Siamo ormai prossimi alla tornata elettorale che ridisegnerà la composizione del Parlamento Europeo.
Un appuntamento importantissimo per questa nostra bella e amata Patria, ma soprattutto un momento in cui il Popolo Italiano deve ritrovare la coerenza, la forza e l'orgoglio del suo essere tale.
Queste ultime settimane sono state contrassegnate da un accavallarsi continuo e spasmodico di notizie e commenti: importanti, quando non pesanti come macigni.
Ma gli Italiani, in questo momento - contraddistinto da parole grosse, giudizi taglienti, nervosismi esasperati e, purtroppo da attacchi personali travalicanti ogni limite - possono sì appassionarsi di questa o quella tesi, ma non possono certo farsi distrarre da tutto ciò.
Sarà la Storia - in un futuro più o meno prossimo - a imporre la verità dei fatti, stabilendo chi sarà degno di vera gloria e chi invece dovrà essere relegato nel buio andito di una perpetua damnatio memoriae, chi avrà l'onore di citazioni che ne ricorderanno il nome perpetuandone l'opera e chi invece, non avendo lasciato tracce degne di essere ricordate, sarà condannato ad un'inevitabile oblio.
Non possono distrarsi, gli Italiani, perché dovranno ricordarsi di essere Popolo: così riaffermando la loro scelta per la Democrazia e per la Libertà piuttosto che non per forme demagogiche e populiste, forse pittoresche ma certamente pressapochiste e sommarie, tali comunque da avere un chiaro intento disgregativo quando non uno stampo dittatoriale.
Ma non c'è bisogno di procurare sfascio ad ogni costo, poiché questo potrebbe generare accadimenti ancor peggiori dei mali che pur si sostiene di voler sistemare.
C'è invece bisogno di costruire, di consolidare, di modificare e di innovare! Senza perdere altro tempo: in nessun caso!
Per questo gli Italiani, riaffermando la loro libertà di scelta e la loro sovranità di Popolo, devono capire che queste ormai imminenti elezioni potrebbero essere una delle ultime occasioni date loro per dimostrarne la capacità di discernimento e quindi di decisione; per fare ciò non dovranno astenersi ma recarsi in massa ai seggi esprimendo le loro scelte e riappropriandosi appieno del proprio diritto di scelta.
Sarà il modo giusto per far comprendere ad una certa Europa non solo quanto grande è il nostro orgoglio nazionale e la nostra volontà di recupero della stabilità economica, ma che - proprio votando - gli Italiani hanno detto definitivamente "no" alle beghe dei partiti e alla miopia di tecnocrati e burocrati: dentro e fuori i confini nazionali.
Diversamente, chi non andrà a votare - il che rientra comunque nella sfera delle libere scelte personali, anche se il farlo oltre che un diritto è un dovere civico -, con la sua rinuncia avrà minor diritto di lagnarsi di ciò che avviene e avverrà, specie se egli ritenga che questo vada in direzione opposta non solo ai propri interessi ma contro gli interessi del Popolo, della Patria.
Nel concludere il mio intervento - che rispecchia, con tutta evidenza, solo le mie personali sensazioni - mi permetto di porgere all'attenzione dei Lettori tre recentissimi articoli a firma dell'Ill. Prof. Salvatore Sfrecola - Alto Magistrato della Corte dei conti, scrittore e giurista insigne - che pongono l'accento su tematiche di grande rilievo: la "corruzione" e la "riforma della pubblica amministrazione".
Buona lettura, quindi.
Roma, 21 Maggio 2014 Giuseppe Bellantonio
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Povera Italia!
Corruzione: evidenza penale e percezione dell'opinione pubblica
La corruzione è un po' come la temperatura nell’ambito della meteorologia, c'è quella effettiva ma anche quella percepita. Differenza, non da poco. La temperatura effettiva viene misurata in modo preciso dal termometro, mentre la temperatura percepita, cioè la sensazione di caldo e di freddo deriva da altri fattori ambientali, quali l’umidità e/o il vento, anche essi valutabili, l’“indice di calore" o “sensazione termica”, rilevabili con alcuni parametri oggettivi. Tuttavia quella temperatura è variamente intesa dalla gente, come tutti sappiamo.
