Dalle pagine web di "UN SOGNO ITALIANO", il Prof. Salvatore Sfrecola lancia un allarme non prima di aver indicato talune situazioni e la corretta chiave di lettura per ancor meglio definirle.
Proponiamo ai lettori del blog la diretta e personale valutazione dello scritto per l'importanza dei contenuti, specie in un contesto così delicato qual'è quello attuale.
Grazie per la cortese attenzione e ... buona lettura!
Roma 26 Febbraio 2014 G. Bellantonio
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La
questione dei Capi di Gabinetto
Un
“trappolone” per Renzi
di Salvatore
Sfrecola
Così
come viene presentata la proposta appare senz’altro ragionevole. Perché mettere
magistrati amministrativi e contabili, Consiglieri di Stato della Corte dei
conti, e Avvocati dello Stato a svolgere funzioni di Capi di Gabinetto di
ministri e di Capi degli Uffici legislativi? Rimandiamoli a casa a svolgere le
funzioni proprie delle loro istituzioni.
Nella
realtà questa proposta, che nasce da una critica secondo la quale questi
personaggi, in posizione chiave nei ministeri costituirebbero una sorta
di lobbypotente capace di tenere in pugno le amministrazioni con
l’effetto, questo è il punto, di frenarne l’attività, è argomento certamente
suggestivo. Tuttavia le cose vanno molto diversamente. Le amministrazioni
pubbliche costituiscono lo strumento attraverso il quale i ministri perseguono
gli obiettivi di politica pubblica affidati alla competenza del dicastero cui
sono preposti. Strutture articolate in dipartimenti e direzioni generali,
difficilmente manovrabili e gestibili richiedono una mediazione tra la volontà
politica del ministro, espressione di quell'indirizzo politico di governo
approvato dalla maggioranza parlamentare, e la struttura
amministrativa.
Così,
per realizzare effettivamente il buon funzionamento dell'amministrazione,
tradizionalmente i Capi di Gabinetto, cioè i funzionari che hanno il compito di
assistere il ministro nella predisposizione dei provvedimenti amministrativi a
contenuto normativo e di gestione, sono prevalentemente tratti dai magistrati
amministrativi, del Tar e del Consiglio di Stato, e contabili, della Corte dei
conti, o Avvocati dello Stato.
Perché
si ricorre a questi esperti? Il motivo è semplice ed è la dimostrazione della
pretestuosità della tesi critica ricorrente della quale ieri ha scritto
sul Corriere della Sera Sergio Rizzo (“Capi di Gabinetto e dirigenti
inamovibili. Il Potere Ombra cresciuto nei Ministeri”).
Il
fatto è che, nel bene nel male, il ministro, che il più delle volte non è un
tecnico dell’amministrazione, cioè un giurista che conosca le tante leggi del
settore e i tantissimi regolamenti amministrativi che dettagliano la volontà del
legislatore, si trova ad essere guidato da chi la struttura conosce a fondo,
capi Dipartimento e direttori generali cui spetta realizzare, con gli strumenti
e gli uomini a disposizione, le direttive amministrative del ministro che gli
stessi alti dirigenti predispongono, documenti importantissimi perché hanno il
compito di individuare gli obiettivi ed il percorso per raggiungerli. Cioè per
tradurre in atti amministrativi e di gestione le scelte politiche del governo e
del singolo ministro.
È
per questo che da quando l’Italia è Stato unitario le grandi istituzioni del
Regno, prima, della Repubblica, oggi, mettono a disposizione dei ministri
Consiglieri, di Stato e della Corte dei conti, ed Avvocati dello Stato che
filtrano gli atti che provengono dagli uffici e ne valutano la legittimità, in
modo che la firma del ministro sia assistita da un esame tecnico qualificato.
Non che l’amministrazione non abbia funzionari di valore capaci di redigere atti
legittimi e conformi alle direttive ministeriali. Ma i ministri preferiscono
affidare il giudizio finale a persone di stretta fiducia proprio ad evitare che
la struttura naturalmente portatrice di una propria visione delle cose li
prevarichi, soprattutto quando la politica intende definire o attuare riforme
non gradite all’apparato.
In
questo senso l’estraneità del Capo di Gabinetto alla burocrazia ministeriale è
una garanzia per il Ministro e per la stessa Amministrazione perché
questi Grand Commis, come vengono tradizionalmente definiti con
espressione francese i diretti collaboratori dei ministri (infatti si parla
di Uffici di diretta collaborazione), perché con la loro elevata
professionalità sono in condizione di assicurare l'effettiva realizzazione della
politica governativa e di guidare in qualche modo l’apparato secondo le regole
definite dalla giurisprudenza amministrativa e contabile.
E
qui va fatto cenno della situazione che si determinerebbe, e si determina,
laddove per legge il Capo di Gabinetto appartiene alla stessa amministrazione,
per la naturale “complicità” tra colleghi dirigenti, per le cordate che si
realizzano nel tempo, queste sì capaci di attuare una chiusura corporativa della
struttura, autoreferenziale, capace di influire negativamente sul ministro,
imprigionandolo nella logica, pur rispettabilissima, dell'amministrazione. Con
sostanziale lesione dell’indipendenza del Ministro.
Riassumendo,
dunque, la presenza di un estraneo in funzione di Capo di gabinetto non è un
male ma una scelta razionale alla quale i ministri tradizionalmente ricorrono,
in più generalmente apprezzata dall’amministrazione. È ovvio che, come tutte le
vicende umane, è possibile ci siano disfunzioni, ma esse sono esclusivamente
delle persone, come ho potuto verificare sulla base dell’esperienza maturata
nell’esercizio di quelle funzioni o nel controllo esterno delle attività
dell’amministrazione.
In
questo caso si tratta di scelte sbagliate dei ministri. Infatti Sergio Rizzo,
che nel suo articolo è partito da una ipotesi di direttiva del Presidente del
Consiglio, giunge a formulare l’ipotesi che non si tratterà di una “direttiva
per sbarrare la strada” ai Grand Commis, ma di una “moral
suasion per indurre i ministri a scegliersi per quei ruoli chiave figure un
po’ diverse”. Un po’ ma non troppo perché persone, pur valentissime, provenienti
da altri ambienti, dagli enti locali o da società pubbliche o da enti privati
hanno un’esperienza molto lontana da quella che avrebbero potuto maturale in
un’amministrazione statale e possono, in buona fede, fare più male che bene
creando difficoltà al ministro ed allo stesso governo. Scelte recenti lo hanno
dimostrato, specie nei settori delicati dei ministeri economici, dove occorrono
professionalità omogenee a quelle dell’apparato, capaci di esperienze e perfino
di un linguaggio che consenta il dialogo. Necessario, in particolare, in una
stagione riformatrice come quella che ci accingiamo a vivere secondo le
indicazioni del Presidente del Consiglio.
In
queste condizioni il “crucifige” gettato nei confronti dei Capi di Gabinetto
“esterni” e degli alti burocrati potrebbe rivelarsi un “trappolone” per una
compagine di governo con scarsa esperienza governativa animata certamente da
salutare desiderio riformatore, necessario ma da portare avanti cum grano
salis, comde si dice, laddove è facile cadere in errori con conseguenze
contrarie agli effetti voluti e sperati.
24
febbraio 2014
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