutto senza che le autorità sovraordinate intervengano richiamando all'ordine presidi e direttori didattici, funzionari dello Stato evidentemente senza dignità della loro funzione.
Come potranno i migranti, così generosamente accolti, integrarsi, il che vuol dire percepire il senso della identità nazionale, quella fatta di cultura, di storia, di tradizioni. In particolare di quella unitaria realizzatasi nel Risorgimento, quando quel vessillo dai tre colori. Verde, bianco, rosso, fu per la prima volta alla testa dei soldati del Regno di Sardegna, come volle il proclama del Re Carlo Alberto del 23 marzo 1848 in vista dell’ingresso il Lombardia per rispondere alla richiesta che Gabrio Casati gli aveva rivolto a nome del Governo provvisorio milanese. Alla prima guerra di indipendenza contro il “nemico storico”, per dirla con le parole del mite Luigi Einaudi, all’indomani del 4 novembre 1918, quando, come abbiamo tutti appreso dal Bollettino della Vittoria firmato alle ore 12 di quel giorno dal Generale Armando Diaz, “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo” risalivano “in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.
Ovunque è così nell’Italia di questi anni e duole che siano in queste condizioni soprattutto le bandiere all’ingresso delle scuole di ogni ordine e grado laddove si formano, o, meglio, si dovrebbero formare i futuri cittadini, non solamente quelli che iure sanguinis lo sono dalla nascita, ma anche coloro ai quali la cittadinanza si vorrebbe attribuire in base al cosiddetto ius culturae, se dovesse essere approvato il disegno di legge in discussione al Senato.
Quale cultura, quale rispetto per l’Italia possono acquisire giovani provenienti da ogni parte del mondo nel vedere come viene trattata la bandiera nazionale proprio nelle scuole che sono invitati a frequentare per ottenere la cittadinanza italiana? Senza che si levi una qualche protesta, ma soprattutto senza che le autorità sovraordinate intervengano richiamando all'ordine presidi e direttori didattici, funzionari dello Stato evidentemente senza dignità della loro funzione.
Come potranno i migranti, così generosamente accolti, integrarsi, il che vuol dire percepire il senso della identità nazionale, quella fatta di cultura, di storia, di tradizioni. In particolare di quella unitaria realizzatasi nel Risorgimento, quando quel vessillo dai tre colori. Verde, bianco, rosso, fu per la prima volta alla testa dei soldati del Regno di Sardegna, come volle il proclama del Re Carlo Alberto del 23 marzo 1848 in vista dell’ingresso il Lombardia per rispondere alla richiesta che Gabrio Casati gli aveva rivolto a nome del Governo provvisorio milanese. Alla prima guerra di indipendenza contro il “nemico storico”, per dirla con le parole del mite Luigi Einaudi, all’indomani del 4 novembre 1918, quando, come abbiamo tutti appreso dal Bollettino della Vittoria firmato alle ore 12 di quel giorno dal Generale Armando Diaz, “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo” risalivano “in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.
La
bandiera, ovunque rispettata ed amata al di là del credo politico, perché quei
colori sono di tutti, di destra o di sinistra. La bandiera ovunque è il
simbolo della nazione e del suo orgoglio. Basta pensare agli Stati Uniti
d’America, spesso impropriamente richiamati quale esempio dell’apertura
allo ius soli, che lì c’è, ma che vale esclusivamente per i figli
di chi è legittimamente presente sul territorio, cosa sempre trascurata.
Qualche
mese fa Il Messaggero denunciava il caso di Villa
Leopardi, nel romano quartiere Africano, in via Makallè, dove, sui pennoni
della biblioteca comunale, il Tricolore non c’era più, ridotto ad uno straccio
con la striscia bianca e quella verde divorate dal tempo.