Anche per quanto riguarda la corruzione, la distinzione tra l’effettiva e quella percepita è conseguenza di vari fattori ed è, soprattutto, oggetto di vivace dibattito e di accese polemiche a causa della forte divergenza dei dati. E c’è anche chi, con incredibile improntitudine, tra i politici e i giornalisti, afferma che in Italia la corruzione sia un fenomeno marginale.
Infatti, come ha affermato nei giorni scorsi il Presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, un magistrato ordinario distintosi nella lotta ai clan camorristici della Campania, la corruzione effettiva è rigidamente ancorata alle inchieste giudiziarie, soprattutto alle sentenze definitive di condanna, un dato che sconta le prescrizioni che, proprio nel caso dei reati contro la pubblica amministrazione, costituiscono una pesante falcidia rispetto alla inchieste avviate dalla magistratura. Per cui facendo i conti solamente sulla base dei dati giudiziari avremmo un livello di corruzione molto vicino a quello della Svezia. Se passiamo, invece alla corruzione “percepita” (Corruption Perception Index – CPI) precipitiamo nella graduatoria formata da Transparency International, uno degli enti più rigorosi nell’accertamento della corruzione, giù giù fino a trovarci al 67° posto dopo il Ruanda, prima della Georgia.
In proposito va ricordato che Giovanni Giolitti a inizio Novecento era solito ripetere, meno male che c’è la Grecia, altrimenti saremmo i più corrotti d’Europa. Ancora oggi la Grecia “ci salva”. Infatti è al 78° posto, prima della Colombia.
Cos’è, dunque, la corruzione “percepita” dai cittadini? Il “livello secondo il quale l’esistenza della corruzione è percepita tra pubblici uffici e politici”, diceTransparency. Essendo la corruzione “l’abuso di pubblici uffici per il guadagno privato”.
Altro indice sul controllo della corruzione è quello pubblicato dalla Banca Mondiale (Rating of control of corruption). Entrambi forniscono una misura della percezione della corruzione a livello nazionale ed aggregano i dati relativi ad indagini che, in modo diverso, sono volte a misurare o la corruzione (spesso diversamente definita a seconda dell’indagine), o fenomeni che ad essa si ritiene siano collegati. Si tratta di indagini prodotte tipicamente da agenzie di consulenza che intervistano esperti di vario genere, uomini d’affari (sia del paese in questione, sia stranieri) e persone comuni. Queste rilevazioni tengono, altresì, conto della generalizzata percezione di fatti e di comportamenti che agli occhi del cittadino danno conto di disfunzioni nella gestione delle pubbliche amministrazioni e, in genere, nell’esercizio della funzione pubblica con effetti sulla finanza dello Stato e degli enti pubblici, nel senso che da quei fatti e dai quei comportamenti derivano spese maggiori del previsto o non dovute o minori entrate per i bilanci pubblici.
Proviamo a fare qualche esempio partendo da una situazione diffusa che non sempre viene collegata alla corruzione, gli sprechi delle pubbliche amministrazioni, cioè i maggiori costi sostenuti per acquisto di beni non necessari o in misura superiore al dovuto ovvero a costi eccessivi. Situazione nella quale va ricompresa anche la realizzazione di opere con costi e in tempi superiori a quelli previsti nei contratti di appalto, oppure di opere realizzate con gravi difetti di costruzione al punto da richiedere dopo poco la formale conclusione dei lavori interventi di manutenzione straordinaria. Accade spesso che queste opere non vengono utilizzate perché sono cambiati gli standard di sicurezza o perché a causa della lunghezza dei tempi di realizzazione sono cambiate le esigenze dell’Amministrazione.
C’è dell’altro, per quanto riguarda la corruzione percepita. Chi gira per le città vede palesi violazioni delle regole, occupazioni abusive di suolo pubblico da parte di bar e ristoranti, esposizione sui marciapiedi di frutta e verdura in violazioni di divieti, tra l’altro per le conseguenze dei fattori inquinanti del traffico (piombo ed altri residui della combustione), auto parcheggiate in divieto di sosta e non sanzionate nonostante la presenza di uomini e donne della Polizia Locale. E poi mancata notifica di ordinanze sindacali di sgombero o di rimozione di manufatti non autorizzati, ecc.
