A margine delle cerimonie per il 26 Aprile, il Prof. Salvatore Sfrecola - alto Magistrato della Corte dei conti, insigne giurista ed attento commentatore storico-sociale - ha scritto per il sito di 'Un Sogno Italiano' un interessante articolo che, qui di seguito, proponiamo ai nostri Lettori.
Grazie per la cortese attenzione e buona lettura!
1 Maggio 2015 G. Bellantonio
Riflessioni
a margine del 25 aprile.
A
quando una Festa “della Nazione”?
di
Salvatore Sfrecola
Il
25 aprile, appena ricordato nel settantesimo anniversario dell’insurrezione
contro i tedeschi invasori e la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), è
senza dubbio una ricorrenza che nella storia d’Italia è certamente più
importante di quanto sia stata e sia vissuta nella contrapposizione politica che
l’ha caratterizzata per essersene, fin dall’inizio, impossessati alcuni partiti,
in particolare il Partito Comunista Italiano. Sarebbe stato tutto sommato
più semplice ricondurre la rivolta e la sua conclusione nei termini esatti che
certamente gli storici, negli anni a venire, le riconosceranno come una
reazione, diffusa in vasti strati delle popolazioni del Nord Italia, contro
l’occupazione tedesca e il Governo di Salò. Variegate sono state, infatti, le
componenti del movimento partigiano, in parte riconducibili a partiti, il
comunista e il democristiano, in primo luogo, altre più “patriottiche”, come
quelle che Eugenio Scalfari su La Repubblica di ieri definisce
“monarchiche”, che più semplicemente si riferivano allo stato nazionale,
strumentalmente definito “Regno del Sud”, più esattamente il Regno d’Italia.
Erano reparti formati da militari che non avevano aderito alla Repubblica
Sociale Italiana e che, mantenendo fede al giuramento prestato al Capo dello
Stato, si erano mobilitati sulle montagne per sfuggire ai bandi di arruolamento
della RSI e combattere gli invasori. Reparti sui quali si è tentato di stendere
il velo del silenzio, proprio perché non riferibili a partiti politici,
nonostante il loro sia stato un apporto certamente significativo alle operazioni
militari per l’ovvia ragione che erano gli unici inquadrati ed addestrati
all’uso delle armi.
In
una visione realistica e corretta degli avvenimenti che hanno preceduto la
rivolta contro gli invasori e la Repubblica di Mussolini (del cui ruolo gli
storici scriveranno ancora per ricordare le azioni violente delle Brigate Nere,
ma anche per segnalare che la repressione tedesca è stata in qualche misura
condizionata e a volte frenata dalla presenza dell’alleato fascista), non si può
fare a meno di riandare a quel 25 luglio del 1943 quando il Re mise fine al
Governo fascista dopo un voto del Gran Consiglio sull’ordine del giorno Grandi
concordato, com’è noto, con il Ministro della Real Casa, Duca d’Acquarone e con
lo stesso Sovrano che il suo ministro aveva autorizzato a trattare con i
dissidenti del regime.
Il
fatto ha un ruolo cruciale nella dinamica degli avvenimenti successivi. Perché
se l’Italia non avesse avuto un Re che, nonostante fosse stato abbandonato dalle
forze politiche antifasciste fin dal 1922, impersonava comunque lo Stato e
manteneva l’autorità suprema sulle forze armate, la defenestrazione di Mussolini
non ci sarebbe stata. Se, cioè, l’ordinamento costituzionale fosse stato come
quello della Germania nazista, con un Capo dello Stato asservito completamente
al regime, anzi espressione del regime, l’Italia non avrebbe potuto giungere
all’armistizio e definire una pace separata con gli alleati. In proposito vale
la pena di ricordare le ricorrenti sollecitazioni di Hitler a Mussolini di
“sbarazzarsi” della monarchia.
Questo
quadro sfugge a molti perché non fa comodo, perché a quanti (Sturzo, Turati) non
avevano voluto, alla vigilia della Marcia su Roma, assumersi la responsabilità
di un governo che fermasse la rivoluzione fascista, è tornato agevole far
ricadere su Vittorio Emanuele III le loro responsabilità, fino a definire “fuga”
l’abbandono di una Roma militarmente indifendibile e possibile oggetto di
rappresaglie degli anglo-americani e dei tedeschi. Anche dal Vaticano, oggi è
accertato, erano venute significative sollecitazioni perché il Sovrano ed il
Governo lasciassero la Capitale per evitare di farne un campo di battaglia che
avrebbe portato alla distruzione dei più straordinari monumenti della civiltà
romana e della cristianità.
Ma
quella bandiera ammainata a Roma è rimasta a sventolare nei territori non
occupati dai tedeschi e, ben presto è tornata a sventolare al Nord dove i
reparti dell’esercito avevano formato le prime formazioni della resistenza
antinazista. È un dato storico che non può essere ignorato e, del resto, nei
giorni scorsi i documentari con i quali le televisioni hanno ricordato gli
eventi di 70 anni fa, molti dei reparti che sfilavano a Torino, a Milano, a
Bologna erano preceduti dalla bandiera nazionale, quella delle guerre del
Risorgimento e della liberazione di Trento e Trieste. Ed anche dai balconi delle
città in festa sventolava la stessa bandiera.
Queste
considerazioni inducono a riflettere sulla circostanza che l’Italia, a
differenza di altri nazioni, non ha una festa nazionale ma ricorda tante diverse
occasioni della storia, il 25 aprile, ad esempio, il 4 novembre, ribattezzato
festa delle forze armate, il 2 giugno, data del referendum che ha data la
vittoria alla repubblica. Solamente nel 2011, nel centocinquantesimo dell’unità
d’Italia fu ricordato il 17 marzo 1861, data della proclamazione ufficiale del
Regno d’Italia. Quella deve essere la Festa della Nazione Italiana perché quel
giorno il Parlamento subalpino, divenuto italiano, ha votato la legge che ha
proclamato la costituzione dello Stato nazionale unitario succeduto agli stati
che avevano disegnato la geografia politica della penisola dopo il Congresso di
Vienna.
Quella
data, solo quella, può dare il senso dell’unità della Nazione, così contribuendo
a superare i particolarismi culturali ed economici che negli anni successivi al
1861 e ancora oggi alimentano contrapposizioni, anche di interessi, che è
necessario superare in un’ottica di sviluppo economico e sociale all’interno
dell’Unione Europea.
27
aprile 2015
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