Sulle pagine web de "Un Sogno Italiano" sono apparsi in queste ultime ore una serie di articoli di grande interesse.
Articoli che ci permettiamo di porgere all'attenzione dei Lettori di questo blog, ben conoscendo la loro attenzione per le tematiche di interesse sociale.
Dall'articolo "I dolori del giovane Renzi" a firma Senator, ad una miscellanea di notizie sotto il titolo di "In punta di penna", a quello del Prof. Salvatore Sfrecola che chiosa un intervento di Paola Italiano su "La Stampa" relativo a sentenze dal sapore 'storico' sulla pericolosità dell'amianto.
I dolori del giovane Renzi
di Senator
Non
nascondo che io, uomo di destra, ho avuto una istintiva simpatia per Matteo
Renzi quando è comparso all’orizzonte della politica nazionale, in occasione
delle primarie per la leadership del Partito Democratico perdute con
Piergiorgio Bersani. Ne apprezzavo il giovanile entusiasmo, il linguaggio
efficace, la capacità di coinvolgere le persone nella enunciazione di riforme da
fare, necessarie per la ripresa economica del Paese, con istituzioni
parlamentari più efficienti, meno burocrazia, meno tasse, una scuola migliore,
una giustizia più veloce nel tutelare i diritti dei cittadini. Nell’era di
Twitter, che impone di dare un senso il più possibile compiuto ad un pensiero in
140 caratteri Renzi comunicava efficacemente con italiani stanchi delle liturgie
di una politica che poco ha fatto per rispondere alle esigenze delle persone e
delle imprese.
Ho
atteso che dalle parole si passasse ai fatti. E qui ho avuto i primi dubbi sulle
prospettive del suo governo. L’idea di una riforma al mese, dall’amministrazione
al fisco, dalla giustizia al lavoro, alla scuola sarebbe stata affascinante se
la squadra di governo non si fosse immediatamente dimostrata inadeguata rispetto
alla mole delle cose da fare per avviare concretamente le riforme
enunciate.
Giovani
di belle speranze e belle ragazze collocate in posti di responsabilità in
passato affidate a politici o tecnici esperti che non erano riusciti a fare un
passo in avanti. Giovanotti e ragazze senza alcuna esperienza politica, senza
cultura amministrativa, senza preparazione giuridica, come attesta l’Espresso in
edicola che bolla impietosamente con un “bocciato in legge” il governo e le sue
riforme. A partire da quella costituzionale, avviata baldanzosamente e
impantanata in una revisione del Senato che non si capisce bene che ruolo avrà,
al di là di apparire una sorta di dopolavoro dei consiglieri regionali in
trasferta a Roma. 100 senatori mentre rimangono 630 deputati. Dimezzarli sarebbe
stato il minimo da fare.
E,
poi, le riforme della Pubblica Amministrazione, della Giustizia, delle procedure
di spesa per le opere pubbliche, tutte decise con decreti legge convertiti sulla
base di un voto di fiducia che ha mortificato il Parlamento, che, soprattutto,
non ha consentito miglioramenti del testo, anche sulla base delle riflessioni
che andavano maturando tra chi ha esperienza di queste
cose.
Tutto
con un cronoprogramma, come si direbbe con linguaggio dei contratti di appalto,
inadeguato ai tempi tecnici e ad un minimo di approfondimento delle tematiche
affrontate e definite evidentemente da ghost writers del “cerchio magico”,
giovani professionisti del privato poco esperti di amministrazione e giustizia o
di procedure di appalto se, per semplificare, è stato prodotto un decreto che
riempie ben 189 pagine fitte fitte della Gazzetta
Ufficiale.