Può darsi che queste situazioni siano conseguenza della scarsezza di agenti, dell’ignoranza sulle regole (mi è capitato in passato di constatare che alcuni agenti della polizia locale non avevano nozione della occupazione abusiva di suolo pubblico), ma la gente ne deduce compiacenze volute, anche perché di tanto in tanto la stampa informa che qualche controllore era indotto a “distrazioni” dal pagamento di mazzette o da “altre utilità”, come le chiama il codice penale all’art. 318, a seconda della categoria merceologica del negoziante.
Naturalmente in questa percezione della corruzione vanno inserite altre fattispecie delle quali la giurisprudenza penale e contabile ha dato conto. Come nel caso delle prescrizioni di farmaci non necessari o in misura superiore a quanto previsto dal normale ciclo terapeutico. Scelte che le imprese farmaceutiche avranno modo di compensare, come ben noto, con la partecipazione del sanitario a convegni e congressi in località turistiche, naturalmente accompagnato da moglie (o marito) e figli.
Va detto che nonostante sia percepita, a questa corruzione ci siamo abituati, tanto che, se non riflettiamo con un po’ di attenzione, consideriamo questi comportamenti quasi naturali.
16 maggio 2014 Salvatore Sfrecola
Un
commento al progetto Renzi-Madia – 1
Pubblica
Amministrazione: una riforma necessaria, ma come farla? Con la conseguenza che se le attribuzioni e le procedure intestate agli apparati pubblici non sono adeguate alle esigenze, se il personale non corrisponde per professionalità, per numero e per distribuzione territoriale alle necessità l’apparato non funziona adeguatamente con effetti di gravissima inefficienza. Per cui occorre intervenire rapidamente con le iniziative del caso. Quindi si opera sulle leggi, sui regolamenti e sulle prassi individuando quelle più virtuose per rispondere alla richiesta di servizi che proviene dai cittadini e dalle imprese. E quanto alle professionalità è troppo tempo che non si conduce una ricognizione delle esigenze. Le amministrazioni nascono con dotazioni organiche riferite alle funzioni assegnate, tanti giuristi, economisti, statistici, ingegneri, fisici, e via enumerando geometri, ragionieri, ecc..
Un
tempo, per esemplificare, il Ministero dei lavori pubblici aveva i “sorveglianti
idraulici”, dovevano navigare lungo i fiumi per verificare lo stato delle sponde
ed accertare che non vi fossero le condizioni per esondazioni, accumulo di
alberi, di detriti, interventi ebusivi e quanto altro potesse disturbare il
normale deflusso delle acque. L’Italia aveva, dunque, un apparato efficiente.
Oggi quegli stessi obiettivi si possono raggiungere diversamente, con
telecamere, ricognizione aerea, ecc.
Sempre
nel settore dei lavori pubblici per onestà intellettuale va detto che il “genio
civile” nel corso della storia d’Italia ha unificato il Paese e l’ha ricostruito
dopo la seconda guerra mondiale.Altra categoria praticamente scomparsa è quella dei dattilografi, un tempo essenziali per battere a macchina provvedimenti amministrativi ed atti giudiziari. Oggi tutti gli impiegati pubblici dispongono di un computer. I funzionari scrivono i loro provvedimenti, i giudici le loro sentenze.
Bene, tutte queste situazioni sono note alla dirigenza pubblica ed alla politica. E tutti concordano sul fatto che vadano cambiate leggi e procedimenti per rendere gli apparati più rispondenti alle esigenze che provengono dalla società civile. Come ricordano tutti quando si richiamano le difficoltà degli operatori economici, italiani ed esteri. I primi, quando possono si trasferiscono al di là della frontiera, i secondi si guardano bene dall’intraprendere iniziative in Italia. A parte le variabili della pressione fiscale e della criminalità presente ormai un po’ dappertutto che impedisce la libera concorrenza, che è regola fondamentale dell’Unione Europea.
Tutti concordano sulla diagnosi, spesso anche sulla terapia. Ma nulla cambia. Incapacità dei governi, freno delle lobby e dei sindacati? Un po’ di tutto. Per cui si comprende che il Presidente del Consiglio abbia affrontato subito il problema Pubblica Amministrazione intendendo dotarsi di un apparato adeguato ai cambiamenti che vuole perseguire. Che poi parli di “rivoluzione”, usando un linguaggio poco usuale ad un uomo di governo si può comprendere considerate le profonde trasformazioni che ha in mente per restituire efficienza all’apparato pubblico e rendere competitivo il nostro Paese.
