I nostri Lettori seguono da tempo gli interventi di S.E. Salvatore Sfrecola.
L'Alto Magistrato della Corte dei conti, oggi Avvocato libero professionista, segue con attenzione le vicende italiane nel loro articolato complesso e, allorché constata l'esistenza di fatti e notizie meritevoli di attenzione, li sottopone alla comune attenzione in uno a valutazioni, considerazioni e commenti.
Nel 25° di “Mani pulite”
L'Alto Magistrato della Corte dei conti, oggi Avvocato libero professionista, segue con attenzione le vicende italiane nel loro articolato complesso e, allorché constata l'esistenza di fatti e notizie meritevoli di attenzione, li sottopone alla comune attenzione in uno a valutazioni, considerazioni e commenti.
Nel 25° di “Mani pulite”
Guardie
e ladri: l’eterno gioco di grandi e piccini
di Salvatore
Sfrecola
Giovanissimo,
tra i giochi più in voga c’era quello denominato “guardie e ladri”. Molti dei
miei coetanei preferivano “fare” i ladri, non ovviamente per una inclinazione
al crimine. I ladri erano, più che altro, ribelli avventurosi, come quelli che
avevamo imparato ad ammirare dalle letture dei libri di Emilio Salgari, tra
pirati e corsari, tutti impegnati a vendicare torti subiti, come Sandokan, “la
tigre della Malesia”, o “il corsaro nero”, il nobile Conte di Ventimiglia. Non
emergeva, dunque, la contrarietà alla legge. Della cui autorità, comunque, si
sentivano investite “le guardie” tra le quali, manco a dirlo, io mi schieravo
senza tentennamenti, sempre. E così è continuato nel tempo, fino ad indossare
la toga del magistrato della Corte dei conti, per individuare e punire, da
Pubblico Ministero o da Giudice, chi avesse danneggiato lo Stato o qualche ente
pubblico, con sprechi o corruzione.
Sento
dire che i bambini non giocano più a guardie e ladri. Mentre i grandi non
giocano, fanno sul serio. Così alcuni rubano “e non si vergognano”, come
sostiene Piercamillo Davigo, in qualche modo ribadendo che quel “non” dimostra
una evoluzione in peggio del malaffare. Divenuto Presidente dell’Associazione
Nazionale Magistrati, il Sostituto Procuratore della Repubblica che sotto
la guida di Francesco Saverio Borrelli aveva fatto parte del pool “Mani pulite”
della Procura di Milano, insieme a Gerardo D’Ambrosio, Gherardo Colombo e
Antonio Di Pietro, continua la sua battaglia, esponendo con cartesiana logica e
con l’eloquenza dei precedenti le ragioni degli illeciti che quotidianamente
vengono segnalati dalla stampa.
E
qui va fatta qualche precisazione, che non sarà gradita a quanti hanno visto
in Tangentopoli, più che la vicenda giudiziaria dei finanziamenti
illeciti alla politica e della corruzione, una sorta di colpo di stato
(qualcuno si è azzardato a definirlo così) contro i partiti che, fino ad
allora, avevano occupato la scena, la Democrazia Cristiana,
il Partito Socialista Italiano, il Partito Comunista
Italiano, in varia misura coinvolti nel sistema delle tangenti. E così è
passata, e persiste in alcuni, la vulgata che la magistratura sia stata in
qualche misura “usata” dai “poteri forti” interni ed internazionali (la
Massoneria, la C.I.A. le centrali economiche internazionali e chi più ne ha più
ne metta) per provocare la fine della prima repubblica.
Ora
non è dubbio che, proprio dagli interrogatori, prima, e dai processi, poi,
ampiamente richiamati dalla stampa e dalle televisioni (Radio Radicale,
ad esempio, trasmetteva per ore le udienze) è emerso che effettivamente i
“costi della politica”, sempre più elevati per far fronte alle spese per
pubblicazioni, convegni, scuole di partito e quant’altro fosse ritenuto utile
per affermare la propria presenza sul territorio e nell’economia ampiamente
condizionata dalla politica, i tesorieri dei partiti ricevevano ingenti
“donativi” a fronte di favori vari, con assegnazione di appalti, soprattutto, e
di forniture di beni e servizi destinati agli enti pubblici. “Così fanno tutti”,
sono le parole di Bettino Craxi, ex Presidente del Consiglio e Segretario
del Partito socialista in un drammatico discorso alla Camera
dei deputati il 3 luglio 1992 tra il silenzio ostile di tutto l’emiciclo nel
quale sedevano quei “tutti” che erano abituati a ricevere e gestire mazzette.