E,
ancora, errori politici, come quello di farsi troppi nemici, a destra e a
sinistra. Tra i dipendenti pubblici, i magistrati, i pensionati, e via
enumerando. Un errore che il giovane Renzi rischia di pagare caro. Anche il
domatore dei circhi entra nella gabbia delle tigri avendone una che in ogni caso
è disposta a difenderlo. Così, se il ridimensionamento dello strapotere dei
sindacati, che poco ha portato di buono al Paese negli anni passati ingessandolo
pesantemente, è stato generalmente apprezzato, non è stata una mossa
intelligente manifestare un aperto disprezzo per le loro istanze. Come aveva
fatto con i magistrati e gli altri che a lui si sono opposti, a volte con
ragionevolezza.
“Macchè
uomo solo al comando” ha replicato Renzi quando si è detto che si fosse
circondato da mezze figure per poter decidere in solitudine. E adesso si trova a
combattere su più fronti, circondato da critiche anche in casa, da persone che è
sbagliato dire che sono venti anni indietro, come ha affermato ieri la
Serracchiani riferendosi alla evocazione dell’Ulivo da parte della Bindi. Quelle
istanze hanno seguito, anche se minoritario, che potrebbe ampliarsi a seguito
del malessere evidente nelle elezioni regionali in Emilia Romagna, una regione
dove si votava senza se e senza ma. Come in Toscana, dove nel Mugello rosso è
stato votato, perché imposto dal partito, Antonio Di Pietro, un uomo che è a
destra di tutti.
Insomma,
Renzi si sta facendo male da solo ed ha disperso un patrimonio di credibilità
che si era conquistato con slogan e slide. E con la giovane età, peraltro troppo
enfatizzata. La storia conosce di primi ministri giovani, in Italia Benito
Mussolini è salito al potere a 45 anni, nel Regno Unito William Pitt, aveva da
poco superato i 20.
Scendendo
ieri dal Colle, da dove il Capo dello Stato più volte lo ha ammonito a fare
presto “e bene”, avrà riflettuto sugli errori fatti, forse, c’è da aggiungere,
perché il giovane fiorentino è un po’ presuntuoso. E questo nella vita, e in
politica, non porta lontano.
27
novembre 2014
In
punta di penna
Disaffezione
per le regioni: “È ormai cresciuta moltissimo l’insofferenza per l’istituto
regionale: se la sorte delle Regioni fosse affidata a un referendum è probabile
che la maggioranza ne proporrebbe l’abolizione”. Lo ha scritto Angelo Panebianco
sul Corriere della Sera del 25 novembre (“Il voto di chi non vota”) aggiungendo
che “è inevitabile che ciò favorisca l’astensione”.
Non solo, anche il profilo di molti candidati lascia a desiderare
agli occhi di elettori che hanno potuto verificare come coloro che avevano
votato negli anni passati hanno dimostrato di considerare i fondi dei gruppi
consiliari, finalizzati a sovvenire alle esigenze dell’attività politica e
istituzionale, come un gruzzolo da usare per finalità assolutamente personali,
come le cronache hanno abbondantemente dimostrato.
In proposito vale la pena di ricordare che la Corte
costituzionale, con una recentissima sentenza, la n. 263 del 17 novembre, ha
ribadito che l’esercizio del
controllo "non può non ricomprendere la verifica dell’attinenza delle spese alle
funzioni istituzionali svolte dai gruppi medesimi, secondo il generale principio
contabile, costantemente seguito dalla Corte dei conti in sede di verifica della
regolarità dei rendiconti, della loro coerenza con le finalità previste dalla
legge”. E rammenta di aver già auspicato “forme di controllo più severe e più
efficaci”.
Si
torna a fumare di più: è
una generale constatazione che, dopo un periodo nel quale, auspice il Ministro
della sanità (oggi della salute) Sirchia, gli italiani si sono dimostrati
virtuosi il fumo ha ripreso alla grande. Fumano, come sempre, più le donne e,
purtroppo, i giovani. Basta andare nelle vicinanze di una scuola superiore per
constatarlo. L’allarme delle società scientifiche è grande, come scrive
Margherita De Bac sul Corriere della Sera.