Passando dalle parole ai fatti c’è da fare alcune considerazioni. Non tanto sul linguaggio che accompagna certe esternazioni del Premier, la “rivoluzione”, la “ruspa”, l’“aggressione”, parole di una comunicazione certamente efficace in vari ambienti ma non tra quelli interessati, com’è ovvio. Renzi è un abilissimo comunicatore, come tutti hanno potuto constatare, e non c’è dubbio che l’aggressione a 360 gradi a tutte le realtà che intende modificare abbia la finalità di gettare lo scompiglio perché nessuno si senta al sicuro ed accetti il “male minore” che viene prospettato. Come nel caso del tetto agli stipendi degli alti manager e degli alti magistrati. Chi è sotto il tetto si è sentito al riparo. Sbagliando perché è evidente che una riforma complessiva non potrà non portare alla riparametrazione dei trattamenti economici, perché sarebbe ingiusto che un generale guadagni come un colonnello e questi poco più del maggiore, e via discorrendo.
In questo senso il Premier ha anche dimostrato in più occasioni di non avere la misura giusta delle cose che conosce non per cognizione diretta avendo una esperienza limitata ad una amministrazione locale, tra l’altro di piccole dimensioni, dove le difficoltà non mancano ma si risolvono spesso davanti ad un caffè tra funzionario e assessore e tra questo e il sindaco.
E difatti nel documento che viene chiamato “linee guida”, approvato nel Consiglio dei ministri del 30 aprile in forma di “lettera ai dipendenti pubblici” (che ha invitato a scrivere a rivoluzione@governo.it) questa mancanza di esperienza si nota in pieno, con riferimento a istituti già esistenti e spacciati come novità e ad altri già sperimentati e miseramente falliti. Insomma, un insieme di idee buone ma anche di soluzioni un po’ azzardate quando non palesemente inadeguate che il Premier con i suoi “bollenti spiriti” e il “giovanile ardore”, per riprendere una espressione di Francesco Maria Piave librettista de La Traviata, tenta di dare una spallata all’esistente a fini indubbiamente nobili. Che tuttavia sarebbe stato possibile perseguire in modo da evitare reazioni che, nelle condizioni da lui create, rischiano di determinare congiunzioni di interessi che non sarà facile superare. A parte i sindacati, nella maggior parte dei casi assolutamente screditati nell’ambito del pubblico impiego.
Forse
il Premier si è accorto di aver sbagliato linguaggio, o forse gli è stato fatto
notare, Ha smorzato i toni e rettificato il linguaggio che era stato percepito
come denigratorio in modo generalizzato dai pubblici dipendenti. Un
comportamento che il Presidente del Consiglio che è il capo degli impiegati
pubblici non può assumere perché non è comunque giusto. Se, infatti, gli
apparati non funzionano come dovrebbero e come il governo vorrebbe spesso questa
scarsaperformance non è (o non è solo) responsabilità degli addetti, ma
della classe politica di governo che non ha saputo cambiare ordinamento e
attribuzioni e in taluni casi non ha voluto o saputo dare adeguate direttive
amministrative, previste dalla legge. E, pertanto, si sentono vittime di una
ingiustizia.
Renzi
lo ha capito tanto che all’inizio della lettera ai dipendenti pubblici afferma
che “non si fanno le riforme della Pubblica Amministrazione insultando i
lavoratori pubblici”. Sulle sponde del Tevere i nostri antenati
dicevano excusatio non petita, accusatio manifesta. Una scusa non
richiesta è una accusa manifesta, per chi non ha dimestichezza con la lingua dei
nostri maggiori.Ma ogni ripensamento è gradito e accettato. L’intelligenza sta nel capire gli errori e nel modificare atteggiamenti. Anche nel cambiare collaboratori, per la verità, quando ci si accorge della loro estremo modestia. Accadrà anche questo. L’uomo è intelligente e capirà che non si va avanti con le battute popolari, gli slogan ed i luoghi comuni e collaboratori senza esperienza specifica in settori ad elevata specializzazione giuridica ed organizzativa. Anche un po’ di conoscenza storica e di ordinamenti comparati non guasterebbe. Se ne nota la mancanza.
Il Capo del Governo deve motivare i suoi uomini, come farebbe un generale pronto alla battaglia. Immaginate un condottiero che dicesse che i suoi soldati sono incapaci di combattere e felloni. Andrebbe da solo contro il nemico.
