... pro veritate è quello proposto dall'Ill. Prof. Salvatore Sfrecola nell'articolo che segue e che - apparso oggi sulle pagine web di "Un Sogno Italiano", http://unsognoitaliano.blogspot.com - qui viene riprodotto, per gentile concessione dell'Autore, considerandone l'attualità ed il taglio.
Offrire dei commenti ai Lettori sarebbe cosa superflua: ecco perchè, proponendone la lettura, l'invito è quello di ben intelligere nello scritto dell'Illustre Autore.
Un cordiale saluto.
Roma, 15 Settembre 2014 G. Bellantonio
A margine di un articolo di Filippo Facci
Offrire dei commenti ai Lettori sarebbe cosa superflua: ecco perchè, proponendone la lettura, l'invito è quello di ben intelligere nello scritto dell'Illustre Autore.
Un cordiale saluto.
Roma, 15 Settembre 2014 G. Bellantonio
A margine di un articolo di Filippo Facci
I
giudici, il Governo e il Parlamento
di Salvatore
Sfrecola
Filippo
Facci, da Monza, classe 1967, è un giornalista che ha fatto un lungo e
certamente sofferto percorso intellettuale, da l’Unità a Libero,
passando perl’Avanti, Il Giornale, l’Opinione, Il
Tempo, Il Riformista, Il Domenicale di Marcello
dell’Utri.
Onnipresente
nei talk show, il look è quello del ragazzotto scapigliato, la bocca
costantemente atteggiata ad una sorta di broncio infantile, mentre si tira su
con vezzo il ciuffo. Un po’ alla Sgarbi, per intenderci.
Intelligente,
fiuta il vento che tira, come dimostra il suo percorso giornalistico, ha il
gusto della battuta e non trascura l’argomento che fa tendenza. Non avrebbe,
dunque, potuto ignorare la polemica sulla Giustizia con argomenti tra i più
ricorrenti e popolari tra gli italiani, soprattutto tra quelli che maggiormente
apprezzano i furbi, i cosiddetti “dritti”, quelli la cui vita è un perenne
slalom tra regole e divieti. Per cui il magistrato, che a quelle regole ed a
quei divieti li richiama, non è amato.
Facci
si esibisce, pertanto, in una serie di luoghi comuni, impunemente, per nulla
preoccupato del fatto che le argomentazioni che propone ai suoi lettori si
smentiscano da sole. Cominciamo dal titolo “si fa Giustizia solo senza
magistrati” (Libero, 11 settembre 2014, a pagina 1, con seguito alla 4)
per andare ad individuare le ragioni per le quali, a suo giudizio, il governo
non riuscirebbe a portare a termine la riforma pur con tanta grancassa
annunciata. Parte dal lavoro dei magistrati, il Nostro, per dire che “mediamente
lavorano poco”. Quel “mediamente” è un capolavoro di ipocrisia, perché Facci sa
bene che le statistiche europee dicono il contrario. Che, cioè, i magistrati
italiani hanno una resa lavorativa elevata, superiore a quella di altri colleghi
degli Stati appartenenti all’Unione europea.
Riferisce
Facci che secondo l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) “i problemi sono
altri, sono cioè la norma sull’auto riciclaggio e la legge Cirielli e il falso
in bilancio”. E prosegue, “il problema non è, cioè, che i magistrati sono anche
dei dipendenti statali come gli altri e quindi soffrono degli stessi tic, con la
straordinaria differenza che loro non timbrano il cartellino: guai a dirlo”.
Secondo il Nostro “dovremmo arrenderci al fatto che “i magistrati lavorano anche
e soprattutto a casa” (Il Fatto Quotidiano, ieri, cioè il 10 N.d.A) anche
se i risultati sono questi e dovremmo berci che il deserto estivo di procure e
tribunali sia tutta colpa della lobby degli avvocati: che hanno tante colpe,
cribbio, ma non diamogli anche questa”.
È
sufficiente per dimostrare che Facci non ha studiato il problema o fa finta di
non conoscerlo. Propenderei per la seconda, secondo il noto adagio di Giulio
Andreotti per il quale a pensar male si fa certamente peccato ma si indovina
spesso.Cominciamo col dire che l’andamento della giustizia, il funzionamento
di questo essenziale servizio che gli ordinamenti pubblici rendono da quando
esistono, cioè da qualche migliaio di anni, dipende essenzialmente dalle leggi,
sostanziali e processuali, che essi stabiliscono, un tempo i sovrani, poi,
almeno a far data dalla Rivoluzione Francese, i Parlamenti, cioè le assemblee
legislative. Sono queste infatti che individuano i reati che devono essere
previsti e puniti ed a chi spetta istruire un procedimento. Ugualmente, nel
processo civile, è la legge che stabilisce quali diritti hanno i cittadini e le
imprese e come devono essere tutelati. Con la conseguenza che i tempi dei
processi discendono direttamente dalle norme che gravano sui tribunali e sui
giudici, quanto alle cause che possono essere iniziate ed ai tempi della loro
conclusione. Nel tempo infatti si è assistito al variare dell’area degli
illeciti previsti e puniti e dei diritti riconosciuti e
tutelati.