Telefoninomania: ed
a proposito di scuole ecco una frase colta nei pressi di un importante ginnasio
liceo della Capitale, il Mamiani. “se non avessi il cellulare non saprei come
passare il tempo durante la lezione”. Cattiva educazione nei confronti del
docente e incommensurabile idiozia. Ma mi è tornata alla mente una frase di mio
notto, professore di italiano e latino nel liceo di Trani. “Quando un ragazzo va
male a scuola nella maggior parte dei casi è colpa del docente”. Nel senso che
non sa interessare e coinvolgere gli studenti. Idiozia e maleducazione a
parte.
Lo
ricorda Paola Italiano su La Stampa :
La
denuncia della pericolosità dell’amianto in
due sentenze di inizio ‘900
di Salvatore
Sfrecola
Scritta
a penna, com’era abitudine all’epoca, ma ancora in Cassazione nel secondo
dopoguerra, spunta dal polveroso archivio del Tribunale di Torino una sentenza
del 31 ottobre 1906, emanata in nome del re Vittorio Emanuele III, confermata in
appello un anno dopo, nella quale si denuncia la pericolosità della polvere di
amianto. L’ha ricordata Paola Italiano, che ne ha scritto su La
Stampa riportando passi di quella lucida pronuncia di 120 anni fa, quando la
gente cominciava a morire per la fibra killer respirata lavorando nelle
fabbriche del Canavese. E fu subito uno scontro tra diritto e scienza, allora
come oggi, tra chi sosteneva e sostiene la pericolosità della polvere di amianto
e le imprese interessate a negarla. Nonostante, come afferma la Corte d’appello
di Torino, sia “cognizione facilmente apprezzabile da ogni persona dotata di
elementare cultura che l’aspirazione del pulviscolo di materie minerali silicee
come quelle dell’amianto può essere maggiormente nociva” di altre polveri.
“Elementare cultura” per dire che non occorre un premio Nobel in medicina per
ritenere provato il danno di chi deposita nei polmoni la polvere di silicio. Poi
verranno indicazioni più puntuali sulla base dell’esperienza maturata negli
ospedali della zona per patologie altrove non riscontrate.
Paola
Italiano riporta alcune frasi della sentenza di primo grado: “l’avvocato Pich
quando scrisse che la mortalità in genere è maggiore fra i funerali dell’amianto
che fra quelli delle altre industrie; i certificati prodotti lo provano in modo
veramente irreputabile”.
Quale
commento a questa vicenda? Ci sarà certamente qualcuno il quale dirà che i
giudici fanno politica industriale si chiudono gli impianti e impongono
l’adozione di cautele per evitare emissioni inquinanti gravemente lesive della
salute. Che è compito dei giudici tutelare sulla base della Costituzione che
all’articolo 32 individua la salute “come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività”. E qui emerge la disattenzione del legislatore e
dell’autorità amministrativa e la loro subordinazione ad interessi privati non
meritevoli di essere salvaguardati, perché se lo sviluppo industriale è
funzionale al benessere della comunità questo non può essere raggiunto a danno
della vita dei lavoratori. Costringere persone che hanno bisogno di lavorare a
scegliere fra il guadagno per sostenere le proprie famiglie e la salute è
certamente una dimostrazione dell’incapacità della classe politica di
considerare e tutelare valori fondamentali come quelli della dignità del
lavoratore, della su< salute e dell’ambiente. Perché molte strutture
industriali che producono fattori inquinanti oltre a danneggiare la salute degli
addetti e delle popolazioni residenti alterano gravemente le condizioni
ambientali in un Paese, l’Italia, che affida alla meravigliosa natura che ne ha
fatto un tempo il giardino d’Europa anche una preziosa realtà
turistica.
Eppure
c’è da scommettere che in questo Paese ad alto tasso di illegalità qualcuno,
senza preoccuparsi di offendere la memoria dei morti, continuerà a ripetere,
senza vergognarsi, che i giudici debordano dalla funzione loro propria, che
svolgono attività di supplenza, che fanno politica
industriale.
26 novembre 2014
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