Veniamo, dunque, al documento, alla lettera “aperta”, si potrebbe definire, ai pubblici dipendenti che intendiamo commentare richiamando pedissequamente il testo, anzi premettendo il testo alle nostre considerazioni in modo che sia sempre evidente l’appezzamento o la critica.
Il documento di apre con una espressione “Vogliamo fare sul serio”, certamente apprezzabile e di impatto positivo sull’opinione pubblica, anche se a noi, che crediamo nelle istituzioni, sembra naturale, cioè normale, che il Presidente del Consiglio ed il Governo facciano “sul serio”. (segue)
17
maggio 2014 Salvatore Sfrecola
Un commento al progetto Renzi-Madia – 2
Disclaimer / Avviso 1Un commento al progetto Renzi-Madia – 2
Per
fare sul serio, tra spot e buoni propositi
Nell’impegno
a fare “sul serio”, espressione di sicuro effetto mediatico in una realtà
politico-amministrativa nella quale si ha l’impressione che si sia a lungo fatto
finta di fare nonostante gli slogan che hanno accompagnato gli ultimi venti anni
di storia, a cominciare dalla qualificazione di alcuni provvedimenti come “del
fare” il Governo delinea un quadro d’insieme assolutamente
condivisibile.
“L'Italia
ha potenzialità incredibili”, è
l’incipit di questa parte introduttiva. Se finalmente riusciamo
a mettere in ordine le regole del gioco (dalla politica alla burocrazia, dal
fisco alla giustizia) torniamo rapidamente fra i Paesi leader del mondo. Il
tempo della globalizzazione ci lascia inquieti ma è in realtà una gigantesca
opportunità per l'Italia e per il suo futuro. Non possiamo perdere questa
occasione.
Vogliamo
fare sul serio, dobbiamo fare sul serio.
Il
Governo ha scelto di dare segnali concreti. Questioni ferme da decenni si stanno
finalmente dipanando. Il superamento del bicameralismo perfetto, la
semplificazione del Titolo V della Costituzione e i rapporti tra Stato e
Regioni, l'abolizione degli enti inutili, la previsione del ballottaggio per
assicurare un vincitore certo alle elezioni, l'investimento sull'edilizia
scolastica e sul dissesto idrogeologico, il nuovo piano di spesa dei fondi
europei, la restituzione di 80 euro netti mensili a chi guadagna poco, la
vendita delle auto blu, i primi provvedimenti per il rilancio del lavoro, la
riduzione dell'IRAP per le imprese. Sono tutti tasselli di un mosaico molto
chiaro: vogliamo ricostruire un'Italia più semplice e più giusta. Dove ci siano
meno politici e più occupazione giovanile, meno burocratese e più trasparenza.
In tutti i campi, in tutti i sensi.
Fare
sul serio richiede dunque un investimento straordinario sulla Pubblica
Amministrazione. Diverso dal passato, nel metodo e nel
merito.
Nel
metodo: non si fanno le riforme della Pubblica Amministrazione insultando i
lavoratori pubblici.
Che nel pubblico ci siano anche i fannulloni è fatto noto. Meno nota è la
presenza di tantissime persone di qualità che fino ad oggi non sono mai state
coinvolte nei processi di riforma. Persone orgogliose di servire la comunità e
che fanno bene il proprio lavoro.
Compito
di chi governa non è lamentarsi, ma cambiare le cose. Per questo noi, anziché
cullarci nella facile denuncia, sfidiamo in positivo le lavoratrici e i
lavoratori volenterosi. Siete protagonisti della riforma della Pubblica
Amministrazione”.
Partiamo
da quest’ultima affermazione. Non sarò stato il primo ma certamente l’ho detto e
ripetuto più volte. La pubblica amministrazione, nei suoi dirigenti e nei suoi
funzionari doveva essere da tempo protagonista della riforma. Perché se è vero,
come ho sempre sostenuto, che all’interno degli apparati pubblici vi sono
professionalità di straordinario valore, dotate anche di sensibilità politica,
nel senso della capacità dei funzionari di percepire le esigenze della società
in rapporto alla domanda di servizi e di sviluppo che proviene dai cittadini e
dalle imprese, la riforma avrebbe dovuto trovare la propria genesi proprio
all’interno della Pubblica Amministrazione. Chi, infatti, se non i funzionari
avrebbe potuto suggerire al potere politico la revisione degli ordinamenti e
delle procedure per rendere efficiente l’amministrazione, strumento essenziale
per perseguire le finalità individuate nell’indirizzo politico amministrativo
quanto alle politiche pubbliche? Sarebbe stato un normale scatto d’orgoglio
professionale per chi “è al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.)
farsi protagonista della riforma. Invece abbiamo dovuto constatare una
persistente difficoltà di immaginare il nuovo, nonostante il confronto con le
burocrazie degli altri stati dell’Unione suggerisse nuovi modelli di
efficienza.