“Il finanziamento illegale dei partiti in Italia – sono le sue parole – è un
fatto vero e largamente noto”. Aggiungendo che “all’ombra di un finanziamento
irregolare ai partiti e al sistema politico fioriscono e si intrecciano casi di
corruzione e concussione, che come tali vanno definiti, trattati, provati e
giudicati. E tuttavia bisogna dire che tutti sanno: buona parte del
finanziamento pubblico è irregolare o illegale”. Con la conseguenza che “nessun
partito è in grado di scagliare la prima pietra”.
Poi
si accertò che quelle somme messe a disposizione da appaltatori e boiardi di
Stato non finivano solamente sui conti dei tesorieri di DC, PCI e
PSI, perché spesso andavano direttamente ai responsabili delle correnti che se
ne servivano per comprare tessere o per organizzare in vario modo, anche con
giornali e riviste, il potere dei gruppi e dei loro esponenti all’interno dei
partiti.
Sembra
quasi che l’azione dei magistrati sia stata “contro” i partiti. In realtà i fatti
sono veri, le imputazioni e le responsabilità effettive e confessate. E quanto
alla lunghezza dei processi, spesso provocata degli imputati alla ricerca della
prescrizione, non risulta che qualcuno vi abbia rinunciato per pretendere che i
giudici si pronunciassero nel merito, per rivendicare la propria innocenza.
“Così
fanno tutti” e, naturalmente, “tutti sanno”. L’accusa di Craxi conferma che la
prassi era quella e certo alcuni drammi che hanno accompagnato le inchieste (mi
riferisco ai cosiddetti “suicidi eccellenti”) sono conseguenza della
generalizzata certezza dell’impunità. Che, venuta meno anche per effetto del
mutato clima politico a seguito della caduta dell’impero sovietico, non poteva
che provocare traumi profondi nelle persone che, pur essendo collettori di
tangenti per i partiti, si sentivano coperti da una prassi e forse addirittura
“onesti”, quando non rimaneva attaccato alle loro mani qualche pacchetto di
banconote di grosso taglio.
Questo
clima buonista, che periodicamente emerge nel dibattito politico, risuona nelle
rievocazioni di “mani pulite” di cui hanno scritto Gianni Barbacetto, Peter
Gomez e Marco Travaglio (“Mani pulite 25 anni dopo”, in libreria da alcuni
giorni). Parole di comprensione, pur in assenza di pentimenti. Per cui qualcuno
si pone l’obiettivo di “riabilitare” Craxi, cui certamente va riconosciuta la
dignità della confessione, sia pure, edulcorata da quel “tutti sanno”. E il
Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, apre un dibattito sulla possibilità di
intitolare una strada o una piazza della “capitale morale” a Craxi. Sarebbe un
gravissimo errore e una inammissibile ingiustizia nei confronti delle tante
persone perbene che giorno dopo giorno, con impegno e personale sacrificio,
operano al servizio delle istituzioni, dello Stato e della politica, o
rispettano le regole della concorrenza nel mercato degli appalti di lavori o
forniture.
Sarebbe
innanzitutto una ingiustizia nei confronti dei giovani i quali devono essere
educati al rispetto delle leggi, nella convinzione che l’amministrazione
pubblica sia effettivamente quella “casa di vetro” della quale si parla spesso
con un’enfasi che vorremmo rispondesse alla realtà. In un sistema di
trasparenza “totale”, come è regola di alcuni paesi che ci precedono, e di
molto, nella graduatoria che annualmente Transparency International redige
sulla base della percezione della corruzione. I più virtuosi, com’è noto sono i
regni di Danimarca e Svezia, una realtà nella quale la trasparenza dei poteri
pubblici è, appunto, “totale”, un aggettivo con il quale il Ministro della
funzione pubblica del governo di Stoccolma spiega i motivi di quel primato,
come ha riferito Raffaele Cantone nel corso di un convegno che si è tenuto
qualche mese fa a Roma nell’aula delle Sezioni Riunite della Corte dei conti.
26
febbraio 2017
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