Immaginavo
che sarebbe andata così quando fu approvata la legge sull’esposizione della
bandiera nazionale. Ero certo che sarebbe stata interpretata “all’italiana”
(quanto mi addolora questa espressione!). Perché la bandiera non deve essere
esposta continuativamente sugli edifici pubblici ma, ai sensi dell’art. 2,
comma 1, della legge : Legge 5 febbraio 1998, n. 22 ("Disposizioni generali sull'uso della
bandiera della Repubblica italiana e di quella dell'Unione europea") “per
il tempo in cui questi esercitano le rispettive funzioni e attività”, il che
vuol dire, per le scuole, “nei giorni di lezioni e di esami” (art. 4, comma 3,
del Decreto del Presidente della Repubblica 7
aprile 2000, n.121 ("Regolamento
recante disciplina dell'uso delle bandiere della Repubblica italiana e
dell'Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti
pubblici"). Il che esclude che siano esposte di notte e in tempo di
vacanze.
Le
bandiere esposte giorno e notte col sole o con la pioggia degradano nel giro di
pochissimo tempo e diventano assolutamente irriconoscibili. Uno spettacolo
desolante che la dice lunga sul senso dell’italianità dei contri concittadini
che, alla visione di quella bandiera vilipesa non insorgono, se non in pochi
casi, peraltro inascoltati. Con questo spirito nazionale il Paese non riesce a
risorgere, come fece un tempo, più di recente dopo la guerra perduta e le
lacerazioni che ne sono seguite.
Bandiere
che non hanno più neanche la forza di sventolare per ricordare a giovani e
anziani la nostra storia, chi siamo. Forse perché non lo sappiamo, perché abbiamo
avuto cattivi maestri che mano mano hanno fatto perdere alle giovani
generazioni il senso dell’appartenenza, quella che oggi in qualche modo
vorremmo riconoscere nei migranti per effetto dello ius culturae,
attraverso un ciclo scolastico in istituti al cui ingresso la bandiera è necce
condizioni che tutti possiamo constatare. Impareranno che non c’è rispetto per
la nostra storia, come per l’autorità dello Stato.
Quanta differenza con gli Stati Uniti dove le bandiere sventolano immacolate su ogni casa, dove bianchi, neri, gialli si sentono effettivamente americani, come abbiamo imparato a conoscere dai film di guerra che esaltano il soldato USA, spesso di colore in un reparto comandato da un ufficiale di colore. Laddove la Patria è un valore di tutti.
Quanta differenza con gli Stati Uniti dove le bandiere sventolano immacolate su ogni casa, dove bianchi, neri, gialli si sentono effettivamente americani, come abbiamo imparato a conoscere dai film di guerra che esaltano il soldato USA, spesso di colore in un reparto comandato da un ufficiale di colore. Laddove la Patria è un valore di tutti.
Un
tempo era così anche in Italia, un sentimento che è anche un’idea consegnata in
una canzone dall’inconfondibile accento partenopeo, “Passa a bandiera, passa a
Patria o Rre”, spesso richiamata nelle rievocazioni della Grande Guerra.
Mi
perdoneranno i lettori di fede repubblicana. Ma converranno certamente che
bandiera e Patria sono inscindibilmente connessi come o’ Rre, per chi si è
abbeverato ai valori di libertà del Risorgimento e dell’Unità nazionale.
Non
esistono convenzioni internazionali sull'uso della bandiera (flag etiquette),
ma le linee di comportamento seguono regole comunemente accettate. E sono tali
da garantire una esposizione della bandiera che eviti il degrado che denunciano
le nostre. In primo luogo la bandiera viene esposta dall'alba al tramonto,
alzata vivacemente ed abbassata con solennità, non deve mai toccare il suolo né
l'acqua.
Mai può essere usata come copertura di tavoli o sedute o come qualsiasi tipo di drappeggio. Non può mai essere esposta in posizione inferiore ad altre rispetto alle quali deve occupare la posizione privilegiata.
Mai può essere usata come copertura di tavoli o sedute o come qualsiasi tipo di drappeggio. Non può mai essere esposta in posizione inferiore ad altre rispetto alle quali deve occupare la posizione privilegiata.
Regole
logiche che attestano un senso di rispetto che dobbiamo assolutamente
ritrovare.
28
luglio 2017
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