Ma
anche qui non si può addossare tutta la responsabilità ai funzionari. Perché il
potere politico nulla ha fatto per coinvolgere l’apparato in ipotesi di riforma.
Anzi, quando governo e parlamento hanno messo mano ad iniziative riformatrici le
conseguenze sono state devastanti, dalle leggi Bassanini, che hanno
disarticolato l’Amministrazione e il sistema delle garanzie di legalità, alla
riforma del Titolo V della Costituzione, votata a cuor leggero per fare, alla
vigilia delle elezioni del 2001, concorrenza alla Lega che reclamava la
devoluzione, con la conseguenza di complicare il sistema della attribuzioni,
fare delle regioni il legislatore generale (di tutto ciò che è giuridicamente
rilevante) e togliere allo Stato competenze naturalmente di carattere
nazionale, come il turismo, il nostro petrolio, e paralizzare la Corte
costituzionale che dal 2001 lavora prevalentemente per dirimere controversie tra
le regioni e lo Stato. Riforme tutte ripudiate da chi le aveva promosse e
votate, in particolare quella costituzionale, approvata con pochi voti di
maggioranza da una Sinistra pasticciona, quando la legge fondamentale dello Stato
meriterebbe la più ampia condivisione.
Su
altre riforme promesse del Governo è lecito nutrire notevoli perplessità. A
cominciare dalla riforma del Senato. Per superare il bicameralismo perfetto,
riforma ampiamente e da tempo auspicata, la proposta, affrettata e di tono
minore, pressoché inutile, svilisce il ruolo della più antica assemblea
parlamentare, accompagnata da un “prendere o lasciare”, incompatibile con il
carattere costituzionale di una normativa naturalmente destinata a durare negli
anni.
Proseguiamo
nella lettura del testo del Governo.
“Nel
merito: abbiamo maturato alcune idee concrete. Prima di portarle in Parlamento
le offriamo per un mese alla discussione dei soggetti sociali protagonisti e di
chiunque avrà suggerimenti, critiche, proposte e alternative. Abbiamo le idee e
siamo pronti a intervenire. Ma non siamo arroganti e quindi ci confronteremo
volentieri, dando certezza dei tempi”.
L’idea
è apparentemente espressione di una apertura al dialogo. In realtà all’indirizzo
di posta elettronica indicato arrivano decine di migliaia di messaggi, i più
riguarderanno minutaglie, con la conseguenza che è da escludere un apporto
significativo. Chi legge le mail, chi le valuta? È evidente che siamo di fronte,
nella migliore delle ipotesi, ad uno spot pubblicitario, ad un gesto di buona
volontà privo di conseguenze pratiche.
“Le
nostre linee guida sono tre.
· Il
cambiamento comincia dalle persone.
Abbiamo bisogno di innovazioni strutturali: programmazione strategica dei
fabbisogni; ricambio generazionale, maggiore mobilità, mercato del lavoro della
dirigenza, misurazione reale dei risultati, conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro, asili nido nelle amministrazioni.
· Tagli
agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione.
Non possiamo più permetterci nuovi tagli orizzontali, senza avere chiari
obiettivi di riorganizzazione. Ma dobbiamo cancellare i doppioni, abolendo enti
che non servono più e che sono stati pensati più per dare una poltrona agli
amici degli amici che per reali esigenze dei cittadini. O che sono semplicemente
non più efficienti come nel passato.
· Gli
Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei
servizi.
Possiamo utilizzare le nuove tecnologie per rendere pubblici e comprensibili i
dati di spesa e di processo di tutte le amministrazioni centrali e territoriali,
ma anche semplificare la vita del cittadini: mai più code per i certificati, mai
più file per pagare una multa, mai più moduli diversi per le diverse
amministrazioni. (segue: il precedente articolo è stato pubblicato il 17
maggio)
20
maggio 2014 Salvatore Sfrecola
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