Questa
materia sfugge ai magistrati. E sfugge anche all’Associazione nella quale si
riconoscono, che a volte interviene, si potrebbe dire a titolo di consulenza dei
governi e dei Parlamenti, non tanto sui reati, che vengono identificati secondo
la sensibilità dei popoli in un determinato momento storico, quanto su profili
di carattere tecnico giuridico per dire che sarebbe incongruo, ad esempio, non
punire il falso in bilancio che si è rivelato, a partire dall’esperienza di
Tangentopoli, il grimaldello più efficace attraverso il quale perseguire i reati
di corruzione e concussione.
Nel
sommario dell’articolo scrive Facci: “è inutile tentare la riforma dei tribunali
col consenso dei pm, perché pur di mantenere i privilegi (dalle ferie alla paga)
sono capaci di cacciare interi governi”. Intanto non è chiaro il passaggio dalla
categoria dei magistrati, senza i quali solamente si potrebbe fare la riforma
della Giustizia, all’identificazione dei pubblici ministeri quali oppositori del
cambiamento, considerato che essi sono una piccola parte del mondo della
giustizia, una parte che avrebbe uno scarso peso della vita italiana se la
classe politica arruolasse persone dalla fedina penale pulita, senza scheletri
negli armadi, persone perbene che dalla giustizia penale non avrebbero nulla da
temere. Questa influenza dell’attività giudiziaria sulla vita politica, infatti,
deriva dal fatto, esclusivamente dal fatto, che molti politici italiani in
questa fase della storia del nostro Paese hanno spesso da rimproverarsi
comportamenti contrari alla legge.
Torniamo
a quella che evidentemente è una ossessione di Facci e non solo. La paga, le
ferie e il lavoro.
Gli
stipendi dei magistrati sono stabiliti per legge e non sono superiori a quelli
dei dirigenti dello Stato. Anzi i magistrati non hanno la possibilità di godere
dei privilegi degli alti dirigenti dello Stato che, come ho detto più volte,
sono titolari di poteri rilevanti per la loro partecipazione ad attività di
amministrazioni e di enti dai quali ricevono compensi, i gettoni di presenza, in
quanto componenti di Consigli di amministrazione e degli organi di revisione
contabile, ed attraverso i quali ottengono vantaggi. È noto che i figli degli
alti dirigenti dello Stato il più delle volte vengono assunti da enti e società
pubbliche senza concorso mentre i figli degli altri dipendenti pubblici,
compresi i magistrati, se vogliono lavorare nel pubblico, debbono sottoporsi a
rigide selezioni.
Quanto
alla paga, lo stipendio è certamente buono solo in rapporto a quello di un
impiegato direttivo, non dei dirigenti ai quali i magistrati possono essere
equiparati. Esso compensa un lavoro duro, di grande responsabilità, che comporta
un continuo aggiornamento professionale spesso reso particolarmente complesso
dalla continua evoluzione normativa e giurisprudenziale. Inoltre, non
sfuggirebbe a Facci, se riflettesse sine ira ac studio, che sembra logico
a chiunque abbia presente queste caratteristiche della funzione giudicante che
lo Stato debba selezionare i propri magistrati attraverso concorsi che ne
accertino la capacità professionale, reclutando i migliori fra i laureati in
giurisprudenza disponibili sul mercato. O vogliamo giudici raccogliticci che non
hanno saputo impegnarsi in altre professioni?
Da
ultimo il tema del cartellino, una dimostrazione di incapacità di comprendere il
tipo di lavoro. Anche la battuta sui magistrati che lavorano prevalentemente a
casa dà un’altra dimostrazione di colpevole ignoranza se non di mala fede. I
magistrati, a differenza degli altri impiegati statali che producono nell’orario
d’ufficio provvedimenti di varia natura, scrivono sentenze che sono atti
complessi, spesso lunghi dovendo ricostruire il fatto e puntualizzare gli
aspetti della motivazione, atti i quali richiedono una concentrazione ed un
impegno nella consultazione del fascicolo processuale, delle leggi e dei codici
che non si può fare in ufficio, in un ambiente dove il lavoro è spesso
interrotto da chi bussa e da chi telefona. Per cui i magistrati da sempre
lavorano prevalentemente a casa nel silenzio del loro studio, di fronte agli
atti processuali, alle istanze e alle memorie, alle leggi e alla loro coscienza,
dovendo definite situazioni che incidono sui diritti e sugli interessi delle
persone. Il lavoro dei magistrati è valutato dal punto di vista quantitativo e
qualitativo sulla base delle sentenze che scrivono. Non è quindi un problema di
cartellini e di tornelli.
Chi
giudica le sentenze? L’appello, ovviamente. Che in Italia, a differenza di
quanto avviene in altri ordinamenti, è consentito al di là di ogni ragionevole
garanzia. Ciò che vale anche per i ricorsi in Cassazione che solo nel nostro
sistema processuale sono consentiti a dismisura, per cui la nostra Corte Suprema
fa ogni anno decine di migliaia di sentenze contro le poche decine degli
analoghi collegi degli U.S.A., del Regno Unito o della Francia. Anche questo è
colpa dei magistrati? Suvvia Facci! Senso della misura
innanzitutto.
14
settembre 2014
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